martedì 29 dicembre 2020

FRANCESCO PERISSI XO, Rossana (2020)

 

Nuovo e particolare concept album diviso in cinque fasi sull’elaborazione del lutto per Francesco Perissi XO (ex Qube), che con Rossana mostra tutto il suo background fatto di avanguardia, elettronica, dark e IDM, con lo sguardo che si posa su nomi come Autechre, Moderat e Bernard Parmegiani. Beauty è l’inizio atmosferico dell’album, una sorta di lunga introduzione vicina ad alcune pagine dei VNV Nation, anticipatrice del beat di Wordless, con il cantato di Francesco che viene subissato da suoni e rumori, effetti e distorsioni, emozionale chiusa del primo capitolo dedicato alla negazione.  Broken segna l’avvicinarsi della rabbia, il sound si fa ossessivo, pulsante, con una coda malsana in odore di Nine Inch Nails, che prosegue anche in Fxxk, uno dei pezzi più interessanti e completi del disco. La fase del patteggiamento si sviluppa dapprima con Cancer e poi in Venus, una sorta di suite elaborata tra ripetitivi espedienti elettronici e cura per la forma canzone, seppure rivisitata con una certa dose di personalità. La voce di Perissi ci conduce al momento della depressione per la perdita, una resa che diviene esplicita nelle suggestioni di Shine e Cherish, colonne sonore di un dolore che diviene tangibile, vivido, filmico. Si arriva al momento dell’accettazione con la magnetica Twins e con la conclusiva Soul, delicato epitaffio di un terzo disco intenso e profondo. (Luigi Cattaneo)

Venus (Video)



lunedì 28 dicembre 2020

KARMABLUE, Nè apparenze nè comete (2018)

 

Nati negli anni ‘90 a Roma, i Karmablue giungono al terzo disco dopo Erratico estatico del 2002, che univa rock e influenze etniche, e Acquadanze del 2006, che invece approfondiva la vena psichedelica della band. Dopo un periodo di pausa la voglia di fare musica porta il gruppo formato ora da Vera Perkins (voce), Giacomo Caruso (chitarra), Flavio Marini (chitarra), Simone Colaiacomo (basso e tastiere) e Paolo Marini (batteria) a registrare Né apparenze né comete, più progressivo e legato ai ’70 e distribuito dalla Lizard Records. Tante le idee che troviamo in questo gradevole disco del 2018, pieno di raffinati momenti e intrecci melodici molto curati, a partire da Guerra degli dei e Né apparenze né comete, che si distingue per un approccio decisamente prog e psichedelico, che sfuma nella seguente Sogni, chiusura un trittico iniziale fatto di atmosfere, cambi di tempo e un’apprezzabile attenzione per gli arrangiamenti. La band è compatta e coesa, lavora d’insieme, come nel caso dell’ottima Karma Blue e di Cristalli Parte III, che mostra un piglio dai tratti hard e che non dispiace affatto. Anche Solaris non disdegna parti fortemente elettriche, Astrimio ribadisce come Vera sia assolutamente fondamentale per lo sviluppo di certe sonorità, insieme al lavoro certosino delle due chitarre, prima di Mag-A-Lur, emozionale nel suo incedere al limite del post rock. Particolare la conclusiva Acrobati, che alterna momenti sognanti e space ad altri più aggressivi, con tanto di recitato francese che fa tanto Ange. Interessante e gradevolissimo ritorno questo dei Karmablue, accostabile a band come Verganti e Magnolia, con un piglio rock forse più marcato, che sfiora l’heavy e che rende la proposta corposa e interessante. (Luigi Cattaneo)

Sogni (Video)



domenica 27 dicembre 2020

BRIDGEND, Rajas (2020)

 

Tornano i Bridgend e con loro Rajas (che dà anche il titolo a questo nuovo capitolo dei bolognesi), protagonista del precedente Rebis di cui avevamo parlato ai tempi della sua uscita. Andrea Zacchia (chitarra) ha modificato parecchio la line up, non più un trio ma un quartetto completato da Leonardo Rivola (tastiere), Matteo Esposito (basso e fretless) e Massimo Bambi (batteria) e anche in parte il sound, meno legato al post e più al progressive rock strumentale. Scelta azzeccata che fa di questo Rajas un prequel che conferma la capacità narrativa immaginifica della band, ma anche un’accresciuta scrittura complessiva, ancora più convincente rispetto al già valido debutto. Adulta nox apre l’album, mettendo subito in mostra una formazione collaudata, con Zacchia e Rivola a duettare ottimamente (il songwriting è affidato ad entrambi e ciò probabilmente ha beneficiato al progetto), così come non è da meno la nuova sezione ritmica, che si mette in mostra nella seguente Appena un respiro, altro momento tra i più significativi del racconto. Il lato A si conclude con la suite La quiete generale, tra prog d’annata e una spruzzata di modernità, quasi 10 minuti che scivolano nella seconda suite del disco, La fatica del singolo, altra traccia notevole che forma una parte centrale che farà la felicità dei fan di P.F.M., Le Orme, Genesis e dei contemporanei Accordo dei Contrari. Ci avviciniamo alla fine prima con Nocturnale, episodio tra i più strutturati del lavoro e poi con la conclusiva La luce ci divide, piccola gemma di psichedelia progressiva che sancisce la crescita di un gruppo da tenere in grandissima considerazione. (Luigi Cattaneo)

Full Album (Video)



giovedì 24 dicembre 2020

OTEME, Un saluto alle nuvole (2020)

 


Il nuovo album del progetto Oteme nasce da lontano, ha radici nel 2012, quando Stefano Giannotti, mente dell’ensemble, gira un documentario sull’Hospice di San Cataldo, un ultimo porto per i malati terminali. Alcuni stralci delle interviste fatte per l’occasione a infermieri, OSS, dottori e famigliari dei pazienti diventano spunto per Un saluto alle nuvole, dieci brani che continuano il percorso degli Oteme, ancora una volta in bilico tra musica da camera, R.I.O., avanguardia e canzone d’autore. La doppietta iniziale di Chiudere quella porta/E c’è qualcuno introduce al mondo narrato da Giannotti, fatto di esistenze a volte marginali, di consapevolezza della fine, raccontate con delicatezza tra momenti folk e tenui interventi fiatistici (Irene Benedetti e Valeria Marzocchi al flauto, Lorenzo Del Pecchia e Elia Bianucci al clarinetto). Un ricordo bello spinge maggiormente verso l’avant, con Emanuela Lari perfetta interprete delle suggestioni del pezzo ( leggeri ma azzeccati gli interventi di Antonio Caggiano al vibrafono), prima della particolarissima Dieci giorni, che si contraddistingue per l’ottimo lavoro ritmico della coppia formata da Vittorio Fioramonti (contrabbasso) e Riccardo Ienna (batteria) e della strumentale Gli angeli di San Cataldo (Bolero quarto), che si contraddistingue per la partecipazione al violino di Blaine L. Reininger dei Tuxedomoon. La vena sperimentale e colta degli Oteme prosegue con Quando la sera, brano dove le varie voci utilizzate creano un momento di pura magia, e Turni, lunghissima composizione che definisce al meglio il sound della band. Anche Una mamma disperata e Per i giorni a venire si muovono tra grandi intuizioni liriche e aperture strumentali notevoli, mentre la title track finale è un lieve attimo contemplativo di un lavoro malinconico ma necessario. L’opera ha vinto il bando Della morte e del morire indetto dall’Associazione Culturale Dello Scompiglio di Vorno. Per acquistare il disco (operazione consigliata vista l’importanza e la bellezza del booklet annesso) potete visitare il sito http://stefanogiannotti.com/it/ o http://oteme.com/it/ (Luigi Cattaneo)



martedì 22 dicembre 2020

VIC PETRELLA, Sperimentalist (2020)

