lunedì 30 agosto 2021

NODO GORDIANO, Sonnar (2020)

 

Nati nel lontano 1994, i Nodo Gordiano sono formati da Filippo Brilli (sax), Andrea De Luca (chitarra, basso e tastiere), Davide Guidoni (percussioni e tastiere) e Natalia Suvorina (voce), musicisti influenzati sì dal progressive settantiano ma anche da una vena sperimentale che li ha portati a crearsi una propria identità artistica. Sonnar, uscito nel 2020 per Lizard Records, è il quinto disco dei romani, nuovamente artefici di un lavoro strutturato, ennesimo sforzo creativo della band che si muove sotto la supervisione di De Luca, mastermind e unico punto fisso di questa storia quasi trentennale. L’album mette insieme psichedelia, rock e prog, una ricerca che arricchisce ulteriormente un sound composito e affascinante, che si barcamena tra pulsioni alla Van Der Graaf Generator (Limbic Rendez-Vous), raffinato progressive (la title track) e visioni ancestrali (Vanth). Discorso a parte per l’enorme suite After dusk, che è la sintesi di un percorso fatto di suggestioni, incubi e sogni. Il lavoro è diviso in tre momenti che ruotano attorno all’esperienza dell’Altro, separati tra loro da demoni che, come nella tomba degli Anina, custodiscono il mistero del Fuori, e si conclude con i versi dell’inno a Surya, a memoria del simbolismo solare che anche nelle tenebre, lo pervade. (Luigi Cattaneo)

Sonnar (Video)



venerdì 20 agosto 2021

AMUSIN' PROJECTS, Mistery in the making, Vol.3 (2021)

 


Dopo Mistery in the making, Vol. 2 ecco la volta del capitolo terzo per Amusin’ Projects, monicker dietro cui si cela Arsen Palestini, rapper e compositore attivo già nei ’90 con i Menti Criminali. Questo Vol. 3 conferma la voglia di Arsen di confrontarsi con musicisti, produttori e beatmaker, in un elegante mix di hip hop, jazz ed elettronica, con l’autore che suona anche i synth e lo xilofono in alcuni momenti del disco. Blessings apre l’album su una base screziata di jazz, su cui Arsen si muove agile e sicuro, Worst Case Scenario è più vicina al crossover di matrice americana, mentre la breve The last mardi gras before the lockdown celebra la festa del Bove Finto di Offida con un sample di bossanova creato da Fidel Kato. Freezin’ cold guarda invece ad Oriente, prima delle oscure suggestioni di Town for sale e della conclusiva There is an error here, coda strumentale insolita e singolare finale di un lavoro ancora una volta interessante. (Luigi Cattaneo)

giovedì 19 agosto 2021

LEO BONI, The ring (2021)

 

Terzo lavoro per Leo Boni, che torna dopo ben 10 anni da Sogno toscano e lo fa con un disco influenzato da ritmi afro-americani, background che lo accompagna da quando negli Stati Uniti collaborava con Sax Gordon, Buddy Jhonson o Earring George e che si è definitivamente consolidato dopo un periodo in Mozambico, dove si è esibito come frontman per ben due anni. Boni si divide tra canto, chitarra e percussioni, con Marco Barsanti (batteria) e Francesca Taranto (basso) che formano una sezione ritmica solida e senza fronzoli, ideale per le trame costruite dal compositore. Le cose migliori di questo The ring sono la strumentale Pinocchio Ray Blues, dove si percepisce l’amore per il Rhythm & Blues e il Rock ‘n’ Roll, Uozzon, registrata insieme ad Eric Schenkman, chitarrista e fondatore degli Spin Doctors e l’omaggio a B. B. King di Riley the king. Non sono da meno però la dinamica Mermaid, il tributo a Leon Russell di This masquerade e il travolgente blues conclusivo di This town, bel finale di un prodotto godibile ed estremamente piacevole. (Luigi Cattaneo)

Riley the king (Video)


 

mercoledì 18 agosto 2021

STEFANO PANUNZI, Beyond the illusion (2021)

 

