martedì 30 luglio 2013

I GIGANTI, L'approdo prog di Terra in Bocca


I Giganti, già a partire dal 1964, anno in cui si formano a Milano, colgono il cambiamento politico e culturale che giunge a noi attraverso fatti storici importanti come la guerra del Vietnam, che porta in America ad una forte contestazione da parte dei giovani. Dall’anno successivo, con l’ingresso in formazione di Checco Marsella alle tastiere, che si va ad aggiungere ad Enrico Maria Papes (batteria) e ai fratelli Giacomo Di Martino e Sergio Di Martino, rispettivamente chitarra e basso della formazione, I Giganti compiono un vero e proprio salto di qualità artistico. Si sa che in quel periodo andavano di moda le cover, ma I Giganti, invece di proporre brani famosi, decidono di affidarsi a canzoni che potevano essere modellate con la loro impronta vocale inconfondibile, come accade con Solo per voi (Bad Boy di Louis Armstrong). Già in questa loro particolare oculatezza nello scegliere i brani era facile cogliere un elemento distintivo rispetto a molti gruppi dell’epoca. In piena epoca beat il gruppo si ritaglia uno spazio importantissimo con brani come Proposta, Tema, Io e il presidente, tutte puntualmente singoli di grande successo. Ma è nel 1968, anno in cui peraltro la band entra in crisi, che I Giganti incidono alcuni 45 giri che alla luce dei fatti risultano essere importanti per la genesi del loro disco progressivo, quel Terra in bocca che tanto fece discutere nel 1971, anno della sua uscita. Il prog è stato difatti lo sbocco naturale per un discreto numero di complessi beat, in particolar modo per quelli che avevano una migliore preparazione tecnica e strumentale e una maggiore determinazione e coesione per superare il momento di crisi del genere sul finire dei Sessanta. Quindi I Giganti dopo essere stati una delle migliori espressioni del beat riuscirono a valicare certi confini e ad affrontare con convinzione una prova difficile come quella del concept album del già citato Terra in bocca, lavoro coraggioso e ambizioso. Tra i tanti 45 pubblicati nel 1968 i più interessanti per lo sviluppo successivo sono Un uomo va/Summertime e Una storia d’amore/Sixteen tons. Decisamente ottima la loro “doppia” versione di Summertime, un brano di Gershwin reinterpretato nel tempo anche da grandi voci della musica nera come Ella Fitzgerald e Billie Holiday. Nella prima parte del brano i toni sono volutamente blues, con la chitarra di Giacomo Di Martino in grado di appoggiare l’impeccabile Checco Marsella alla voce, mentre nella seconda parte il rhythm & blues, con la sua grande carica ritmica ed espressiva, diventa un imprescindibile punto di riferimento artistico. In questo brano viene meno una delle loro caratteristiche principali, ossia la capacità di fondere alla perfezione le loro voci e viene favorito l’impatto strumentale del gruppo con il solo Marsella nel ruolo di cantante. Ma questa loro capacità di creare impasti vocali eccellenti la si ritrova nell’ultimo 45 giri del 1968, Una storia d’amore/Sixteen tons, brani più impegnativi e che risulteranno essere meno popolari. Non siamo ancora nell’ambito del prog ma sicuramente neanche in quello del beat più scanzonato ed orecchiabile. Una storia d’amore è un brano complesso, meglio strutturato rispetto al passato, soprattutto nell’uso delle voci, che creano passaggi vicini al call & response tipico degli Spiritual, con il coro che risponde o si sovrappone alla voce solista, il tutto sempre sostenuto dallo splendido lavoro di Marsella all’organo. Si può pensare ai Giganti come ad una piccola orchestra corale! Sixteen tons, originariamente di Merle Travis, presenta simili caratteristiche: la voce baritonale e profonda di Papes è sorretta dai consueti cori che poi diventano elemento trainante del brano e risultano essere calibrati e precisi come non mai. La sovrapposizione delle varie voci, gli accurati impasti vocali, la difficoltà esecutiva di Sixteen Tons e Una storia d’amore mostrano come I Giganti ormai avevano largamente ampliato i confini del beat, sia cercando nuove fonti d’ispirazione, sia grazie alla loro capacità di rivestire i brani con un personalissimo corredo musicale. L’uso delle tastiere, i cori, le sovrapposizioni e gli incastri vocali sono tutte caratteristiche che si ritroveranno in Terra in bocca  e che mostrano come I Giganti abbiano saputo portare il loro linguaggio figlio dell’epoca beat in un contesto progressivo di valore. (Luigi Cattaneo)

