Curiosa la storia dei
Warmhouse, che inizia con l’acquisto di una vecchia Casio – Tone degli anni ’80,
nel cui involucro viene ritrovato un quaderno ingiallito e colmo di versi d’amore,
di prigionia, di rimorso, narrazioni inquiete datate 1984 e firmate da un certo
Patrick R. Le pagine di quel ritrovamento diventano lo spunto compositivo per i
pugliesi, che pubblicano ora un ep d’esordio robusto ed energico, omaggio alla
new wave nata nella terra d’Albione e ancora oggi presente nella cultura di
band come Arctic Monkeys, Strokes e Interpol. Un post punk che quindi si
imparenta con l’indie rock e che vede Francesco Elios Coviello (voce e synth),
Agostino Nestola (chitarra e synth), Davide Cimmarusti (batteria) e Pasquale
Monti (basso), protagonisti di un sound corposo e vitale. Quello di 1984 è ovviamente un breve resoconto
delle esperienze sin qui intraprese dal quartetto, un biglietto da visita in
attesa di qualcosa di più sostanzioso e che possa evidenziare un ulteriore
crescita nel gruppo, che pare avere tutte le doti per emergere, almeno nella
folta scena alternative tricolore. La title track iniziale, dalla vena
malinconica, espone subito le qualità della band, a suo agio tra ritmiche rock
e pulsioni di inizio 2000. La carica di Molko
Monday, con il suono dei synth a sottolineare l’intensità del racconto (con
l’ospite Dario Tatoli), pare il pezzo più a fuoco dell’album, forte di un
chorus davvero azzeccato. Marble (dove
troviamo Luigi Lafiandra ai synth e Tatoli, che oltre ai synth, suona la
chitarra con l’ebow) e Pearl Moon
chiudono questo valido ep tra suggestioni post e inflessioni wave. (Luigi
Cattaneo)
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