lunedì 30 settembre 2013

ALTERAZIONI 2013. Rassegna di Musiche Innovative


Alterazioni 2013. Rassegna di musiche innovative (www.facebook.com/Alterazioni2013 per maggiori informazioni). Cosa ci si può aspettare da un Festival con un nome così particolare, inusuale, atipico? Di tutto e un po’ ovviamente. E difatti i sei appuntamenti in calendario (cinque pomeridiani e uno serale) sono parecchio diversi tra loro, segno che la direzione artistica di Massimo Giuntoli aveva l’obiettivo concreto di coinvolgere un pubblico il più eterogeneo possibile. Il buon Massimo, nell’introdurre gli Empty Days, esibitisi domenica 29 settembre, ha spiegato nella maniera più semplice possibile come ci siano artisti dalla lunghissima carriera che, pur senza l’aiuto dei grandi media, riescono a lasciare un segno tangibile in decenni di produzioni e concerti. Quale modo migliore per spiegare la vita musicale di tre straordinari interpreti come Francesco Zago (chitarra Yugen, Not a Good Sign), Maurizio Fasoli (tastiere Yugen) ed Elaine Di Falco (voce dei Thinking Plague)! Per l’occasione il trio ha l’opportunità di presentare il disco di debutto nella settecentesca sala della musica di Villa Litta, un incantevole luogo di Lainate, un comune dell’hinterland milanese. Ad accompagnare i tre inoltre troviamo Jacopo Costa e Giuseppe Olivini. Gli Empty Days svolgono il compito in maniera impeccabile, muovendosi lungo il tracciato di una musica da camera dagli influssi avant (soprattutto nelle parti strumentali) e folate folk che mi han ricordato Joan Baez. Inoltre vengono proposte cover di Robert Plant, Jimi Hendrix, King Crimson e Franco Battiato, anche se l’aspetto più esaltante del live è stato sentire questi nuovi brani, pregni di atmosfera e lirismo. Faccio un grandissimo plauso non solo ai musicisti ma anche a Giuntoli e all’amministrazione comunale di Lainate che stanno portando avanti un discorso culturale rischioso e ricco di fascino (e speriamo di prospettive). Che dite, certi eventi non sono meglio dell’happy hour milanese…? (Luigi Cattaneo)


domenica 29 settembre 2013

JACULA, Pre Viam (2011)

Era dal 1972 che il progetto Jacula, una delle molteplici estensioni della visione musicale di Antonio Bartoccetti, non dava segni di vita, dall’allora Tardo Pede in Magiam Versus che anticipava e fu precursore del suono oscuro che ha caratterizzato la successiva sua produzione a nome Antonius Rex. Ma che ritorno è questo del signore del dark prog italiano? Indubbiamente ci sono momenti significativi e di grande fascino che però si alternano ad altri dove si ripetono clichè che erano tali già decenni fa! Ma entriamo nel dettaglio. Ed è Jacula is back il brano che ci riporta per mano nelle tenebre, con i suoi suoni spettrali e un’apertura accentuata in direzione Goblin, con la chitarra di Bartoccetti impegnata tra riff e soli e l’organo suonato dal figlio RexAnthony utilizzato per creare atmosfere lugubri che ben si sposano con il nero contesto Jacula. La title-track è intrisa dalla chitarra arpeggiata del leader, dalle tastiere che donano la solita atmosfera inquietante che ha reso cult la musica di Bartoccetti e dalla voce sussurata di Katia Stazio. Pre viam è una lunga (anche troppo) processione dello Jacula pensiero, con tutti i suoi stereotipi, i suoi pregi e i suoi difetti. Prendere o lasciare. Blacklady kiss è il brano più vicino alla forma canzone del disco, è un dark rock con il piano e il moog impegnati ad accompagnare e a sottolineare la gotica voce di Blacklady e Bartoccetti pronto a spezzare l’inquieto incantesimo con un bel assolo di chitarra. In Deviens folle torna alla voce la Stazio e il pezzo acquisisce una cristallina malinconia, anche per mezzo del pianoforte con il quale vengono create melodie che ci catapultano in un mondo fatto di paure e angosce, in un’atmosfera che ricorda le produzioni dei Dead Can Dance. Più scontata è In rain dove troviamo in primo piano l’organo e il moog a sostenere un’oscura litania di stampo gregoriano e successivamente una parte strumentale più vicina al progressive. Gli evitabili rumori di pioggia e tuoni aprono Godwitch che fortunatamente lasciano posto al pianoforte, al moog e ad un basso atto a scandire con forza la crescente tensione in una composizione davvero da film horror, una perfetta soundtrack immaginaria che ricorda quella vera di Suspiria, uno dei capolavori di Dario Argento. Chiude, ma non convince Possaction, ossia l’abc del Bartoccetti style, ispirata pare alla storia di una ragazza posseduta dal demonio. Qui ci troviamo urla di dolore, la voce della posseduta (sempre così pare…), una simil marcia militare, l’immancabile funebre organo, grida ossessive e potrei andare avanti su questa falsa riga ma mi fermo qui. L’album è un buon punto per ripartire, è capace di affascinare e a tratti anche di inquietare davvero ma talvolta risulta troppo ripetitivo e scontato, soprattutto quando si palesano davanti a noi lamenti e rumori sentiti già in troppo dischi del genere. E allora sarebbe meglio se Bartoccetti si concentrasse sulle sue capacità musicali che troppe volte, purtroppo, arrivano dopo la sua immagine. (Luigi Cattaneo)