Una storia d'amore (Video)

https://www.youtube.com/watch?v=7hiwleMfxB4

venerdì 26 luglio 2013

FRANCO BATTIATO, Pollution (1972)


Qualche mese dopo l’uscita di Fetus Battiato pubblica Pollution, due dischi che sono stati concepiti nella stessa fase, quella sperimentale e volutamente provocatoria ma anche instabile e non sempre supportata da idee ben messe a fuoco. Anche qui il siculo mostra una certa personalità e introduce qualche piccolo elemento in più rispetto a Fetus. Difatti, pur essendo due lavori che hanno molte similitudini tra loro, Pollution ha un atteggiamento più rock e psichedelico (si potrebbe citare giusto come atmosfere Aria di Alan Sorrenti) ma mantiene inalterato quel senso di sfida in qualche circostanza un po’ fine a sé stesso. Inoltre alcuni elementi che già avevano contraddistinto il suo esordio, ossia l’unione e lo scontro tra elementi classici e altri vagamente pop (Il silenzio del rumore), la ricerca in direzione di una musica concreta dai forti tratti space (Areknames) vengono riproposti con risultati alterni. Certo è che gli orizzonti di Battiato paiono non avere limiti e il linguaggio diviene ancor più complesso e stratificato, con il suono pionieristico del VCS3 che si interseca con melodie che sanno essere raffinate, eccentriche e mai banali e con recitativi e rumori che risultano essere incastonati in maniera convincente nella struttura narrativa dei brani (il degrado con le sue ansie e i suoi pericoli, l’inquinamento materiale ma anche quello della razza umana, lo smarrimento di certezze). Forse Beta può essere la traccia più indicativa: uso del synth, psichedelia acida, ampio utilizzo del pianoforte nella parte strumentale, recitativo finale. Avvolgente, magnetica ed estremamente personale. Plancton si appoggia sopra un arpeggio di chitarra tanto semplice quanto efficace e il solito synth da manuale, mentre Pollution è il brano dove emerge maggiormente la voglia di stupire a tutti i costi. Leggera melodia cantabile con contorno di un testo preso da un manuale di fisica! La portata di un condotto è il volume liquido che passa in una sua sezione nell’unità di tempo e si ottiene moltiplicando la sezione perpendicolare per la velocità che avrai del liquido… Questo estratto testuale mostra chiaramente quello che era l’artista ad inizio ’70, un curioso narratore (e provocatore accanito) che o si amava o si odiava ma difficilmente lasciava indifferenti. Il finale di Ti sei mai chiesto che funzione hai? ci riporta in territori classici, con tanto di inconsolabile pianto del cantante a chiudere un album di non facile assimilazione ma che presenta aspetti di sicuro interesse e risulta fondamentale per poter arrivare alla definitiva consacrazione di Sulle corde di Aries. (Luigi Cattaneo)
 
Areknames (Video)
 
       

martedì 23 luglio 2013

NEO, Neoclassico (2011)


