A distanza di più di quarant'anni Claudio Rocchi rimane uno dei personaggi più interessanti e curiosi
degli anni ’70. Inizia giovanissimo ad appassionarsi di musica
e la fervida scena milanese lo aiuta nello sviluppare passioni ed ideali che lo
vedranno nel corso degli anni sempre più impegnato e cosciente dei propri
mezzi. Ma forse non tutti sanno che la carriera di Rocchi passa attraverso la
breve avventura avuta con uno dei gruppi più rappresentativi del periodo, ossia
gli Stormy Six con cui ha inciso nel 1969 Le
idee di oggi per la musica di domani suonando il basso e scrivendo diversi
brani. Ma una band rischiava di soffocare la creatività e la voglia di
comunicare del giovanissimo Rocchi, che decide ben presto di abbandonare il
gruppo che sta per diventare punto di riferimento della canzone politica e
sociale. Da qui nasce il primo disco del cantautore milanese, quel Viaggio dove Rocchi si affida completamente
alla sua voce e alla sua chitarra facendosi aiutare da un prestigioso
collaboratore, Mauro Pagani al violino e al flauto. È bene dire che non si
tratta di progressive anche se ci sono dei momenti, soprattutto dettati dal
flauto, che riportano a certe sonorità. È il disco di un autore menestrello che
sceglie una via alternativa a quello che proponevano allora i cantautori e lo
fa senza darsi barriere di sorta, cercando un linguaggio poco riscontrabile in
Italia, che lo avvicina per certi versi alla psichedelia. Che sia una sua personalissima
ascesi contemplativa alla vita, alle divinità, all’uomo? O più semplicemente
Rocchi cattura l’essenza delle situazioni quotidiane e le frustrazioni che ne
possono derivare? Se ci si sofferma con attenzione e si indaga tra le pieghe
del rapporto testo-musica di questo esordio ci si accorge come sia un album
carico di allucinazioni e di sogni. Quelle di un cantautore diciannovenne che
si interroga e prova in maniera personalissima a trovare risposte adeguate a
pensieri e turbamenti.
L’apertura affidata a Ouvres è il momento più sperimentale, un
introduzione fatta di suoni e rumori che per essere il 1970 fa un certo
effetto … Ma il disco va in tutt’altra direzione già dalla successiva La tua prima luna, dominata da un
arpeggio di chitarra molto delicato e dal canto di Rocchi che viene spezzato da
quello lieve di Roberta Rossi. Brano davvero ideale per comprendere come si
muoveva il cantautore ad inizio carriera. In Non è vero si nota soprattutto la presenza di Pagani al violino, che
addolcisce ulteriormente un brano che ho sempre trovato un po’ insipido e
figlio della giovane età di Rocchi. Meglio con Ogni uomo, decisamente più interessante nel suo incedere percussivo
dettato dai bonghi di Rocchi stesso, che viene accompagnato dal flauto di Pagani
bravo nel donare intensità al brano e a rivestirlo di una sana dose di
emozionalità. Gesù Cristo è un mantra
psichedelico semplice ma efficace, affascinante anche nella sua ripetitività,
drammatico e capace di ammaliare ancora a distanza di 46 anni per via di quel
disagio esistenziale che ritroviamo un po’ in tutto il lavoro. C’è qualcosa di
Ian Anderson dei Jethro Tull nel flauto suonato da Pagani in I cavalli, un’altra ballata acustica
molto breve a cui fa seguito Acqua, composizione
adornata con risvolti teatrali e cupi, soprattutto nella parte recitata da
Rocchi che si lancia in un implorazione dolorosa e penetrante. 8.01.1951 ha una struttura più semplice ma
riesce a convincerci che la dote migliore di Rocchi è quella di creare quadri
di vita che ci conducono in un mondo figlio di visioni e desideri che forse
tutti noi almeno una volta abbiamo immaginato. La title track finale è quasi
interamente strumentale e vede nuovamente la chitarra acustica intrecciarsi con
il suono fatato del flauto, un abbraccio consueto ma vibrante, che mette in
luce ulteriormente come il tocco di Pagani sia stato essenziale per tutto il
disco, per donare profondità laddove senza la sua presenza sarebbe potuta
mancare.
Rocchi intraprende un Viaggio in cui si avvicina e si
allontana dalla forma canzone, guarda ad alcuni cantautori italiani come Bindi
ed Endrigo e alla scuola francese che tanto piaceva a fine ’60 ma riesce a
districarsi tra un mare di influenze con un approccio differente e fuori dal
comune. Davvero un esperienza interiore libera e suggestiva. Minimalista è una
delle parole che meglio spiegano il significato della musica proposta, che
rimane acustica per tutto il disco, con la chitarra di Rocchi accompagnata
quasi esclusivamente dalla verve dell’ottimo Pagani, diviso tra il flauto e il
violino. La mancanza di forti elementi percussivi si avverte e con il passare
delle tracce alimenta nell’ascoltatore qualche perplessità figlia di una certa
staticità e ingenuità che affiora qua e là tra i solchi del disco. Nel
complesso si assesta su valori discreti e soprattutto risulta fondamentale
nell’analisi da noi proposta, perché proprio partendo da questo primo passo si
svilupperà quel sound intriso di folk, psichedelia e rock progressivo che andrà
a formare l’ossatura di uno dei maggiori dischi cantautorali degli anni ’70, Volo Magico n. 1. (Luigi Cattaneo)
La tua prima luna (Video)