 

Breve ep d’esordio per Vic Petrella, autore in bilico tra post elettronico e psichedelia, che con Sperimentalist sigla un debutto curioso ma riuscito. La malinconica apertura di Red zone, legata alla pandemia e alle restrizioni di questi mesi, colpisce da subito per impatto e azzeccate melodie, con tanto di voce di Giuseppe Conte a profetizzare un futuro in cui torneremo ad abbracciarci. Under the stars si fa leggermente più cupa, Historia Magista Vitae punge con ritmiche elettro ben calibrate, mentre la conclusiva Nature conferma l’attitudine del foggiano nell’unire elementi diversi, tra cui partiture sinfoniche apprezzabili. Probabilmente non così sperimentale come il titolo suggerisce, ma Petrella ha sviluppato una propria ricerca personale, introspettiva e interessante, tra parti recitate e altre cantate, alternanza che funziona e che fa di questo primo episodio un gradevole antipasto prima di qualcosa di più sostanzioso. (Luigi Cattaneo)

Red Zone (Video)



domenica 20 dicembre 2020

ANDREA SALINI, Roses (2020)

 

A distanza di tre anni da Lampo Gamma torna Andrea Salini, con un altro breve lavoro (30 minuti circa) dedicato all’universo femminile. Roses vede oltre a Salini, impegnato alla voce e alla chitarra, la partecipazione di Simone Gianlorenzi (chitarra, lap steel, dobro, mandolino e basso) e John Macaluso (micidiale batterista che negli anni abbiamo trovato al servizio di Yngwie Malmsteen, Ark, Labyrinth e Symphony X, giusto per citare qualche band). Il rock di Andrea guarda in più direzioni, ha la capacità di sviluppare le molteplici influenze all’interno di un percorso organico, che punta sull’impatto e sulla forma canzone, complici anche i bravissimi musicisti che hanno collaborato all’opera. Into the storm ricorda nell’attacco iniziale gli Audioslave, per poi scivolare in un blues rock molto interessante, mentre Irina nel suo incedere punkeggiante si avvicina a qualche episodio dei Green Day di American Idiot. Rock ‘n’ roll dreamer guarda invece al country folk, impreziosita dal delicato piano di Silvia Leonetti e dal fine lavoro di Gianlorenzi alla slide, Verum Rosa è una breve poesia narrata da Mariangela Gritta Grainer, momento spirituale spazzato via dalla title track in odore di rock americano. Starfighter è un valido brano strumentale, melodico e ispirato, Take you back è accostabile al Ben Harper degli esordi, con fraseggi reggae lievi e misurati a cui hanno contribuito il basso di Pino Saracini e le percussioni di Carlo Di Francesco, prima della catchy Love song e della conclusiva strumentale The name of the rose, dove ritroviamo il piano della Leonetti, protagonista di un finale che suggella un album variegato ma ottimamente calibrato. (Luigi Cattaneo)

Roses (Video)


     

sabato 19 dicembre 2020

RAINBOW BRIDGE, Unlock (2020)

 

Tornano i Rainbow Bridge, meraviglioso trio formato da Giuseppe Piazzolla (chitarra), Paolo Ormas (batteria) e Fabio Chiarazzo (basso) che abbiamo avuto modo di conoscere con Dirty Sunday del 2017 e Lama dell’anno successivo, due lavori che, ispirati dal genio di Jimi Hendrix, mettevano insieme rock blues, psichedelia e desert rock. La band torna a guardare a quanto fatto nel primo disco, con una registrazione effettuata il 16 giugno 2020 senza overdubs, una scelta che esalta il lato più istintivo dei pugliesi e che personalmente apprezzo maggiormente. Per la prima volta dopo anni ci siamo dovuti fermare. Durante il lockdown abbiamo pensato che quando tutto fosse finito la prima cosa che avremmo fatto sarebbe stata tornare in studio. Unlock è il risultato di queste jam piene di speranza e rinnovata energia. L’irruenza spontanea che emergeva meno in Lama trova qui nuova vita e forma, con citazioni del classico stile rock blues settantiano, quello di Hendrix ma anche dei Taste di Rory Gallagher in Marvin Berry e Marley, mentre l’hard, la psichedelia e la solita punta di stoner trovano modo di emergere nelle lunghe Speero the hero e The girl that I would meet this summer. La tirata chiusura di Jack sound conclude magnificamente questo terzo capitolo dei Rainbow Bridge, che visto il periodo di classifiche può tranquillamente rientrare nel novero dei dischi più interessanti dell’anno. (Luigi Cattaneo)

Full Album (Video)



domenica 13 dicembre 2020

ALECO, L'ultima generazione felice (2020)

 

Alessandro Carletti Orsini, volto della Music Force (etichetta discografica ma anche studio di produzione musicale), scende in campo personalmente e con lo pseudonimo di Aleco da vita a L’ultima generazione felice, disco in bilico tra facile pop e gustose divagazioni cantautorali. L’alter ego Sabina è la protagonista delle dieci storie narrate, che vanno a formare un racconto che, pur tra alti e bassi, mostra la passione di Alessandro e lascia trasparire come probabilmente si possa fare di più. Molto gradevole la title track iniziale, che profuma di anni ’80 e vede la partecipazione di Sofia Dessì alla voce, Arrivo per cena vira su un cantautorato che ricorda alcuni episodi di Francesco De Gregori rivisto in chiave maggiormente pop, vestito che sembra quello più interessante per il progetto, mentre Quel pizzico è un delicato momento arrangiato ottimamente da Andy Micarelli (che ha suonato tutti gli strumenti presenti sull’album e ha scritto i brani insieme ad Aleco). Ma che bella l’estate cambia decisamente pelle, un brano pop poco convincente che ospita Chiara Falasca, che con il suo rap non risolleva le sorti del pezzo. Anche Almost jazz è molto leggera ma il lavoro di Micarelli è apprezzabile, prima della breve Alessandro smettila, che non aggiunge molto a quanto detto sinora, e di E così nacque Roma, che invece è una piccola sorpresa, in bilico tra Antonello Venditti, Aldo Donati e Lando Fiorini. Tutti i tuoi sbagli è un’indovinata dedica alla figlia (con piccola citazione di Battiato), Tutto finisce così è un piccolo frangente che introduce alla conclusiva Una panchina di montagna, bel finale con tanto di grandeur sinfonico in coda, a suggellare forse la composizione più compiuta di un disco altalenante, dove Alessandro sembra non volersi prendere troppo sul serio, quando invece credo che abbia le carte in regola per farlo, all’interno di un percorso di pop cantautorale che pare prediligere e che sono curioso di capire come si possa sviluppare in futuro. (Luigi Cattaneo)

Intervista di presentazione (Video)


 

sabato 12 dicembre 2020

FRANK GET, False flag (2019)

 