Può un trio scandagliare e perforare con tale veemenza schemi  jazz di riferimento conducendo lontano la proposta in modo da costruire concetti distanti dall’essere precostruiti e di maniera? Sì, soprattutto se la libertà e l’urgenza di esprimersi non vengono incatenate. E in questo la Megasound è regina. Il nuovo Neoclassico (che arriva dopo Water Resistance del 2009) dei Neo va inquadrato (se si può) dove già avevamo posto band originali e fantasiose come No Hay Banda Trio, Tribraco e Ay!, prodotte proprio dall’etichetta romana. Inoltre la registrazione e il missaggio effettuati da un mostro sacro come Steve Albini presso il suo studio di Chicago, conferiscono ulteriore qualità ad un prodotto già buono di suo. Provando a dare qualche indicazione viene logico pensare a John Zorn e ai suoi Naked City, laddove il jazz di Ornette Coleman (e del seminale The Shape of Jazz to come) viene filtrato attraverso scariche noise in cui imperversa una furia punk (Il Dente del Pregiudizio) o ancora, sentire il sax tenore di Carlo Conti mitigare la violenza quasi fisica della chitarra di Manlio Maresca e la batteria di Antonio Zitarelli. Il taglio avanguardistico e decisamente complesso (Ruins soup) si placa in episodi più immediati (Blues), segno di come i tre sappiano giocare anche su registri differenti, sempre rimanendo in un campo in cui è facile perdere la bussola. Perché i Neo risultano dei veri costruttori di situazioni in cui gli intrecci tra le varie parti strumentali devono essere sezionati e analizzati per essere realmente leggibili, soprattutto se non si è propriamente affini con certe sonorità. La musica dei Neo rimane comunque legata a quel jazz da cui tentano di allontanarsi, anche nei momenti più free, avant rock o noise (Mechanical Disfunction) ed è impossibile non soffermarsi sulle doti squisitamente tecniche che esprimono i tre interpreti del progetto. La decomposizione e la restaurazione di certi elementi jazzati paiono essere il marchio di fabbrica di Neoclassico (Unjustified Restrictions, La Sindrome di Erode). Un lavoro ostico, eccessivo e intrigante, in cui melodie e certezze strutturali si annullano a favore di incastri ritmici deliranti e pieni di insano fervore. Tra rispetto per la tradizione e slanci moderni. (Luigi Cattaneo)
 
Il Dente del Pregiudizio (Video)
 
 
 
           

giovedì 18 luglio 2013

PLATONICK DIVE, Therapeutic Portrait (2013)


Un nuovo nome di sicuro interesse si affaccia nell’affollata galassia di gruppi alternative che popolano la penisola, è quello dei livornesi Platonick Drive ,che con il debut Therapeutic Portrait  (pubblicato per la Black Candy Records) ci portano in un mondo in cui convivono post rock strumentale, psichedelia e squarci elettronici. Nulla di particolarmente nuovo e originale, sia chiaro, ma fatto indubbiamente bene e con una certa convinzione che seduce sin dal primo ascolto. Aspettatevi quindi crescendi melodici di grande impatto, solidità ritmica e una chitarra zeppa di feedback (cosa piuttosto tipica del genere). Il trio (Gabriele Centelli alla chitarra, al piano, ai synth e alla voce, Marco Figliè alla chitarra e ai synth, Jonathan Nelli alla batteria) sforna un album dove la componente acida gioca un ruolo non di ripiego, mostrando una verve rock riconducibile ai Verdena maggiormente psichedelici e strati di elettricità e distorsione che fanno pensare anche agli Explosion in the Sky e ai sempre sottovalutati Three Steps to the Ocean. Le tastiere e i sintetizzatori si fondono con chitarre che si muovono puntuali e nitide, in scia a quelli che sono i criteri base che animano questo genere. La costruzione dei vari episodi risente di canoni conosciuti ma non per questo meno efficaci e comunque sempre di ampio respiro atmosferico. Tra le punte massime del percorso bisogna citare la delicata Lovely Violated Innocence, l’elettronica di The Time to turn off your mind (suddivisa in 2 parti) e il bel singolo Youth. Un lavoro quindi animato dalla volontà di rimanere sospesi tra il taglio di un oscuro e decadente post rock e quello più elettronico/sperimentale, altalenante stilisticamente più per volontà che per difetto. Le premesse per stabilizzarsi con prepotenza all’interno della scena italica ci sono indubbiamente, il gusto e il vigore con cui i Platonick Dive hanno colorato questo esordio fanno ben sperare per un futuro ancora più roseo e sicuro. (Luigi Cattaneo)
 
 

      

mercoledì 17 luglio 2013

HOSTSONATEN, The Rime of Ancient Mariner Part I (2012)