Nuovo lavoro per Stefano Panunzi, tastierista di cui abbiamo spesso parlato da queste pagine sia per i suoi dischi da solista che per il progetto Fjieri, espressioni di una personalità forte e di una meticolosa cura per il prodotto finale, che lo portano a pubblicare album solo quando ha qualcosa di realmente interessante da dire. Non fa eccezione questo Beyond the illusion, altro esempio di progressive influenzato tanto dai King Crimson quanto da No Man e Porcupine Tree, un collage di suoni che non disdegna il jazz, l’elettronica e l’ambient, richiamando quanto fatto da Richard Barbieri e dai Japan. La lunga strumentale When even love cannot apre il disco, con il solo Panunzi accompagnato dal violino di Monica Canfora, un inizio dai toni spettrali che lascia poi spazio all’ottima costruzione di The awakening e a The bitter taste of your smile, registrata in trio con Cristiano Capobianco alla batteria e Lorenzo Feliciati al basso, sezione ritmica notevole al servizio di un momento davvero brillante. Acid love ripropone il duo con la Canfora, e l’episodio è nuovamente velato di malinconia, una soundtrack immaginifica che sfocia nell’elegante I go deeper con Tim Bowness alla voce (pezzo già presente nel suo disco Flowers at the scene) e prosegue con Mystical tree, suggestiva traccia dove Panunzi viene stavolta sostenuto dalla tromba del bravissimo Luca Calabrese e dall’energico basso di Fabio Fraschini. Sulla stessa falsariga la raffinata The bench (ma alla tromba abbiamo Mike Applebaum), piena di classe e dai toni cantautorali Her, prima di We are not just what we are, dove l’ospite d’eccezione è Gavin Harrison alla batteria. Il disco termina con l’autorevole trittico formato dalla delicata The portrait, la più aggressiva e oscura The doubt e I’m, conclusione strumentale dedicata a John Clare, poeta inglese dell’ottocento, finale di un album che si candida ad essere come uno dei migliori in ambito prog di questo 2021. (Luigi Cattaneo)

The portrait (Video)



domenica 15 agosto 2021

MARBIN, Ten years in the sun (2020)

 


Uscito nel 2020 insieme a Russian Dolls a firma Marbin, Ten years in the sun è un lavoro per sola chitarra di Dani Rabin, un escamotage molto gradevole dove l’acustica, con le sue atmosfere delicate, diviene centro focale di brani tanto brevi quanto appassionati. È lo stesso Dani a raccontare la storia dietro l'album: “La pandemia ha catturato la mia band, i Marbin. La band era da pochi giorni impegnata in un tour di trentasette giorni quando abbiamo dovuto cancellare tutti i nostri spettacoli, tornare indietro e guidare per 3.000 miglia fino a casa, a Chicago. Sapevo che era la cosa giusta da fare perché non volevo mettere in pericolo i nostri fan e i membri della band, ma ero comunque scoraggiato. Quando ero a casa stavo cercando di trovare un modo per mantenere il mio slancio creativo e mi sono imbattuto in un vecchio taccuino pieno di idee e frammenti di canzoni che non abbiamo mai usato e ho capito subito cosa dovevo fare. La chitarra acustica ha una qualità rilassante e offre all'ascoltatore un'esperienza molto intima”. Rabin disegna piccoli scenari di grande fascino, melodici e freschi, godibili non solo per i chitarristi ma per tutti quelli che cercano emozioni, in un turbinio di jazz, arrangiamenti classici e profonda spiritualità. Esecuzioni perfette e una varietà di soluzioni liriche completano il quadro di un disco consigliato non solo agli amanti della band di Chicago. (Luigi Cattaneo)

giovedì 12 agosto 2021

VODA, Amphibia (2019)

 