Attivo da circa quarant’anni nel panorama rock blues nazionale, Frank Get arriva a questo quindicesimo disco con la ferrea volontà di analizzare alcune verità storiche del suo territorio di nascita (Trieste), complice anche la pubblicazione del libro Ti racconto la mia terra. Storie curiose musicate con grande classe da un trio davvero rodato (oltre al leader impegnato alla voce, alla chitarra, al banjo, al mandolino, al piano e all’Hammond, troviamo Marco Mattietti alla batteria e Tea Tidić al basso), attento nel creare una coesione pressoché perfetta tra testi e melodie, esaltazione profonda di personaggi vissuti nel triestino e nelle zone limitrofe. La rivolta operaia di San Giacomo del 1920 viene raccontata con carica rock in The great reception, verve che si colora di zampilli bluesy in Johnny’s bunch e di grande folk in Freedom republic (abbellita dall’uso di viola e violino). Il blues fa capolino in Anton the brewer, prima della ballata agrodolce di Marbourg hills (dove è presente il violoncello di Elisa Frausin), che narra delle vicende dei nonni di Frank, emigrati, non senza difficoltà, dalla Slovenia. Puro rock blues nell’intrigante What’s the patriot, mentre in Trip to the moon (con il bravissimo Anthony Basso alla chitarra) riecheggia il Mark Knopfler dei suoi tanti dischi in solitaria, così come incanta l’intensa Last day of summer. La slide e il violoncello colorano Joy, la conclusiva bonus Climbin ‘up this mountain è il finale corale con una serie di grandi ospiti, buonissimo epitaffio di un lavoro fantasioso e di notevole livello. (Luigi Cattaneo)

Climbin ‘up this mountain (Video)



venerdì 11 dicembre 2020

MOTHER ISLAND, Motel Rooms (2020)

Terzo disco per i Mother Island, quintetto formato da Anita Formilan alla voce, Nicolò De Franceschi e Nicola Tamiozzo alle chitarre, Giacomo Totti al basso e Jody Berton alla batteria e parecchio influenzato dalla psichedelia anni ’60 con influssi west coast. Omaggio e rivisitazione delle surreali visioni dei Jefferson Airplane colorano questo Motel rooms, testato in un tour americano prima di entrare in studio di registrazione (ma d’altronde avevano già diviso il palco con Mark Lanegan, The Pretty Things e Kula Shaker). Con la California ancora ben presente, la band ha composto un lavoro fresco e molto gradevole, a partire dal singolo And we’re shining. I vicentini iniettano nel loro sound pillole di Beatles nella doppietta iniziale Till the morning comes / Eyes of shadow, mentre tracce di Doors echeggiano in Summer glow. La stagione psichedelica viene tributata anche in We all seem to fall to pieces alone, Demons e Song for a healer mostrano tutta la consapevolezza del songwriting raggiunto, prima del r’n’r di Santa Cruz e della trascinante Dead rat, molto filmica. Il brano conclusivo, Lustful lovers, è la summa di un percorso sempre più maturo e cosciente. (Luigi Cattaneo)

And we're shining (Video)




mercoledì 9 dicembre 2020

ALESSANDRO SPARACIA, Endless (2019)

 

Terzo disco per Alessandro Sparacia, polistrumentista che con il nuovo Endless si divide tra chitarra, piano, tastiere, basso e voce, one man band solitario che si è prodigato in un concept sull’amore con uno sguardo sull’universo dei Dream Theater ma anche su quello neoclassico di Yngwie Malmsteen. Lo strumentale introduttivo, Vibration, ci conduce in maniera evocativa nelle vicende del racconto (il ricco booklet ben spiega l’iter narrativo), che si dipana nell’emozionale e progressiva Passion, tra i pezzi migliori del disco. Di notevole intensità anche Madness, che unisce fraseggi atmosferici e parti più tirate, in cui la chitarra si eleva a grande protagonista. Rage è uno dei brani più heavy prog dell’album (con tanto di citazione di Bhrams), Courage mostra una certa cura melodica nei soli (Petrucci docet), prima della title track, che avrebbe probabilmente giovato di una voce più piena. La delicata Tender embrace è l’outro che chiude un lavoro che può incuriosire non solo i chitarristi, proprio perché Sparacia è stato ben attento nell’incastonare i passaggi virtuosi e hard all’interno di strutture immediate e dotate di pathos. (Luigi Cattaneo)

Rage (Video)



sabato 5 dicembre 2020

HOGZILLA, Hogzilla (2020)

 


Destino strano quello degli Hogzilla, ma comune a tante band che si ritrovano a scrivere, ad avere idee, magari anche ad incidere dischi che non vedranno mai la luce. La storia, soprattutto del progressive italiano, presenta diversi gruppi che hanno pubblicato lavori, anche di valore, decenni dopo la registrazione o la composizione dei brani (basti pensare ai Sigmund Freud, ai Sezione Frenante o ai Corpo). Nel caso del gruppo formato da Mario Marinucci alla voce, Vittorio Leone alla chitarra, Enzo P. Zeder alla batteria, Mirko Iobbi al basso, ci troviamo dinnanzi però ad un quartetto di matrice stoner, che nel 2013 registrò a Parma questo esordio inedito, pubblicato ora dalla Zeder dischi di Enzo (www.zeder.it), che da queste pagine conosciamo per i suoi progetti con Salmagündi, Kotiomkin ed Egon Swharz (dove invece suona il basso). Il debutto degli Hogzilla è un concentrato di stoner, sludge e bizzarra psichedelia dai lievi contorni progressivi, un viaggio distorto che rimanda agli Eyehategod, ai Melvins e ai Bongzilla, un flusso massiccio e imperioso che nei momenti più melodici ricorda anche il piglio dei Crowbar. La partenza di Assembled alive! mostra da subito la solidità delle ritmiche, i riff taglienti di Leone e la voce profonda e cavernosa di Marinucci, quadro d’insieme che si riflette anche nell’aggressiva carica heavy di Cold sinner e nella tensione compatta e opprimente di Through the closed doors, con i Black Sabbath sullo sfondo. L’assalto del trittico iniziale non si stempera nemmeno in Threshold of discomfort, che tra grezza furia e arpeggi doomy ci porta con le sue malsane atmosfere allo strumentale Touch the apricot e a The warden, brano tra i più interessanti del disco per quel suo alternare passaggi sospesi ad altri tipicamente stoneriani. Anche Alone laughing man vive su questa dicotomia, Ooze si riallaccia con prepotenza allo stoner sludge più robusto ed epico, mentre il finale di Annihilator of hopes è l’annichilente vagito conclusivo, che nella versione cd riserva due bonus, la potente Calamity e la particolare Blues for the outstanding hogs, che mostra come davvero la band avesse parecchie cartucce a disposizione. Fortunatamente potete recuperare questo oscuro gioellino acquistandolo su https://hogzilla.bandcamp.com/ (Luigi Cattaneo)


martedì 1 dicembre 2020

ARCAMIRI, Quel che non dici (2020)

 

Uscito nell’ottobre del 2019, Quel che non dici degli ArcaMiri viene ora stampato con una bonus track finale, secondo lavoro dopo l’ep Contatto del 2018. Totalmente autoprodotto, l’album è un coraggioso concentrato di progressive, R.I.O. e avant prog, una spirale sapientemente costruita e di non facilissima lettura ma che sa conquistare ascolto dopo ascolto. Il quartetto formato da Simona Minniti (voce e synth), Ivan Ricciardi (pianoforte e synth), Peppe Capodieci (basso) e Vincenzo Arisco (batteria e percussioni) ha un’innata voglia di esplorare soluzioni, di realizzare strutture corpose e intricate su cui vibrare brevi fraseggi melodici, come un taglio sulla tela di fontaniana memoria, fenditure concettuali che si esprimono attraverso i testi poetici e la vocalità operistica della brillante cantante. I siracusani arrivano a questo secondo appuntamento discografico forti di una propria personalità, frutto di un approccio free alla materia, ossia senza vincoli, un lavoro di squadra che ha portato a composizioni libere ma sapientemente edificate. Ed è quello che fanno i siciliani all’interno di 7 brani dove non mancano sorprese, come il trittico formato dalla title track, da Inquietudo e Ballata (di una vecchia puttana), che mette insieme tutte le influenze della band, accuratamente dosate per formare una sorta di suite marcatamente progressiva, un trip che non disdegna scenari dark e postille avanguardistiche. Piove e Dentro una goccia sono l’anello di congiunzione tra gli spunti classici dei contemporanei Quanah Parker (seppur con una lunga storia alle spalle) e i settantiani Opus Avantra di Donella Del Monaco e Alfredo Tisocco. Non da meno L’adesso e la bonus Migrazioni, che mostra un gruppo ispirato e davvero molto interessante. (Luigi Cattaneo)