L’infaticabile Fabio Zuffanti mette a segno l’ennesimo colpo d’autore della sua lunga discografia e dopo la prova da solista e il progetto L’ombra della sera (recuperatelo!) timbra questo The Rime of ancient mariner Chapter One a nome Hostsonaten. Non che la band fosse ferma da molto, ma qui i genovesi si tuffano a capofitto nell’omonimo poema di Samuel Taylor Coleridge a cui peraltro avevano già dedicato i primi 2 album. Facile pensare al brano degli Iron Maiden presente in Powerslave ma qui ci troviamo di fronte ad una musica immaginifica, pensata per descrivere situazioni in maniera approfondita attraverso uno stile variegato in cui fanno capolino 4 voci diverse che caratterizzano l’attimo che il vecchio marinaio sta vivendo. Il prologo iniziale ci introduce nell’opera presentando i temi che andremo ad incontrare e ha il merito di calarci dentro le atmosfere che di volta in volta troveremo nel corso delle quattro parti che formano il disco. Si potrebbe dire che questo brano iniziale riassume alla grande le intenzioni della creatura zuffantiana e mette in mostra in maniera perentoria l’enorme qualità di musicisti come Luca Scherani (tastiere), Matteo Nahum (chitarra), Mau Di Tollo (batteria), Joanne Roan (flauto), Sylvia Trabucco (flauto). Chiaro che a sentire certi nomi il pensiero corre veloce alla Maschera di Cera, soprattutto quando nella prima parte dell’album alla voce appare Alessandro Corvaglia, come al solito estremamente intenso ed espressivo. È forse il momento più sinfonico che ci viene proposto, grazie non solo alle tastiere di Scherani ma anche per il lavoro di cesello della Roan, entrambi bravi nel sostenere ottimamente la sofferenza del marinaio reo di aver ucciso l’albatros (un uccello marino) e di aver attirato la cattiva sorte sull’intero equipaggio. La seconda e terza parte presentano addirittura alcuni passaggi hard, complice anche la presenza di Davide Merletto dei Daedalus e Marco Dogliotti alla voce. Nel primo caso, dopo un iniziale stato di quiete, i suoni si fanno più graffianti e non vengono disdegnate soluzioni potenti, palpitanti in cui si incastra benissimo la voce di Merletto. Non che Dogliotti sia da meno e nella Part 3 si coglie il suo amore per Freddie Mercury, Ronnie James Dio e Ian Gillan, passione che conduce verso un suono che considerare hard prog non è un eresia! In un certo senso è un brano che stupisce viste le sonorità che avevano sempre caratterizzato il progetto Hostsonaten, anche se non mancano all’interno di questi 17 minuti momenti più meditativi in cui Scherani e Nahum risultano i più incisivi ed efficaci. Si cambia ancora registro nella parte conclusiva in cui fa capolino Simona Angioloni (già con Zuffanti negli Aries) insieme a Corvaglia, duo che ben si amalgama nelle raffinate atmosfere tracciate da melodie che hanno qualcosa di antico, di nostalgico e che si uniscono in maniera sorprendente e affascinante nel duetto finale che testimonia l’andamento epico del racconto. In attesa del secondo capitolo che vedrà la luce nel 2013 gustatevi l’ennesima perla di Zuffanti, artista che può piacere o meno ma che ha ormai raggiunto livelli di qualità e continuità davvero sorprendenti ed unici nel panorama nostrano. (Luigi Cattaneo)
The Rime of Ancient Mariner Part I (Video)
 
 



 

lunedì 15 luglio 2013

GRAN TORINO, Gran Torino Prog (2011)