Ci siamo occupati dei polacchi Voda (Radek Kopec alla chitarra, alla voce, ai synth e al pianoforte, Dawid Wolczasty al basso e Michal Obrok alla batteria) in occasione dell’ultimo Parallaxis, sontuoso live album pubblicato nel 2020, e oggi facciamo un passo indietro andando a parlare di Amphibia, secondo lavoro della band uscito nel febbraio del 2019. Chi conosce già la band sa perfettamente quanta potenza e attitudine ci sia nel rock venato di blues del power trio, una sequela di idee al servizio di brani eccezionali come Turnin’ Around e Modern D-Grayed, le prime due perle di questo lavoro. Solide anche le seguenti Nine lives e la strumentale Tiptoes, prima della brillante verve di Powerfool e di Empathy, traccia dalla frizzante trama melodica. La breve title track anticipa la prorompente Real, mentre Old town con i suoi sei minuti chiude in maniera ottima un disco ricco di sano groove. (Luigi Cattaneo)

Turnin' Around (Video)



lunedì 9 agosto 2021

DONATELLO D'ATTOMA, Oneness (2020)

 

Dopo il conseguimento del diploma in Organo e composizione organistica al conservatorio di Monopoli (BA) e la laurea in Musicologia presso la Facoltà di Musicologia di Cremona, Donatello D’attoma inizia un percorso di formazione sul jazz dapprima a Cremona con Roberto Cipelli e in seguito, a Torino, con Dado Moroni, Furio di Castri ed Emanuele Cisi. Nel 2010 produce il suo primo disco Logos per l’etichetta Pus(H)In Records. Segue un’intensa carriera concertistica in Italia e all’estero, in particolare in Francia, Germania, Russia e Polonia, collaborando con grandi musicisti italiani e stranieri tra cui Marco Tamburini, Giovanni Falzone, Amedeo Ariano, Bjorn Vidar Solli, Vladimir Kostadinovic, Hikari Ichihara, Domenico Caliri, Robertinho De Paula. Oneness, uscito nel 2020 per Dodicilune, è il suo quinto lavoro, registrato insieme ad Alberto Fidone (contrabbasso) e Enrico Morello (batteria), album che mostra la grande cultura di Donatello, che spazia da temi legati alla tradizione del genere a quelli di matrice europea e italiana. Difatti Fluorescent light e la title track, poste ad inizio disco, fanno pensare all’arte, delicata e umana, di Luca Flores, con un tocco di musica da camera che si percepisce qua e là durante l’opera. La grande simbiosi del trio ci porta in dono Crazy elevator (Collision point), altro momento sviluppato con coralità dai musicisti, prima di Vortex of light particles e Mare bianco, tra Bill Evans, Bud Powell e Thelonious Monk, riferimenti immortali omaggiati senza divenire specchio riflesso di un suono ancora oggi ricco di fascino. Il jazz dei ’50, il Be Bop ma anche un certo classicismo, collante e fondamenta delle matrici qui erte dal pugliese, che con Clarity e l’atmosferica Purple sunset conferma un’estetica vicina a quella di Gabriele Bulfon e Dario Yassa, contemporanei e autori di prove sempre convincenti. La chiusura di Coming on the Hudson è il tributo finale a Monk, conclusione di un ritorno importante, sostanzioso e che pone D’attoma come una delle realtà del jazz italiano da seguire con maggiore curiosità. (Luigi Cattaneo)

Oneness (Video)



sabato 7 agosto 2021

CESSPOOL OF CORRUPTION, Eradication of the Subservient (2016)

 

Uscito originariamente in forma autoprodotta nel 2016, Eradication of the subservient è il primo ep dei texani Cesspool of Corruption, ristampato sul finire del 2020 dalla Gore House Productions di Los Angeles. La musica del quartetto formato da Matt Leach (chitarra), Blake Humphrey (chitarra e voce), Mike Leach (basso e voce) e Brennan Shackelford (batteria) è un concentrato violentissimo di brutal e death metal tecnico, tra Suffocation, Abysmal Dawn e The Black Dahlia Murder. Ubiquitous presence apre le danze in maniera claustrofobica e pesantissima, un’aggressione che si stempera in alcuni momenti leggermente più ragionati, ma che non fanno perdere un’oncia di malignità alla band. Ritmiche solidissime e linee di chitarra molto interessanti e a tratti melodiche segnano Technological enslavement e Emergence of truth, accattivanti pur muovendosi in un ambito greve e oscuro, serrato e decisamente brutale. La title track mette insieme classico death metal americano con vagiti thrash, ennesima prova feroce e tecnica, mentre la chiusura di Humanoid in form è un lungo viaggio di 9 minuti circa, sapientemente costruito tra riff in odore di Necrophagist, soli fluidi e una struttura complessiva che può ricordare i Death, piccolo gioiellino di un esordio che farà felici gli amanti delle sonorità più estreme. (Luigi Cattaneo)