Quel che non dici (Video)



lunedì 30 novembre 2020

FARO, Luminance (2020)

Nati nel 2007 e con all’attivo un album (Gemini del 2011), tornano dopo un periodo piuttosto lungo i Faro, duo formato da Angelo Troiano (chitarra, basso, tastiere ed elettronica) e Rocco De Simone (voce e tastiere), coadiuvati da Fabrizio Basco (chitarra). Il trio arriva a questo Luminance anche grazie all’interesse dell’Andromeda Relix, etichetta sempre attenta agli sviluppi dell’underground nostrano, mostrando come il tempo abbia reso il progetto più maturo e definito. Poco più di trenta minuti in cui il prog metal abbraccia parti dilatate, con uno sguardo agli sviluppi che ha avuto il genere negli ultimi 15-20 anni, un ponte tra i Rush, le atmosfere degli Anathema e la modernità dei Pineapple Thief. Pure mette subito in mostra i tratti malinconici del disco, pur non disdegnando affatto attimi di grande vigore, oscurità che lambisce anche Fragments e la seguente December, trittico davvero interessante e riuscito. Fascino che non si perde nemmeno in Lukas, e si accentua nel dark di Tears, mentre Down è il pezzo più progressivo del disco e mette insieme le varie influenze che da sempre animano gli abruzzesi. Il finale ci riserva le aggraziate melodie di Autumn e il dark prog della title track, buon epitaffio di un ritorno estremamente intelligente. (Luigi Cattaneo)

December (Video)



giovedì 26 novembre 2020

DISKANTO, Temerari sulle macchine volanti (2019)

 

Tornano i Diskanto (Loris Durando al basso, Fausto Punzi alla batteria, Stefano Scolaro alla chitarra elettrica e Marco Turati alla chitarra acustica e alla voce), band di Cremona attiva dal 1985 e che ha lavorato per due anni al nuovo Temerari sulle macchine volanti, disco intriso di rock cantautorale maturo e passionale, accostabile a Litfiba, Negrita e Timoria. L’iniziale Il lanciatore di coltelli ricorda ottime band underground come Le Jardin Des Bruits e Wendy?!, Odio gli indifferenti si fa tesa e aggressiva, mentre Ci credi ancora? si avvale della collaborazione della voce dell’ex Timoria Omar Pedrini. Vecchie abitudini propone un muro elettrico ferreo e potente, il flauto di Franco D’Aniello dei Modena City Ramblers ben si amalgama con la band in Zep, prima dell’oscura Un giro di vite e di Trentamila giorni, più vicina ad alcune pagini di Ligabue. Si riparte alla grande con l’energica Non avrai il mio scalpo, che anticipa la conclusiva Povero tempo nostro, omaggio al grande Gianmaria Testa, e resa in maniera delicata e profonda anche grazie alla partecipazione di Roberto Cipelli al pianoforte e al Fender Rhodes (conosciuto soprattutto per i lavori con Paolo Fresu), ottima chiusura di un disco vigoroso ma al contempo elegante. (Luigi Cattaneo)

Povero tempo nostro (Video)


  

lunedì 23 novembre 2020

SPEED STROKE, Scene of the crime (2020)

 

Per gli appassionati di hard rock con tendenze sleaze, Scene of the crime degli Speed Stroke, appena uscito per Street Symphonies, è un appuntamento assolutamente imperdibile, un terzo lavoro che certifica la grandezza del quintetto formato da Andrew (batteria), D.B. (chitarra), Jack (voce), Fungo (basso) e Michael (chitarra). I dieci pezzi di questo ritorno mostrano come la carica live sia ancora del tutto intatta a distanza di quattro anni da Fury, con brani energici e pieni di passione, accostabili a Crashdiet, Steel Panther, Backyard Babies e Hardcore Superstar. L’irruenza hard della band fa subito capolino in Heartbeat, la title track omaggia gli anni ’80 del genere con grande consapevolezza, mentre After dark rallenta ma non perde nulla in quanto a potenza e forza propulsiva. La battagliera Soul punx è tra i brani più aggressivi del disco, prima della suggestiva No love, che mostra l’anima meno inquieta del gruppo, una semi-ballad elettrica davvero notevole. La seconda parte del lavoro si apre con Red eyes, altro tributo agli ’80, decennio cult per il genere, e la frizzante verve di Out of money, a cui fa seguito la briosa allegria r’n’r di Who Fkd Who. Le conclusive One last day, inaspettatamente delicata e Hero No.1, che invece torna a spingere in direzione hard rock, chiudono un album spontaneo, fresco e convincente sotto tutti i punti di vista. (Luigi Cattaneo)  

Album Teaser



domenica 22 novembre 2020

TASSIELLO TRIO, Il sognatore (2020)

 

Primo album per Renato Tassiello, batterista che qui si fa accompagnare da Alberto Sempio alla chitarra e Gigi Andreone al basso, un trio che diviene spessissimo quartetto grazie alla presenza pressoché costante del clarinetto, suonato da Paolo Tomelleri e Mauro Negri, due raffinati interpreti del jazz nostrano. La componente jazz, prevalente, si sporca di rimandi fusion e piccole pulsioni rock, un equilibrio costante che fa di Il sognatore un debutto brillante, scritto in maniera curata e ottimamente suonato da musicisti esperti e preparati. L’iniziale Big event è l’unica suonata in trio, si denota una compattezza d’insieme da subito notevole, una vena jazz rock pulsante dettata da ritmiche piene di groove e da una chitarra che appare ben presente e tutt’altro che comprimaria. La title track e la seguente Mr. Herbie vedono la presenza del maestro Tomelleri, tra suggestioni da soundtrack, jazz club e omaggi, nemmeno tanto velati, a Sextant di Herbie Hancock, rivisitato però con grande temperamento ed eleganza dal quartetto. Negri, altro interprete di fama internazionale, si cala perfettamente nelle atmosfere di The splinter, vicina ad alcune cose di John Scofield, quindi un jazz solido in cui Sempio e l’ospite sfoggiano momenti solistici di valore, sempre sostenuti da un motore ritmico efficiente e coeso. Tomelleri torna in Notes from Senegal, uno sguardo sull’Africa condito proprio da uno straordinario lavoro del clarinetto, mentre la conclusiva Infernal Rhythms si avvale non solo di Tomelleri ma anche di Gabriele Comeglio al flauto, Luca Campioni al violino e Simone Rossetti Bazzaro alla viola, episodio finale che riassume in sé le varie anime del progetto di Tassiello. C’è anche una bonus track, Caravan, gradevole rivisitazione di un brano di Juan Tizol, scritto nel 1936 per Duke Ellington e qui suonata da Renato insieme al solo Tomelleri. (Luigi Cattaneo)

Big event (Official Video)



venerdì 20 novembre 2020

TUGO, Giorni (2020)

 

