lunedì 28 settembre 2015

feat.ESSERELÀ, Tuorl (2015)


Arriva da Bologna questo sorprendente trio formato da Francesco Ciampolini (pianoforte e tastiere), Renato Minguzzi (chitarre) e Lorenzo Muggia (batteria), divertente e brillante esempio di come si possano creare trame complesse senza risultare pesanti o prolissi. Già l’artwork e i titoli dei vari pezzi mostrano una certa carica ironica e un’attitudine di zappiana memoria che incuriosisce e rende il sound fresco e coinvolgente. È bene dire che le composizioni sono quasi tutte di breve-media durata (quindi non aspettatevi suite o tracce estremamente lunghe, eccezion fatta per gli otto minuti di No ()) ma non mancano i classici tempi dispari supportati da una tecnica e da un groove di elevato spessore. L’assenza del basso non pesa nell’economia del suono perché riempito dagli ottimi intrecci che si creano tra Minguzzi e Ciampolini e i brani sono tutti concepiti con quella dose di imprevedibilità che li rende suggestivi e ottimamente strutturati. Tuorl si presenta come un mesh up di stili, un crossover che vive di intuizioni progressive e fusion, senza tralasciare una componente funky che rende tutto estremamente dinamico (Stichituffelpa rampa esserelà tum perugià). Oltre al già citato Zappa troviamo elementi riconducibili ai Weather Report e in parte ai grandi del rock prog settantiano ma le varie influenze in realtà si perdono tanta è la personalità espressa dai bolognesi. L’abilità strumentale del trio è fuori discussione ma è al servizio del songwriting, sempre calibrato e mai foriero di inutili virtuosismi, virtù pregevole che contraddistingue l’intero platter. Un retrogusto di anni ’70 ma senza quel velo di nostalgia che sovente ritroviamo nel progressive e che qui invece appare maggiormente pensato per poter piacere anche a chi quel periodo non lo ha vissuto o lo conosce poco. I feat.Esserelà non si prendono troppo sul serio (difatti Esserelà è il nome di un manichino frontman della band e loro sono coloro che suonano con lui!) ma forse è proprio questo che li fa apparire estremamente veraci, forieri di un approccio alla materia che, pur senza dimenticare la lezione dei nomi storici, si traduce in un attualizzazione di concetti e contenuti. Grande forza espressiva e un’invidiabile gioco di squadra sono alla base di questo progetto che sul palco rende ancora di più (abbiamo raccontato del loro concerto trevisano di giugno proprio da queste pagine). Tuorl è un lavoro brillante, di grande impatto e si candida ad essere una delle uscite italiane tra le più interessanti del 2015. (Luigi Cattaneo)

No () (Video)


 

venerdì 25 settembre 2015

MACELLERIA MOBILE DI MEZZANOTTE, Funeral Jazz (2015)


Arrivano da Roma i Macelleria Mobile di Mezzanotte (Adriano Vincenti voce e sampler, Lorenzo Macinanti synth e drum programming e Pierluigi Ferro al sax), un trio attivo dal 2001 e che ci presenta per la Subsound Records il nuovo Funeral Jazz, un disco difficile da catalogare e indirizzato solo ai più aperti alle contaminazioni. In questo caso la matrice elettronica è molto presente, flirta con l’industrial e la dark wave, segnando l’album di toni plumbei e oscuri su cui si staglia una componente jazzata che crea un interplay tra le due anime pur senza discostarsi da quell’alone notturno che è caratteristica preponderante della loro scrittura. Il lavoro di Ferro, sia in fase di raccordo che solistico, è ovviamente molto importante per modellare un sound piuttosto curioso e personale, scandito da un recitativo che narra di situazioni losche, pulp, omicidi e passioni pericolose. Un substrato di suoni elettronici stranianti plasmati dal jazz già dall’iniziale 1000 sigarette e un omicidio, opener nero pece con un testo inquietante e il narrato diabolico di Vincenti. Il singolo (passatemi il termine ma è stato girato anche un video promozionale) è Slow, affascinante e conturbante esempio della loro cruda poetica, a cui fa seguito il jazz inconsueto e luciferino della title track. Boogie Woogie Traditore continua il lavoro di destrutturazione della componente jazz, colpendola nel profondo, scuotendo le note di Ferro con colpi elettronici potenti e drammatici. Dalia, l’ultimo addio vede ancora questo solido dualismo trascinarci in un mondo surreale e sanguinoso, La semplice arte del delitto sposa un caldo jazz con afflati elettronici squassanti che rendono l’aria maggiormente satura di tensioni e nevrosi metropolitane. Con Il buio adesso si evince ancor di più la cura che la band ha messo per far coesistere certe parti elettroniche con quelle del sax, qui ben presente per tutto il pezzo. Benzedrine Black Byrd Bebop ha un atmosfera inquietante dettata dal sax che ricama sopra una cupa base elettronica, prima del finale di Love Affair, esemplare per comprendere appieno il lirismo che si cela dietro questo trio che mi sento di consigliare soprattutto a quelli che non amano etichettare le emozioni. A loro sì, questo disco piacerà … (Luigi Cattaneo)