Sulla scia di quanto fatto sinora da band strumentali italiane come Red Zen, Calomito e Magnetic Sound Machine, gruppi giovani e di spessore, si affacciano con entusiasmo sincero e capacità indubbie i Gran Torino, quartetto veronese e nome nuovo della Galileo Records. È bene specificare che i Gran Torino si avvicinano molto più al progressive rock venato di hard che al jazz o alla fusion (che pure citano) ma le doti dei musicisti veneti sono di ottimo livello e pur con qualche momento lacunoso e da ritoccare, questo esordio presenta composizioni sicuramente gradevoli per un risultato più che soddisfacente. Molto intenso e avvolgente il brano iniziale, Sinapsi, che mostra subito come la band abbia una tecnica di base di tutto rispetto e che questa sia accompagnata da una certa freschezza di scrittura, che è poi elemento fondamentale per qualunque musicista. Qualità che spicca anche in Jack Montorio, dove troviamo le atmosfere tipiche dei settanta con le tastiere di Alessio e la chitarra di Cristiano volte a creare uno splendido affresco in cui ci sono riferimenti agli Yes e al Banco del Mutuo Soccorso. I primi brani hanno la capacità di trasmettere la voglia di fare e di comunicare tipica di un gruppo esordiente. In questo caso sono sicuramente Alessio e Cristiano i due elementi che governano ed indirizzano il suono della band, che risulta ficcante e senza troppi fronzoli. Rock waters ha invece un suono più hard ma non per questo meno rifinito e si avvicina per struttura e dinamica a Dream Theater e affini, quindi progressive attuale ma con un occhio di riguardo anche al passato del genere. La complessa Joy è forse il brano più bello del lavoro, a tratti entusiasmante ha il merito di mettere in luce il talento non solo dei già citati Alessio e Cristiano ma anche della sezione ritmica (Gian Maria alla batteria e Fabrizio al basso) coesa e sicura di sè. I Gran Torino si esprimono al meglio, attimo dopo attimo nasce una composizione congegnata in maniera attenta ma senza dimenticare immediatezza e impeto. In Miridiani non si può rimanere indifferenti dinnanzi al sapiente uso delle tastiere e agli intrecci caldi ed orchestrali che tanto riportano indietro nel tempo… Il momento più duro è Fox Box, composizione dal substrato heavy in cui si cita il progressive metal, stemperato però da un egregio lavoro di tastiere che profumano ancora di rock settantiano. Meno interessanti risultano Radio Vox e la seguente Eco, poco ispirate e leggermente scontate. Sottotono insomma, almeno rispetto allo standard tenuto per buona parte del disco. Alto è il valore che ritroviamo nella  riuscita Zorro, momento conclusivo decisamente avvincente e ben articolato. Che altro aggiungere? Sicuramente si tratta di un disco intrigante per la sua capacità di coniugare vari modelli sonori ma non sempre la ciambella riesce con il buco, soprattutto per una certa monotonia che sopraggiunge di tanto in tanto. Il risultato è comunque positivo, soprattutto perché si tratta di un esordio che ha il merito di mettere in luce la vivacità che contraddistingue i Gran Torino, che se saranno capaci di levigare e smussare alcuni piccoli errori di gioventù potranno diventare uno dei nomi di punta del nuovo progressive italiano. (Luigi Cattaneo)
 
Joy (Video)
 
 
 
 



venerdì 12 luglio 2013

GOAD, Masquerade


La band toscana guidata dal polistrumentista Maurilio Rossi e dal chitarrista Gianni Rossi torna dopo l’acclamato In the house of the dark shining dreams del 2007 con un album che fa il bis in termini di bellezza e coinvolgimento. L’esperienza del gruppo nel costruire sonorità gotiche e magniloquenti è il marchio di fabbrica che accompagna i fiorentini dal 1983, anno della loro prima apparizione discografica. La carne al fuoco in questo Masquerade è davvero tanta, vista anche la durata del disco che sfiora gli 80 minuti e che è colmo di riferimenti verso la musica dei ’70. La partenza è affidata alla potente ed incisiva Fever Called Living che mostra subito tutte le capacità del gruppo di creare soluzioni ora più hard ed aggressive ora più morbide e melodiche attraverso un interplay molto azzeccato tra la chitarra e le tastiere. La seguente Eldorado si sviluppa attraverso 2 parti ben distinte tra loro, con la prima che rimanda a certo hard rock tipicamente seventies di mostri sacri come Led Zeppelin e Deep Purple e la seconda che si dispiega come una cavalcata heavy prog totalmente strumentale. Anche Last Knowledge si divide in 2 sezioni, dove la prima prende la forma di una seducente ballata impreziosita dal flauto di Francesco Diddi mentre la seconda, strumentale, è decisamente più inquietante e richiama i King Crimson. Delicate atmosfere si ritrovano anche nell’ottima The Judge, contrassegnata ancora dal flauto di Diddi e dalla chitarra di Maurilio Rossi oltre che in Valley of Unrest, song tra le migliori presenti e che tra i suoi solchi riprende il magma sonoro tipico dei Van Der Graaf Generator, soprattutto per l’utilizzo del sax e per il crescendo oscuro e solenne del brano. Ancora una composizione in 2 parti è To Helen, che ha nei suoi cromosomi elementi di vario tipo; difatti dopo un’apertura classicheggiante il brano sfocia in un hard sinfonico dove l’aggressività vocale di Maurilio Rossi viene stemperata dall’utilizzo accorato del flauto e del violino che tanto sanno di Jethro Tull ma anche di Delirium e P.F.M. Decisamente più suggestiva è la seconda metà, nuovamente strumentale, dove anima guida diviene il sax a cui si aggiungono parti di flauto in sostegno. Densa ballata è Alone, intrisa di lirismo e fortemente evocativa anche per merito della sofferta interpretazione canora, mentre la seguente Slave of the holy mountain ha un mood drammatico e orchestrale dal sapore gotico. Dreamland è uno dei punti di forza dell’album, un brano da Rock Opera o da Musical vista la prorompente carica e il pathos costante che emana per tutta la sua durata. Molto convincente la voce ruvida ed espressiva di Maurilio e il suo solo finale di chitarra con cui chiude il brano. Dopo la strumentale The Haunted palace si arriva alla title track, suite finale divisa in ben 5 sezioni della durata complessiva che supera i 13 minuti. Qui i Goad tentano di sintetizzare (non riuscendoci però in pieno) tutte le influenze da cui sono ispirati e quindi si passa attraverso momenti soffusi e sognanti ad altri sicuramente più oscuri e psichedelici. Questo Masquerade rappresenta benissimo quelle che sono le caratteristiche dei Goad, sempre in bilico tra il progressive inglese, la psichedelia, il dark e la Rock Opera. (Luigi Cattaneo)