Ep d’esordio per i Tugo, band formata da Francesco Mazzini (batteria), Andrea Rossi (basso e voce) e Andrea Mordonini (chitarra e voce) nel 2018 e che ha lavorato con estrema calma ad un progetto che parte da lontano e arriva ai giorni nostri grazie ad un’autoproduzione corposa e certosina. Il trio ha prodotto i brani seguendo il proprio istinto, spesso ha creato da jam effettuate nel loro vecchio garage di campagna, una devozione alla causa che fa di Giorni un debutto sicuramente gradevole. La title track che apre il lavoro profuma di indie inglese, Mani  presenta qualche spunto pop rock, soprattutto per un chorus immediato e molto fruibile, mentre la vivace e divertente Nessuno vuole bene al bassista mi ha ricordato alcuni episodi r’n’r del periodo di Ligabue con i ClanDestino. Dottore è il brano maggiormente strutturato e mostra un approccio più ragionato alla materia (con coda strumentale in odore di Verdena), forse il pezzo più interessante di questi 15 minuti, un primo passo piacevole e molto scorrevole. Di seguito il link per ascoltare l'intero ep https://soundcloud.com/tugomusic/sets/giorni-ep (Luigi Cattaneo)  


giovedì 19 novembre 2020

THE MILLS, Cerise (2020)

 

Giovane band nata nel 2019, i The Mills sono formati da Morris (già con New Ivory e Muleta) alla chitarra, alla batteria e alla voce, Augusto Dalle Aste al basso e al contrabbasso e Giovanni Caruso alla chitarra (attualmente troviamo anche Pietro Pedrezzoli alla batteria, che non ha preso parte alle registrazioni del lavoro). Non trovo nella musica contemporanea la complessità e gli intrecci artistici che ho sempre trovato in musicisti o band del passato, la mia indole romantica è spinta ad un’attenzione al vecchio per concepire il nuovo. Così Morris spiega Cerise, 25 minuti circa dove si guarda al punk, al post punk e al brit pop, uno sguardo sugli scorsi decenni che ha portato alla creazione di brani attuali e assolutamente gradevoli, come nel caso dell’iniziale Invain o della successiva Kachina, che diviene maggiormente ragionata e figlia di un alternative rock di stampo tutto americano. I vicentini mostrano da subito di avere doti e intelligenza per dosare le varie anime del progetto, come si evince dalle aggressive dinamiche di Eyes, che sfociano nella più mite I barely exist, vicina ad alcuni momenti dei R.E.M. degli esordi. Panic Toll mette insieme garage e brit pop, tra The Strokes e Oasis, doppiata dalla title track, che rimarca l’attitudine punk del progetto. Elemento che trova ancora più forza nella conclusiva Camden Town, vicina ai Clash e divertente conclusione di un album fatto di vigore r’n’r, attitudine live e melodie penetranti. (Luigi Cattaneo)

Eyes (Official Video)



martedì 17 novembre 2020

RØSENKREÜTZ, Divide et Impera (2020)

 

Tornano i Røsenkreütz, progetto di Fabio Serra (chitarra, tastiere, voce) in bilico tra progressive rock britannico, new prog e A.O.R., che dopo il buonissimo Back to the stars del 2014 ha rinnovato la line up, che ora prevede Gianni Brunelli (batteria), Gianni Sabbioni (basso), Massimo Piubelli (ottima voce dei Methodica), Carlo Soliman (piano e tastiere) e Eva Impellizzeri (viola, tastiere). Divide et Impera, uscito qualche mese fa per Andromeda Relix, è un concept sul tema del controllo, una sorta di film a episodi in cui ciascuno fa riferimento all’argomento di base, con la partenza di Freefall che è già piuttosto esemplificativa della quantità di idee che andremo a trovare nello sviluppo delle sequenze narrative. Imaginary friend gode della presenza del violino, che ben si adagia sulle note dell’organo e su melodie vocali che a tratti ricordano i Queen, The candle in the glass è un episodio pieno di grazia, abbellito dalla presenza dell’Evequartett, mentre I know I know vira su un prog moderno e contaminato dal rap di Flamma. Aurelia mette insieme drammaticità e tensione lirica, un ottimo affresco prog che ben si sposa con parti jazzate, prima dell’ottantiana True lies e dell’emozionante Sorry and … L’album si chiude con The collector, grandiosa suite che supera i 15 minuti, sintesi del pensiero musicale di Serra e compagni, tra hard, cambi di tempo progressivi, anni ’70, enfasi strumentale e fantasiose melodie. Sono passati ben sei anni dal lavoro precedente, tempo in cui il progetto è maturato e ha preso ulteriore forma, quella attuale, fatta di un songwriting ispirato ed estremamente curato nel dettaglio, elemento non da poco per cercare di emergere nel ricchissimo panorama prog nostrano. (Luigi Cattaneo)

Official Teaser



lunedì 16 novembre 2020

SIMONE PIVA & I VIOLA VELLUTO, Fabbriche Polvere e un Campanile nel mezzo (2019)

 

Fabbriche polvere e un campanile nel mezzo è il quinto lavoro in studio per Simone Piva & i Viola Velluto (Simone Piva alla voce e alla chitarra, Federico Mansutti alla tromba, Luca Zuliani al contrabbasso, Alan Liberale alla batteria e Francesco Imbriaco al piano e alle tastiere) band che, pur muovendosi in un circuito underground, è riuscita negli anni a suonare di spalla a band importanti come The Zen Circus e Fast Animals and Slow Kids o ad Omar Pedrini, fondatore degli storici Timoria. Il folk rock di Simone continua il suo percorso fatto di racconti di strada e omaggi al western italiano, già a partire dall’iniziale verve di La battaglia infuria, a cui segue Da dove vengo, furia r’n’r e un groove inarrestabile. Sulla stessa falsariga si muove Cani sciolti, che non disdegna un’atmosfera da far west, mentre Imprevisti cambia registro e ci dona una ballata dalle splendide melodie ispirata a La Flaquita (Madonna venerata dai bandidos messicani), con Imbriaco che accompagna delicatamente la voce di Piva. Si torna a parlare il linguaggio del folk rock in Oggi si uccide domani si muore, con Mansutti che da forza e vigore ad un brano molto riuscito, prima dell’omaggio di Sergio Leone rivolto al grande regista italiano, dove ovviamente troviamo le influenze western e morriconiane del gruppo in bella evidenza. Chiudono il breve lavoro (27 minuti circa) il gradevole pop rock cantautorale di Questa estate e Il destino di un uomo, piacevole finale di un ritorno che mette insieme ironia, divertimento ma anche frangenti di sana riflessione. (Luigi Cattaneo)

Imprevisti (Video)



venerdì 13 novembre 2020

FUKJO, La musica, il mare e la deriva occidentale (2019)

 

Dopo 2 ep e anni spesi a suonare live in compagnia di personaggi del calibro di Paolo Benvegnù, Pierpaolo Capovilla e Emidio Clementi, i Fukjo tornano ora in duo (Giuseppe Dagostino alla voce, alla chitarra e ai synth e Gianluca Salvemini al basso, alla batteria e ai synth) e lo fanno con un lavoro, La musica, il mare e la deriva occidentale, uscito nel 2019 per Overdub. La maturità del gruppo si palesa in brani come Martini Dry o A casa tutto bene, dove alternative e shoegaze si inseguono, si toccano, danno vita a sonorità aspre ma ricche di spunti melodici, aspetto peculiare nella scrittura dei pugliesi, come si evince anche dalle particolari sfumature di Isole (primo singolo dell’album) e dall’affascinante carica di Pianure alture. La rabbia di Fate fuoco può ricordare qualche episodio dei Marlene Kuntz, Triplo Kaionen, con la sua vena ironica, è il secondo singolo scelto per il lancio del disco, mentre un certo flusso psichedelico lambisce Vorticare, prima della malinconia soffusa di Prototipi e di Lo show di Gaz, che chiude un ritorno curioso ed estremamente interessante. (Luigi Cattaneo)

Isole (Official Video)



martedì 10 novembre 2020

MONOLITH GROWS!, Interregnum (2020)