1000 sigarette e un omicidio (Video)



venerdì 18 settembre 2015

KEZIA, The Dirty Affair (2015)


The Dirty Affair è l’interessantissimo esordio dei Kezia, un album che mostra la volontà della band di applicare sontuose melodie ali limiti del pop con le sfuriate e i tempi che contraddistinguono un certo crossover di band fondamentali come Faith No More e System of a Down, abbinandolo al progressive degli Avenged Sevenfold. Potrebbe sembrare un grosso ossimoro ma il gruppo risolve la convivenza tra stili in maniera ottimale, tenendo sì il piede sull’acceleratore ma sempre con un occhio di riguardo per la forma canzone, una formula che i Kezia (Alberto Armanini alle tastiere, Fabio Bellini al basso, Michele Longhena alla batteria, Antonio Manenti alla chitarra e Pierlorenzo Molinari alla voce) padroneggiano senza problemi. Ovviamente c’è una grande cura per frasi melodiche di facile presa che potrebbero conquistare anche chi non è avvezzo del tutto al genere, pur costruendo brani per nulla scontati o di semplice lettura. Richiami ai Protest the hero ce ne sono, soprattutto per la capacità di creare situazioni ritmicamente complesse, così come ai Muse per la volontà di donare una certa ariosità alle composizioni. Non manca un po’ di classico progressive metal, sempre supportato da tanti spunti imprevedibili e personali (come nella spumeggiante Barabba Son’s Song). Di alto livello anche Sneakers o la conclusiva Treesome, brano intenso e molto sentito. L’album ha davvero tante idee al suo interno, ha bellissimi sprazzi melodici incorporati in un contesto prettamente hard, il tutto ben calibrato da una considerevole tecnica di base di cui sono in possesso tutti i membri dell’ensemble. Band da tenere nella giusta considerazione e da monitorare assolutamente, perché questo The Dirty affair è davvero un disco di pregevole fattura. (Luigi Cattaneo)

Di seguito la pagina web dove potete acquistare The Dirty Affair

mercoledì 16 settembre 2015

LA BATTERIA, La Batteria (2014)


Dietro un monicker così particolare si cela l’intenzione di richiamare alla memoria i gruppi organizzati di matrice antiborghese e anticapitalista che furoreggiavano negli anni ’70. La musica si riallaccia quindi alle grandi colonne sonore dei poliziotteschi e degli sceneggiati gialli che tanto successo avevano avuto dagli anni ’60 in avanti, quelle firmate da autori straordinari come Riz Ortolani, Stelvio Cipriani o Ennio Morricone. Non mancano riferimenti al sound primordiale dei Goblin e soprattutto a quello più contemporaneo di Calibro 35 e L’ombra della sera di Fabio Zuffanti. Un alone di nostalgia e ricordi che, pur se collocabile in un passato remoto e dallo sguardo demodè, ha la capacità e l’espressività per risultare ancora adatto ai caotici giorni che stiamo vivendo. Chiaro che ci troviamo dinnanzi all’ennesimo omaggio di un periodo che oramai è entrato nell’immaginario collettivo con una forza propulsiva probabilmente inimmaginabile qualche anno fa e ascoltare pezzi come Chimera, Vigilante o Persona non grata fa davvero venire un brivido lungo la schiena, immaginando inseguimenti e sparatorie. Perché ovviamente la musica dei La batteria (Emanuele Bultrini alle chitarre e al mandolino, David Nerattini alla batteria, Paolo Pecorelli al basso e Stefano Vicarelli alle tastiere) è incredibilmente immaginifica, racconta pur senza legarsi ad una storia, narra anche senza sceneggiature. Prog strumentale venato di funky settantiano, caratterizzato da un clima di mistero e una strumentazione che ricorda inequivocabilmente quella dei grandi gruppi che segnarono un’era, soprattutto per quel che riguarda le fondamentali tastiere di Vicarelli (pianoforte, Hammond, Fender Rhodes, Clavinet, Mini Moog, Mellotron). Un esordio ricco di suspence, richiami articolati e sinceri ai b-movies e atmosfere simil lounge che mostrano la capacità dei romani di risultare freschi e vibranti pur se proiettati con lo sguardo verso un’epoca terminata. O forse no? (Luigi Cattaneo)

Chimera (Video)

lunedì 14 settembre 2015

MARK WINGFIELD, Proof of light (2015)