 
 
 
 

giovedì 11 luglio 2013

MUSEO ROSENBACH, Barbarica (2013)


Ritorno attesissimo per tutti i fan della storica band del progressive italiano, che dopo una parentesi molto lunga si presentano con questo nuovissimo lavoro intitolato Barbarica. In realtà il gruppo, dopo aver pubblicato Zarathustra nel lontano 1973 (album capolavoro permeato di hard rock e progressive considerato da molti come uno dei lavori più illustri ed interessanti della scena italiana degli anni settanta) ha pubblicato nel 1999, con un’altra formazione ed un altro vocalist Exit, lavoro che non riuscì ad eguagliare i picchi compositivi e creativi del suo celebre predecessore, ma che offriva comunque diversi spunti. Il nome del Museo Rosenbach ricominciò a circolare nel 2010 grazie soprattutto alla pubblicazione dello splendido primo album del Tempio Delle Clessidre, band nella cui formazione militava Stefano “Lupo” Galifi, storica voce del Museo Rosenbach, che riproponeva numerosi pezzi tratti da Zarathustra durante i concerti (lo stesso nome deriva da una traccia di quel lontano disco). Della formazione storica degli anni settanta sono rimasti in tre: Giancarlo Golzi ( noto anche per la sua militanza nei Matia Bazar) alla batteria, Alberto Moreno alle tastiere (negli altri dischi suonava il basso) e il già citato “Lupo” alla voce solista. Gli altri elementi, fondamentali per dare una nuova marcia alla band, sono Sandro Libra e Max borelli alle chitarre, Fabio Meneggetto e Andy Senis rispettivamente alle tastiere e al basso. Il nuovo Barbarica attinge moltissimo dalle sonorità hard prog tipiche del primo lavoro della band, quindi oltre alla voce importante e carismatica di “Lupo” , c’è molto spazio per la chitarra elettrica e per i cosiddetti riff. Le tastiere supportano le trame oscure sviluppate dalle chitarre e la sezione ritmica suona precisa e senza troppi fronzoli. Come ci si aspetta la voce di “Lupo” non perde mai un colpo (chi ha avuto modo di vederlo dal vivo sa di cosa sto parlando). Il cd è diviso in cinque tracce dalla lunga durata (mai sotto i 6 minuti) e se si esclude qualche momento in cui la band si dilunga eccessivamente (Il respiro del pianeta) i pezzi sono tutti molto belli, scorrevoli e ben suonati. Nella Coda del diavolo un tappeto di tastiere e archi accompagnano la struggente voce di Galifi, prima di esplodere in un micidiale riff hard di chitarra che colpisce come un pugno nello stomaco. Abbandonati, ricorda le atmosfere dark dei Black Widow di Come to the sabbath ed è veramente notevole la voce di Galifi, che ruggisce sullo splendido gioco di chitarre e tastiere. In conclusione posso facilmente affermare che questo nuovo lavoro sarà sicuramente apprezzato dai numerosi sostenitori della band, che desideravano da tempo un ritorno alle sonorità tipiche della storica formazione, inoltre la qualità delle composizioni e la buona produzione dell'album parlano da sole. Personalmente non ho potuto far altro che apprezzare Barbarica ed anche se non è privo di alcuni difetti (forse manca di originalità) non si può non rimanere affascinati dalle sue trame oscure e retrò e dalla voce intensa e carismatica di Galifi. Consigliato.
(Marco Causin)