 

Interregnum è il nuovo ep dei Monolith Grows!, band di cui ci eravamo occupati in occasione dell’ultimo e valido Black and Supersonic. Il quartetto formato da Andrea Marzoli (voce e chitarra), Massimo Codeluppi (chitarra), Enrico Busi (basso) e Riccardo Cocetti (batteria) si ripresenta in grande forma, con tre brani (che diventano due nella versione 45 giri) tirati e potentissimi, riproponendo la consueta miscela di stoner, heavy e grunge dei primordi, una strada accattivante che gli amanti di certi suoni non potranno che apprezzare. 15 minuti trascinanti, aggressivi, in cui i modenesi si rivelano più acidi che in passato, senza dimenticare di citare Unida, Yawning Man, Soundgarden e Kyuss, che ritroviamo tra le pieghe di Nicolas Cage e Shade and sleep (i due brani del 45), nonché nell’ottima Nicolas Kim Coppola (che completa l’ep digitale). La band continua a viaggiare su territori che conosce benissimo e lo fa con spirito e cura, propone idee magari non originalissime ma le attua con consapevolezza ed estro. In attesa di un nuovo disco Interregnum è sicuramente un appetitoso lavoro ponte verso qualcosa di più corposo. (Luigi Cattaneo)

Shade and sleep (Video)



lunedì 9 novembre 2020

ME VS MYSELF, Mictlàn (2019)

 

Dietro il monicker Me vs Myself si cela Giorgio Pinardi, sperimentatore vocale che porta avanti da anni una propria ricerca sulle possibilità dello strumento voce, proprio come quel Demetrio Stratos ancora oggi celebrato da chi studia e analizza i meccanismi infiniti che regolano questo linguaggio espressivo. Mictlàn è il suo secondo lavoro (dopo Yggdrasill del 2015) e parte subito in maniera interessante con Khnum, sovrapporsi magnetico di voci che mette immediatamente in luce il talento di Giorgio, solitario cantore che utilizza la voce come unico strumento, mentre si struttura maggiormente Tin Hinan, viaggio etnico affascinante in cui ritmo, armonia e melodia sono costruite da Pinardi in maniera assolutamente congeniale, andando a creare una babele di suoni che sono figlie della sua curiosità, della sua voglia di esplorare. Giorgio esamina culture, richiama suoni ancestrali lontani, che imbeve di variabili ritmiche come nel caso di Gurfa, scandaglia suoni e timbri, fraseggi che guardano al continente africano e che si palesano nell’ottima Mbuki-Mvuki. Sygyzy diviene più livida, soprattutto per l’uso di suoni inquieti, mentre Tingo si avvicina alle atmosfere brasiliane della Samba, prima della lunga Ohrwurm, sospesa tra sperimentazione, sovrastrutture, spiritualità e melodie ricercate. Chiude il disco l’atmosferica Eostre, finale di un album nobile, fatto di suggestioni, di percezioni, di stupori che colpiscono e stordiscono l’ascoltatore e che rimandano a visioni di mondi distanti, che possiamo sentire a noi affini anche grazie ad opere come queste. (Luigi Cattaneo)

Official Teaser


 

  

domenica 8 novembre 2020

QUADRI PROGRESSIVI, Chris Cornell


Omaggio pittorico a Chris Cornell, scomparso nel 2017 e ricordato per i suoi trascorsi in Soundgarden, Temple of the Dog e Audioslave. 

L'artista milanese Lorena Trapani, che da anni cura la rubrica Quadri Progressivi del blog, ha tributato il cantante americano utilizzando una tecnica mista fatta di carboncino e grafite. 

Trovate tutte le opere di Lorena sul sito nella sezione Quadri.  

venerdì 6 novembre 2020

BARBARA RUBIN, The shadows playground (2020)

 

Terzo lavoro in studio per Barbara Rubin dopo Under the ice del 2010 e l’ep del 2017 Luna nuova. Barbara non ha una band di supporto e si destreggia magnificamente tra voce, violino, viola, piano, synth, chitarra, basso e batteria, facendosi aiutare nel nuovo The shadows playground (registrato quest’anno ai Neraluce Studio) dal solo Andrea Giolo, con cui condivide diverse parti vocali lungo tutto l’album. Endless hope apre il disco, voce e piano si sposano perfettamente, l’artista si mette a nudo e colpisce per il livello di emotività che riesce a trasmettere, un pathos che trova il suo culmine quando le note del violino punteggiano, vibrano, caricando di malinconia un racconto a cui partecipa anche il già citato Giolo. Seven suggerisce immagini, una delle grandi doti della Rubin, che riesce a coinvolgere l’ascoltatore con la sua grande sensibilità, cosa che avviene anche nella successiva e meravigliosa Maddalena, tra cantautorato colto e progressive. Dopo la breve Clouds è la volta di Sunrise promenade, stupendo strumentale dove piano e archi si intersecano in maniera davvero suggestiva, prima della toccante title track, uno dei momenti più riusciti dell’intero lavoro. Il tris finale omaggia Heresy di Hais Timur, una sorta di suite di quasi venti minuti che inizia con la malinconia strumentale e classicheggiante di Sleeping violin, per poi proseguire con La ballata degli angeli e Helen’s word, tra fraseggi che rimandano al Concerto grosso dei New Trolls e musica da camera contemporanea (complice anche l’intervento vocale di Veronica Fasanelli). Per intensità e trasporto The shadows playground è uno dei dischi più interessanti e raffinati che ho ascoltato negli ultimi mesi, un crossover di cantautorato, classica e prog esteticamente elegante e pieno di grazia, in cui Barbara ha espresso tutta sé stessa in piena liberta creativa e concettuale. Potete acquistare l'album al seguente indirizzo https://barbararubin.bandcamp.com/album/the-shadows-playground (Luigi Cattaneo)

Seven (Video)



martedì 3 novembre 2020

DANIELE SOLLO, Order and Disorder (2020)

 

Il titolo dell'album mette in evidenza il concetto di ordine e disordine, temi cari a diverse scuole filosofiche e alle teorie di Wilhelm Reich. L’ordine e il disordine sono profondamente legati, inoltre caratterizzano la composizione dell’album: elementi diversissimi fra loro – “caotici” – che generano un qualcosa di armonico, omogeneo, e viceversa. Così Daniele Sollo presenta Order and Disorder, esordio solista del bassista napoletano ma corale, visti i tanti ospiti presenti lungo le sei tracce che lo compongono, figlie delle sue esperienze con Hostsonaten, VisionAir e Stefano Agnini. L’iniziale 11-IX-1683 ha una matrice hard prog a cui partecipano Marco Dogliotti (cantante che abbiamo avuto modo di conoscere negli Hostsonaten), il bravissimo Domenico Cataldo alla chitarra, Samuele Dotti dei Mogador alle tastiere e Maurizio Berti alla batteria, una formazione notevole che apre davvero ottimamente il lavoro. Nella strumentale Turn left Sollo ci delizia con fraseggi ragguardevoli, sostenuto dalle tastiere e dalle sagge programmazioni di Jason Rubenstein dei The Hypersonic Factor (ma ha alle spalle anche una lunga carriera solista), mentre A journey, con i suoi 11 minuti, mostra tutto il lato progressive del progetto, complici anche le prove di Alessandro Corvaglia (voce di La Maschera di Cera), Stefano Agnini (tastierista dei La Coscienza di Zeno) e Valerio Lucantoni (batterista dei The Wormhole Experience). In my arms è il brano più curioso del disco, con Sollo che si muove elegante sull’arrangiamento d’archi creato da Luca Scherani (La Coscienza di Zeno, Hostsonaten, Periplo, Trama), oltre che sullo spoken di Fabio Zuffanti. Anytime anyplace è un altro momento molto strutturato, ma Daniele è bravissimo nel costruire partiture complesse eppure profondamente melodiche, aiutato dalle sapienti tastiere di Scherani e dall’interpretazione sentita di Corvaglia. La conclusiva Pavane in F# Minor mostra tutto il talento di Sollo, che si destreggia tra il suo basso e le tastiere, validissimo finale di un album suggestivo e profondo. (Luigi Cattaneo)