Technological enslavement (Video)



mercoledì 4 agosto 2021

MARBIN, Russian Dolls (2020)

 


Nuovo lavoro per i Marbin, trio attivo dal 2007 formato da Danny Markovitch (sax), Dani Rabin (chitarra e basso) e Antonio Sanchez (batteria, spesso presente nella band di Pat Metheny), che mette da parte in questi 35 minuti le pulsioni più aggressive della loro musica per sfoderare 35 minuti di grande jazz strumentale, velato di musica popolare israeliana e tango. La classe del gruppo di Chicago (molto conosciuto in patria soprattutto grazie al passaparola tra appassionati) si denota sin dall’iniziale When there becomes here, che sorprende per un approccio lieve, anche vintage nell’impostazione, ma assolutamente credibile, proprio come Yellow roman candles, che si fa più movimentata, aumentando il groove con il passare dei minuti. Ships at a distance sembra omaggiare gli anni ’20 e ’30 del genere, Years that answer e Things od dry hours confermano la centralità di Markovitch in questo disco, che guarda con occhi curiosi alla tradizione di Charlie Parker, Julian Adderley e Sidney Brechet, sfumata nell’innovazione di un approccio world affascinante. È lo stesso sassofonista a spiegare di seguito le origini dell’album: All'inizio della pandemia di Covid-19, mia moglie ha trovato un vecchio taccuino di musica mentre riordinava la casa, e al suo interno c'erano molte canzoni che ho scritto e che non ho mai avuto modo di usare. Discutendole con Dani Rabin, abbiamo deciso che c'era più che abbastanza sostanza nelle canzoni per fare un album utile, a patto di poter reclutare un grande batterista jazz, il che è un eufemismo quando si parla di Antonio. Il titolo dell'album si riferisce a un'idea di un saggio scritto da mia moglie, che è ucraina e ha diversi set di queste bambole russe che nidificano. Fondamentalmente, vede le bambole non come una famiglia, ma come una sola persona che accumula una collezione di sé. Come il nostro sé bambino e il sé adolescente e il sé universitario sono tutte persone diverse che vivono dentro di noi, il modo in cui le bambole vivono l'una dentro l'altra. Ho pensato che fosse un nome perfetto per l'album poiché le canzoni sono state scritte in momenti diversi della mia vita: due, cinque, dieci e persino vent'anni fa. Quando ho scritto ognuna di queste canzoni ero un musicista diverso: un ragazzino che aveva appena preso in mano il sassofono e ne stava diventando ossessionato; un soldato improvvisamente ispirato durante il suo fine settimana a casa dall'esercito; un nuovo immigrato negli Stati Uniti che vive a Chicago”. Insieme a Russian Dolls è possibile acquistare anche Ten years in the sun (solo guitar) dove Rabin fa sfoggio di tutte le sue grandi doti. Maggiori informazioni al sito https://marbinmusic.bandcamp.com/ (Luigi Cattaneo)


martedì 3 agosto 2021

YAWNING MAN, Live at Maximum Festival (2021)

 