Fiore di Vendetta (Video)






venerdì 5 luglio 2013

FRANCO BATTIATO, Fetus (1972)


Nativo di Jonia, Franco Battiato, inizia la sua attività a Milano pubblicando due singoli per la rivista Nuova Enigmistica Tascabile, che dava l’opportunità a cantanti sconosciuti di incidere brani famosi come L’amore è partito (presentato al Festival di Sanremo dal duo Beppe Cardile e Anita Harris) ed ...e più ti amo portata al successo da Alain Barriere.  In coppia con Gregorio Alicata forma Gli Ambulanti per portare davanti alle scuole la canzone di protesta ed è proprio in queste occasioni che ha modo di entrare in contatto con Giorgio Gaber che avrà un ruolo decisivo nel far incidere alcuni singoli a Battiato per l’etichetta discografica Jolly. Il successivo passaggio alla Philips porta l’artista ad abbandonare un certo tipo di canzone a favore di una più semplice ed immediata. È solo ad inizio anni ’70 che Battiato inizia ad interessarsi ad una musica differente che lo porta a firmare per la Bla Bla di Pino Massara con cui produce alcuni dei dischi più coraggiosi del periodo. Il cantautore è artefice di una serie di dischi fortemente sperimentali in cui appare costantemente alla ricerca di una via alternativa per comunicare, opere di difficile catalogazione, intriganti per le svariate influenze musicali percepibili, spesso provocatorie e dissonanti, assai personali e poco inquadrabili. Il tentativo, non sempre riuscito, è stato quello di trapassare gli steccati tra i generi per dare vita a lavori aperti a varie suggestioni in cui ritrovare sonorità elettroniche e classiche adagiate su un esotico gusto per la sfida e il nonsense. Nel 1972 Battiato pubblica Fetus, un primo sviluppo di quelle idee che porteranno il catanese a concepire risultati maggiormente compositi e strutturati nei successivi anni, un lavoro che rappresenta il passo iniziale ma ancora di transizione verso la volontà di sperimentare che sarà poi messa a fuoco con più consapevolezza nel volgere di breve tempo. Ci sono presenti tanti spunti interessanti ma non sempre portati a giusto compimento e lo stupore per alcune trovate lascia il posto anche a momenti ancora acerbi. Il pioneristico sintetizzatore VCS3 risulta una delle novità di maggior rilievo e curiosità del panorama progressivo e si incastra egregiamente nelle melodie classiche (Anafase) o in quelle ancora figlie della canzone beat (Mutazione). Quando si parla di Fetus non si può non citare la sconvolgente e provocatoria copertina e il concept che caratterizza i 30 minuti dell’album, ossia la storia di una cellula che diventerà uomo, che pur non risultando perfetto ha il merito di mostrare la naturale inclinazione per la musica colta contemporanea da infarcire di soluzioni elettroniche di Battiato, ricordato come uno dei primi grandi pionieri del progressive per quel suo essere costantemente alla ricerca di novità da proporre. In Fetus l’autore risulta capace sì di sperimentare ma anche di muoversi attraverso la forma canzone seppur con il proprio peculiare stile (Meccanica). Difatti le strutture leggere che rimandano alla sua produzione di fine ‘60 vengono “trattate” con arrangiamenti atipici e un preponderante uso del synth, che risulta straniante oltre che sempre funzionale al racconto (Energia). Fetus rimane un disco instabile ma prezioso per arrivare a Pollution (uscito lo stesso anno) e Sulle corde di Aries. (Luigi Cattaneo)
 
Meccanica (Video)
 
 