Album Teaser



mercoledì 28 ottobre 2020

BULLRING, Break down the gate (2019)

 

Break down the gate è l’esordio assoluto dei Bullring, trio formato da Luca Ferraresi alla batteria (ex membro dei Perfect View), Dave Pola alla chitarra (già insieme nei Big Ones) e Remo Ferrari (voce e basso). Are you shining? è lo scoppiettante e irriverente inizio alla Foo Fighters, You’re just what you’re fighting for profuma di grande hard rock ed è impreziosita dalla chitarra di Alex De Rosso, l’influenza dei Black Stone Cherry arriva diretta in My darkest shadow, mentre predilige un approccio atmosferico la successiva Violet’s song. Dirty paradise unisce forza e pathos, Fear killing anthem è uno dei brani più tirati ed heavy del lavoro, Jackhammer è invece più cupa, prima delle belle melodie di Amy and me. You cannot hurt me vibra di elettricità, I’ll snatch your tongue gode della presenza di Luca Princiotta (chitarrista di Doro), freschissima e sfrontata I’m too old, che risente del passato Big Ones (cover band degli Aereosmith ma con diversi brani propri incisi). La chiusura di Idea4 celebra Break down the gate come puro hard rock, di quello energico e vigoroso, suonato con efficacia da un power trio influenzato dai Black Label Society, dagli Alter Bridge, dagli Skid Row e vicino in alcuni momenti agli americani Saliva, bravissimi nel creare brani immediati ma costruiti con cura, aggressivi ma con un occhio costante all’aspetto melodico e comunicativo della proposta. (Luigi Cattaneo)

You’re just what you’re fighting for (Video)



martedì 27 ottobre 2020

PERFECT ERA, Beneath the clouds we dream (2019)

 

Nativi del Connecticut, i Perfect Era debuttano con questo ottimo Beneath the clouds we dream, uscito nel 2019 come autoproduzione e pieno di spunti che faranno la felicità degli appassionati di progressive. Arnab Sengupta (voce), Todd Paskin (chitarra), Roger Bush (tastiere), Don Beatrice (basso) e Brian Hopkins (batteria) sfoderano un debutto davvero interessante, che si muove con consapevolezza tra il prog più classico e quello a tinte heavy, tra sinfonismi dai toni vellutati e partiture in odore di Dream Theater e Fates Warning, caratteristiche che troviamo nell’iniziale No absence of memory’s glow, partenza di rilievo dell’album e capace di unire fraseggi catchy e sezioni strumentali di spessore. No needs to explain mostra come il gruppo di Milford sia ben attento nel bilanciare melodia e ricercatezza strutturale, ricordando proprio i grandissimi Fates Warning. Clandestine worlds mette in luce il grande lavoro d’insieme del quintetto, che per l’occasione si riallaccia maggiormente al prog settantiano, mentre The skyline dream sembra guardare ai Rush di A farewell to Kings e Hemispheres. La sentita Lost again, vicina ad alcune cose dei Crimson Glory dell’indimenticato Midnight, e Tides rush in, ponte tra gli anni ’70 e il progressive del 2000, chiudono un esordio solido, sognante come da tradizione e ricco di creatività. Per acquistare in digitale o nel formato fisico (che consiglio visto anche il bel booklet con tutti i testi) potete contattare la band alla seguente pagina https://perfectera.bandcamp.com/album/beneath-the-clouds-we-dream , oltre che su tutti i social network (Luigi Cattaneo)


The absence of memory's glow (Video)




lunedì 26 ottobre 2020

BARAFOETIDA, 777 Obscura Somnia (2020)

 

Quinto album in studio per i Barafoetida (ci sono anche due ep e una colonna sonora), trio formato da Luke Warner (voce, theremin, synth e programmazione), Triplax Vermifrux (programmazioni elettroniche) e Denny Z (tastiere, synth e programmazioni), che con 777 Obscura Somnia faranno la felicità di chi è ammaliato dalle sonorità oscure della darkwave, dall’impatto nero del gothic e dalle pulsioni della scena industrial. La forte vena elettronica trova la sua voce nell’iniziale 777, che incontra nelle note acustiche della chitarra di Marco Paltanin degli Eloa Vadaath il brillante contraltare, mentre God of nothing vede la formazione allargarsi con le presenze di Diego Banchero di Il Segno del Comando al basso e Fabio Pieretto alla chitarra (ex membro della band), con il quintetto che amalgama un sound potente e con qualche spunto hard, che ben si bilancia con la natura industrial del brano. In When my soul leaves the body è invece presente Luca Nagliati al basso, per una traccia vicina alla new wave ottantiana, prima della notevole dark ballad Blind, davvero piena di pathos e di Ride the sky, dove troviamo Antony Crepaldi degli Egofobica alla chitarra, che mi ha ricordato qualche episodio della discografia dei Death SS. Le screziature wave tornano prepotenti in Exodus, micidiale è invece il chorus di Obscura Somnia, con tanto di dichiarazione d’amore per i Sopor Aeternus, pezzo perfetto per i dancefloor dark. L’elettronica si impossessa della scena con Ruins and despair, validissima anche la seguente The left hand path, così come ben eseguita è la cover di Alice dei Sisters of Mercy, una delle band che ha maggiormente avuto peso nel progetto Barafoetida. La malinconia di The end chiude un lavoro di ottima fattura, caldamente consigliato a quanti amano certe oscure sonorità di matrice elettronica. (Luigi Cattaneo)

When my soul leaves the body (Official Video)



mercoledì 21 ottobre 2020

KONRAD, Luce (2019)

 

Non è un nome nuovo Konrad, che i più attenti ricorderanno per le esperienze con Hype e Radiolondra (questi ultimi lavorarono al disco d’esordio con Mauro Pagani e Rocco Tanica) e per un debutto, Carenza di logica, uscito nel 2013 con l’etichetta Music Force, collaborazione che viene confermata dal nuovo Luce. L’album, registrato insieme a Valerio Fuiano (ex chitarrista dei Radiolondra, qui impegnato anche al banjo, all’ukulele, al sitar, all’armonica e al piano), Fabrizio Iarussi (basso) e Mario Canfora (batteria), vede Konrad districarsi alla voce, alla chitarra e all’ukulele, in un viaggio a base di folk, pop e cantautorato, ora con brani cantati in italiano, ora in inglese. E sono proprio questi ultimi quelli che convincono maggiormente, a partire da The man that I am, intrisa di gradevolissimo folk, che fa il paio con la dolcezza di Your eyes e il pop rock di No sun will be ever brighter than you. Four? e Still on your road si imbevono di folk americano, ricordando qualche episodio di Ryan Bingham, mentre Seattle è una delicata e intensa ballata vicina agli ultimi lavori di Graziano Romani. Un’ultima citazione la merita Sleep tonight, breve ma ancora una volta decisamente riuscita. Buon ritorno per Konrad, che mi ha appassionato soprattutto quando si avvicina ai folk singer americani, ma nel complesso la prova è sicuramente positiva e molto piacevole. (Luigi Cattaneo)

Your eyes (Video)



martedì 20 ottobre 2020

EGON, 100000 Km di vene (2017)

 