Bellissima operazione della nostrana Go Down Records, che ripropone in versione rimasterizzata (sia in vinile che in cd) Live at Maximum Festival degli Yawning Man, storico trio formato da Gary Arce (chitarra), Alfredo Hernandez (batteria, ex Kyuss e Queen of the Stone Age) e Mario Lalli (basso). La performance dal vivo della band risale al 2013, anno in cui i californiani arrivarono in Italia con la formazione storica, quella che nel lontano 1986 iniziò a muovere i primi passi nella scena psichedelica stoneriana americana. Secondo Brant Bjork (Kyuss, Fu Manchu) gli Yawning Man erano la desert band più assurda di tutti i tempi. Ti bastava essere lassù, nel deserto, con tutti gli altri ed apparivano loro, sul loro furgone, tiravano fuori la loro roba e la montavano proprio nell'ora in cui il sole calava, attivavano i generatori, a volte potevano stare semplicemente lì a bere birra. Altre volte era uno spettacolo; altre volte ancora si creava un ambiente intimo. Era tutto molto casuale e rilassato. La gente stava lì a sballarsi, e loro continuavano a suonare per ore. Sono la più grande band che abbia mai visto!

L’importanza storica di questa cult band viene certificata dalla cover di Catamaran che nel 1995 i Kyuss inseriscono in And the circus leaves town, caso unico di gruppo omaggiato senza che abbia pubblicato nulla di ufficiale (se non due demo tape). Difatti solo nel 2005 gli Yawning Man esordiscono con Rock formations, iniziando a suonare in giro per l’Europa e ad acquisire una fan base che sono certo accoglierà con gioia questo memorabile documento. 7 brani strumentali dove il power trio dà sfoggio di un suono stratificato, desertico e psych, figlio di variabili elettriche imponenti come un treno in corsa. L’ipnotica Rock formations apre il set, prima delle magiche evocazioni di Far-off Adventure e Stoney lonesome, mentre Manolete e Dark meet sono lì a ricordare il perché dell’influenza del gruppo sui musicisti stoner degli ultimi 25 anni. Imperdibile. (Luigi Cattaneo)

Full Album Video



QUADRI PROGRESSIVI, Pink Floyd at Marquee March 15th 1966

 

Pink Floyd appeared at the Marquee Club in London in 1966. It was at this show that future co-manager Peter Jenner saw the band live for the first time, and later that year, the band signed a management contract with Jenner and Andrew King. And the rest, as they say, is history. (fonte steffichfineart.com) 

Il poster originale della serata è stato rivisto da Lorena Trapani, che ne ha fatto una sua versione su carta, attraverso una tecnica mista di matite colorate ,colori acrilici e china. L'ennesimo omaggio che arricchisce la galleria della sezione Quadri.

lunedì 2 agosto 2021

CASSANDRA'S CURSE, Groom Lake - Act 1 (2019)

 

Primo album per i Cassandra’s Curse, band di Dallas formata da Charan Spida Fingaz (voce, chitarra e basso) e Kelley Raines (tastiere), duo che nei cinque brani presenti in questo Groom Lake – Act 1 si fa accompagnare da una serie di musicisti scelti per l’occasione. Il disco è il classico album a forma di concept, con i lunghi pezzi proposti legati tra loro da brevi intermezzi funzionali al racconto, uno script legato alla storia dell’Area 51. Progressive e fantasy si fondono in un’atmosfera tipica del genere, con Labyrinth apripista e saggio della bravura degli americani nell’alternare parti heavy e passaggi melodici, una costruzione sapiente che ricorda le evoluzioni dei Threshold e a cui partecipano Buddy Griffin alla batteria e Canyon Kafer al basso. Anche Flight evidenzia come la band prediliga ampie strutture dove muoversi con ambivalenza, tra riff saturi ed escursioni tastieristiche space, prima di Defiance, che ha un’attitudine piuttosto metal prog, con frangenti al limite del thrash e un’ottima prova di Raines (in entrambi i brani troviamo Rishab Thadani alla batteria). Weapons of mass dominance è una solenne marcia, oscura e pesante, mentre il finale di 1947 sembra guardare maggiormente ai Dream Theater, anche se il gruppo appare come uno dei punti di riferimenti generali dai texani (composizioni dove la sezione ritmica è affidata a Nicholas Burtner alla batteria e Gary Sanders al basso), conclusione di un lavoro interessante e che lascia ben sperare per una seconda parte ancora più avvincente. (Luigi Cattaneo)

1947 (Video)