 

martedì 2 luglio 2013

CONCERTI DEL MESE, Luglio 2013

Lunedì 1
·Playing the History Roma

Martedì 2
·Van Der Graaf Generator Udine
·Sycamore Age Prato

Mercoledì 3
·Van Der Graaf Generator Trezzo Sull'Adda (MI)
·Roberto Cacciapaglia Teatro Morlacchi Perugia
·Camelias Garden Roma
·FixForb Roseto Capo Spulico (CS)

Giovedì 4
·Astralia Mandria (PD)
·Steven Wilson Roma

Venerdì 5
·VDGG + Steven Wilson Pistoia
·The Magic Box Ponte Taro (PR)
·Camelias Garden Castelgandolfo (Roma)
·Napoli Centrale Cava de' Tirreni (SA)
·Opening Scenery + Amaze Knight Torino
·Lagartija Piacenza (Lo fai club)
·Mogador + Trewa Eupilio (Como)


Sabato 6
·Steven Wilson Grugliasco (TO)
·Flower Flesh Pallare (SV)
·Pentangle Isola del Liri (FR)
·Ken Hensley Fontanafredda (PN)
·Lagartija Anfiteatro San Giovanni Fiorenzuola d'Arda (PC)
·Fusch Edone (BG)


Domenica 7
·Newintage Festival Castelgandolfo (RM)
·FixForb Centro Sportivo Costa di Mezzate (BG)

Lunedì 8
·Dusk e-B@nd Marghera (VE)

Martedì 9
·Mike Stern Merano (BZ)

Mercoledì 10
·Mike Stern Marcianise (CE)
·Arturo Stàlteri Giardini Pubblici Ravenna
·Gov't Mule Milano (OCA)


Giovedì 11
·Area Castelfranco Veneto (TV)
·PropheXy Bologna
·Ingranaggi della Valle Pink Moon Records (Roma ore 18.00)
·Three Steps To The Ocean Milano (Arci Lo Fi)

·Gran Turismo Veloce, Camelias Garden, Ingranaggi della Valle Traffic (Roma)

Venerdì 12
·Gong Festival Bologna
·PropheXy Mercogliano (AV)
·Sycamore Age S. Benedetto d.T. (Chalet 45.com)
·ZeroTheHero + Unreal City Porto Antico Genova
·Il Babau & i Maledetti Cretini Parco Belgiardino Lodi


Sabato 13
·Gong Festival Bologna
·Le Maschere di Clara Trevenzuolo (VR)
·Aelian Genova
·Osanna Civitella M. (GR)
·UT New Trolls Piper Viareggio (LU)
·Sycamore Age Canossa (RE)
·Coscienza di Zeno Roselle (GR)
·Calomito Porto Antico Genova
·InterNos Bar al Falco S. Michele al T. (VE)
·Confusional Quartet Cortile del vicolo Bolognetti Bologna
·Corde Oblique Giardini Ducali Modena


Domenica 14
·Newintage Festival Castelgandolfo (RM)
·Mike Stern Roma
·FixForb Parco Fluviale Hoffman Foligno (PG)

Lunedì 15
·Roberto Cacciapaglia Museo Pecci Prato
·Mike Stern Pescara


Giovedì 18
·Area Ceneselli (Roma)

Venerdì 19
 ·Alan Parson Grugliasco (To)
·Area Capodistria (Slovenia)
·Aelian Genova
·Sycamore Age Roselle (Gr)

Sabato 20
·Alan Parson Villafranca (Vr)
·Area Castiglione del lago (Pg)
·Aelian Genova

Domenica 21
·Steve Hackett Verona
·Newintage Festival Castelgandolfo (Roma)
·Prog Experience Festival San Vendemiano (Tv)
·Beggar's Farm Abano Terme (Pd)

Lunedì 22
·Steve Hackett Grugliasco (To)

Martedì 23
·Alan Parson Roma

Mercoledì 24
·Hiromi Uehara Cagliari

Venerdì 26
·Sigur Ros Ferrara
·Roger Waters Padova

Sabato 27
·Sigur Ros Lucca
·Alex Carpani + Prophexy Civitella M. (Gr)
·Area Monte S. Angelo (Foggia)
·The Lamb Ostia Antica (Roma)

Domenica 28
·Sigur Ros Roma
·Roger Waters Roma

Lunedì 29
·PFM Treviso