Già piacevolmente colpito dall’esordio Il cielo rosso è nostro del 2016, 100000 km di vene, uscito l’anno seguente, ripercorreva la stessa strada contrappuntata di new wave, alternative rock e post punk, confermando le tante qualità della band, divenuta nel frattempo un quartetto (Marcello Meridda alla batteria, Marco Falchi alla voce e alla chitarra, Francesco Pintore al basso e Davide Falchi alla chitarra). La via maestra la traccia I’m alive, tra grunge e new wave, oscura e malinconica è invece Invisibile, prima della maestosa carica di Notti senza luna. L’idea di trovarci dinnanzi ad un disco davvero importante viene consolidata dalla seguente Superficie e dalla furia di Per non morire mai, che ricorda alcuni momenti della discografia targata Il Teatro degli Orrori.  La lieve Terraferma e Oscurità sono invece in odore di Marlene Kuntz, mentre I hold you in my arms mostra come i sardi si muovano con disinvoltura anche quando si allontanano dalla lingua madre. La chiusura è affidata a una versione acustica di I’m alive, buona conclusione di un lavoro che mette di nuovo in risalto il talento del gruppo, che meriterebbe molto di più, in quanto trovo la proposta sì aggressiva e potente ma anche estremamente suggestiva e comunicativa, adattissima anche ad una platea più ampia di quella che riconosce le qualità insite in questa band davvero molto interessante. (Luigi Cattaneo)

Per non morire mai (Video)



lunedì 19 ottobre 2020

S91, Along the sacred path (2019)

 

C’è un sottofilone del metal e del rock che racchiude al suo interno band con background parecchio differenti, unico comune denominatore le tematiche legate al cristianesimo. Tra i gruppi di spicco del Christian Metal impossibile non citare gli Stryper, ma la lista è davvero lunga e piena di gruppi che nel corso dei decenni si sono mossi con disinvoltura tra i più disparati stili. Fanno parte di questa categoria gli S91, nati nel 2006 con l’intenzione di sviluppare liriche di matrice cristiana su un tessuto musicale imbevuto di prog metal e sinfonico, elementi che sono ben presenti anche nel nuovo Along the sacred path, uscito nel 2019 per Rockshots Records e terzo disco dei toscani. Il concept, che racconta le gesta di personaggi importanti per lo sviluppo del messaggio evangelico, parte subito in modo potente con Constantine the great, che presenta tratti epic e un’attitudine heavy dosata da melodie suggestive. L’uso della doppia voce (la bravissima Maria Londino ma anche Francesco Romeggini e Giacomo Mezzetti, rispettivamente chitarra e batteria della band) è caratteristica peculiare del loro sound, che trova in Saint Patrick il momento da incorniciare, tra spunti aggressivi e soluzioni tecniche in odore di power prog (con Labyrinth e Vision Divine sullo sfondo). Toni soffusi per la seguente Pope Gregory I, che si scontra con l’energia heavy di Olaf II Haraldsson (ottima la prova di Giacomo Manfredi al basso), mentre le tastiere di Francesco Londino armonizzano le sontuose trame di Joan of Arc e Martin Luther. Egidio Casati dei Boarders presta la sua voce in Godfrey of Bouillon, ma è la doppietta finale formata da John Williams e Dietrich Bonhoeffer a definire le coordinate di un lavoro che mette insieme il progressive delle radici, voglia di esplorare suoni più moderni e piccoli zampilli di thrash metal (Romeggini porta in dote il suo vecchio percorso a nome Sacredfice, due dischi tra il 2013 e il 2014), summa di un lavoro scritto e prodotto egregiamente. (Luigi Cattaneo)

Saint Patrick (Video)



giovedì 15 ottobre 2020

SABRINA SCHIRALLI, Innamorata (2019)

 

Primo disco per Sabrina Schiralli, che arriva a questo esordio dopo anni di studio (laureata presso il Conservatorio di Bari in pianoforte e oboe) e dopo aver lavorato nell’orchestra di Al Bano. In Innamorata la Schiralli, insieme a Claudio Gala (batteria) e Gennaro Di Gennaro (chitarra), ha elegantemente reinterpretato classici italiani e stranieri instillandoli di pop, soul e jazz, tra cui spiccano l’immortale Mi sono innamorata di te di Luigi Tenco, Va bene, va bene così di Vasco Rossi, omaggiata in modo raffinato, e Respiro di Franco Simone. Il disco si chiude con un inedito, Torno qui, molto pop, mondo a cui probabilmente Sabrina si sente legata, complice forse anche il fatto di aver lavorato con Al Bano, decano di Sanremo e sulla scena della musica leggera italiana da più di 50 anni. (Luigi Cattaneo)

Mi sono innamorata di te (Video)



mercoledì 14 ottobre 2020

MEGÀLE, Imperfezioni (2019)

 

Esordio per i Megàle, duo formato da Stefania Megale (voce, sax, clarinetto, synth e sega musicale) e Francesco Paolino (chitarra, drum machine e synth), che con Imperfezioni firmano un debutto suggestivo e di grande creatività. Il folk acustico si imbeve di elettronica, con i violini di Laura Comuzzi e Vienna Camerota che si sposano con le parti elegantemente scolpite nel suono da Angelo Epifani e Rocco Marchi dei Mariposa, che si occupano delle programmazioni insieme a Paolino. Le dinamiche giovano di una variegata combinazione di sonorità, un calderone elettroacustico in cui non mancano gli elementi ritmici profusi da Francesca Baccolini degli Hobocombo al contrabbasso e dalla coppia di batteristi utilizzata, Simone Cavina (Junkfood ma anche Iosonouncane) e Enzo Cimino (Mariposa, Saluti da Saturno), musicisti di spessore che hanno donato ulteriore grazia al ricercato lavoro di scrittura esercitato dal duo. Folk cantautorale, alternative, elettronica, tutto meravigliosamente fuso in un percorso corale lodevole, particolare e raffinato, una progressione di emozioni arcane e moderne che trovano il proprio apice nella conclusiva gemma di Sull’acqua. (Luigi Cattaneo)

Sull'acqua (Video)



martedì 13 ottobre 2020

PORTFOLIO, Stefi Wonder (2020)

 

Quinto album per i Portfolio, band formata da Tiziano Bianchi (tromba, filicorno, basso, piano, tastiere, voce e percussioni), Emilio Marconi (chitarra e voce), Bojan Fazlagic (chitarra, tastiere, basso ed elettronica), Giacomo Parmeggiani (voce) e Marco Frattini (batteria), che avevamo lasciato ben sei anni fa con la pubblicazione di Due. Quel disco, di cui parlammo ai tempi della pubblicazione, si concludeva con la lunga Three Song about Lenin, strumentale tra soundtrack e post rock che lasciava intravedere sviluppi sonori inediti, in parte confermati dall’avventura solista di Bianchi, con quel Now and Then uscito nel 2016 e che purtroppo non ha ancora avuto un seguito. La band reggiana sceglie con il nuovo Stefi Wonder un approccio pop, con una serie di brani diretti e brillanti, curatissimi negli arrangiamenti e vicini alla forma canzone tout court. Non mancano momenti più particolari come Fluidità e Scuola Strumentale Reggiana, che si alternano con pezzi dal taglio radiofonico (la title track, Io e Stan) e altre di malinconico cantautorato (Agosto, Che gioia). Ritorno convincente sotto tutti i punti di vista, ponte tra il mainstream e l’indie, variegato ma senza perdere d’unità complessiva. Il tempo trascorso non ha scalfito la bontà del progetto, che si conferma come una bella realtà dell’underground nostrano. (Luigi Cattaneo)

Stefi Wonder (Official Video)