Come spesso ci è capitato durante la stesura di una recensione di un disco targato Moonjune, i confini si perdono, la fusion incontra il progressive per poi essere centrifugata dal jazz rock strumentale. Non fa eccezione Proof of light del chitarrista Mark Wingfield, capitano del trio completato da Yaron Stavi (basso) e Asaf Sirkis (batteria). La visione di Wingfield è però attuale, ha una prospettiva che non si rifugia nel passato (o non solo perlomeno) e l’artista tenta di espandere le soluzioni sempre mantenendo una certa attenzione per la fase compositiva e per quella più strettamente sperimentale. La musica dei tre non può ovviamente trascendere da quelle che sono le doti di Wingfield, che però lascia spazio alla coppia ritmica che appoggia con grande dinamismo le varie situazioni che animano questa release. Difficile non rimanere immediatamente colpiti dall’iniziale Mars Saffron (forse il brano più prog e King Crimson oriented), apertura diretta, varia, fusion esplosiva che vive di rallentamenti e sfuriate in odore di progressive rock. Qua e là si percepiscono vibrazioni Soft Machine style, profumi psichedelici di floydiana memoria, stralci di jazz sperimentale che rimandano ad alcuni lavori di John Abercrombie o del maestro Larry Coryell. Il sound sa quindi essere potente (la lunga Voltaic), stratificato (l’ottima The way to etretat), sempre piuttosto articolato (la title track) e con lo strumento di Wingfield in evidente rilievo, una voce che viene seguita con raffinatezza esecutiva da Stavi e Sirkis. Si potrebbe anche definire un avant jazz dal forte connotato melodico, dove la linea di demarcazione tra sperimentalismo e tradizione appare poco visibile ad occhio nudo, merito di pezzi ben costruiti da un trio di musicisti affiatati, che hanno scelto di seguire il loro istinto, faro verso una narrazione complessa ma mai eccessiva. L’ascolto non è comunque semplice e bisogna addentrarsi con pazienza tra le pieghe dell’album, un bel viaggio tra suoni e visioni di un chitarrista dotato di una propria personalità ma che non dimentica di citare figure leggendarie come Robert Fripp o Allan Holdsworth. L’album è scevro di inutili sperimentalismi e si muove soprattutto sulle intuizioni del leader e di una sezione ritmica lucida e funzionale al progetto, dando la positiva sensazione di un equilibrio tra le parti che non fa altro che innalzare il livello comunicativo di tutto il disco. (Luigi Cattaneo)

The way to Etretat (Video)

mercoledì 9 settembre 2015

AMMINISTRAZIONE CAOS POPOLARE, Sendai Nebula (2014)


L’esordio degli Amministrazione Caos Popolare è all’insegna di un progressive rock sinfonico che sa essere malinconico, complesso ma non criptico, psichedelico quanto basta e rivolto per buona parte al passato storico di band come Quella Vecchia Locanda, Banco del Mutuo Soccorso e Premiata Forneria Marconi. I brani scorrono via rapidi, con qualche caduta qua e là che non inficia la buona prova della band formata da Luigi Ranieri (chitarra), Andrea Di Giovenale (tastiere), Andrea Aliberti (chitarra), Attilio Renzetti (voce) e Nicolas Sabini (basso, synth e flauto). Prog settantiano e richiami al new prog si mescolano in modo piuttosto efficace già dall’iniziale Esistenzialista, hard progressivo con un break centrale di matrice psych piuttosto riuscito che mi ha ricordato l’umore dei primi album dei Radiohead, mood spezzato solo in parte dal breve solo di chitarra che ci rituffa in atmosfere più tipicamente rock. Molto azzeccata la suadente melodia di Onde, il pezzo più immediato tra i presenti, con un bel lavoro d’insieme e una compatezza generale innegabile. Omaggio ai ’70 con l’interessante Buio assoluto, brano contraddistinto da un solo di chitarra molto ispirato e melodico, mentre Liverpool è l’unico momento in cui il bravo Renzetti si cimenta con l’inglese (tra l’altro con risultati più che discreti), per quello che risulta essere il frangente maggiormente riconducibile al new prog. Si prosegue con Abandon, inizio soffuso e intrigante che segue la scia poi di un progressive strumentale arioso e suggestivo in cui la tecnica non sovrasta mai il calore e il feeling. E la luna fuma ha un approccio cantautorale che avvicina la band in parte a quanto espresso da altri due gruppi contemporanei come i Magnolia e i Mosaico. Finale affidato a Noel, 10 minuti in cui la band mostra buone doti tecniche e un’attenzione certosina per il dettaglio che definisce un sound corposo e fascinosamente retrò. Sendai nebula (titolo che si riferisce al momento di transizione verso uno stato emotivo alterato) conferma come il prog italiano sia in salute e presenta all’attenzione del pubblico un gruppo che ha tutte le carte in regola per emergere con forza dal fitto panorama underground. (Luigi Cattaneo)

Esistenzialista (Video)

lunedì 7 settembre 2015

QUADRI PROGRESSIVI - In the Land of Grey and Pink


Il nuovo quadro dipinto dall’artista milanese Lorena Trapani è un omaggio ad uno dei più rappresentativi dischi del prog mondiale In the land of grey and pink dei Caravan. La tecnica utilizzata è quella della china e crete e la misura è un 30x40.

Per chi volesse ricevere o avere maggiori informazioni sui lavori di Lorena è attiva la mail progressivamenteblog@yahoo.it