Blacklady Kiss (Video)


mercoledì 25 settembre 2013

IL TEMPIO DELLE CLESSIDRE, Paprika Jazz Club 2010

Pubblichiamo qui di seguito foto inedite di una delle prime uscite live dei liguri Il Tempio delle Clessidre. Era il 16 ottobre 2010 e ci si trovava al Paprika Jazz Club di Dalmine. Un grazie a Chiara Paglialunga che ci ha permesso di condividere i ricordi di quella serata. 

                                                                    Elisa Montaldo


Tempio delle Clessidre





Stefano Lupo Galifi


Di seguito pubblichiamo anche il resoconto di quella serata

Il Paprika Jazz Club di Dalmine (Bergamo) ha avuto il pregio di ospitare per ben 3 sabati di ottobre grandi serate di rock progressivo. Il concerto di questa sera è il secondo appuntamento per gli appassionati dopo lo show acustico dei Delirium e prima di quello degli Altare Thotemico.
La band che stasera si esibisce sul piccolo palco del delizioso locale bergamasco (www.paprikajazz.it) è Il Tempio delle Clessidre, gruppo ligure emergente di cui fa parte il mai dimenticato vocalist del Museo Rosenbach, Stefano “Lupo” Galifi.
Si tratta di una delle prime esibizioni pubbliche del quintetto formato da Elisa Montaldo (tastiere), Fabio Gremo (basso), Giulio Canepa (chitarra) e Paolo Tixi (batteria) oltre che dal già citato “Lupo” dopo la pubblicazione dell’omonimo primo disco. La band però almeno in apparenza non sembra per nulla emozionata o intimorita dall’evento e propone per intero ed in maniera assai convincente il debut album nel quale spiccano le rese live di brani come Le due metà della notte, La stanza nascosta e Faldistorum oltre che svariate cover tra cui un esaltante riproposizione della prima parte di quel capolavoro che risponde al nome di Zarathustra… Colpiscono meno le altre cover proposte (tra cui Money dei Pink Floyd e Non chiudere a chiave le stelle della Locanda delle fate) ma questo appare più come un dettaglio e non inficia la buonissima prestazione di cui si sono resi tutti protagonisti.
Menzione particolare per Elisa Montaldo, abilissima a districarsi tra i suoni delle sue tastiere e anima della band e per Galifi, per il quale il tempo sembra essersi fermato! Ma un plauso personale lo voglio fare anche agli altri membri della band. Gremo risulta sempre preciso e incisivo, Canepa predilige la qualità alla quantità tramite i suoi soli mai invadenti e Tixi dimostra di essere un batterista potente e dall’ottima resa live.
L’augurio è che questa band (come tante altre a dire il vero) possa avere, ora che il disco è stato pubblicato dalla Black Widow, la possibilità di esprimersi con continuità soprattutto dal vivo… (Luigi Cattaneo)

domenica 22 settembre 2013

STERBUS, Smash the Sun Alight (2012)

Abbiamo già avuto modo di parlare di Sterbus attraverso questa pagine e la curiosità per questo Smash the Sun Alight non era poca, visti anche gli apprezzabili risultati di Eva Anger, ep del 2007. Diciamo subito che anche qui non ci si trova dinnanzi ad un vero e proprio full lenght, visti i 30 minuti scarsi di durata, ma d’altronde la musica non si valuta a peso e quindi… Persistono in Sterbus strutture ritmiche indie a cui però il romano ha aggiunto un’aurea più squisitamente prog alle composizioni. Non aspettatevi però esiti sinfonici e magniloquenti ma bensì pezzi in odore di Cardiacs (citati pesantemente ma non per questo clonati), una delle passioni dell’autore e parecchia ironia (la tagliente Gay Cruise m anche The Amazing Frozen Yogurt), aspetto spesso trascurato dal progressive. Ma tra il serio e il faceto non mancano riferimenti ai King Crimson, soprattutto in Flatworms (Eggs of Joy), uno degli apici del platter. Sterbus non si dilata mai più del necessario, preferisce puntare dritto sull’impatto e sul groove pur senza dimenticare l’aspetto melodico dei brani riuscendo a creare soluzioni non propriamente comuni anche per via delle sue svariate influenze, che vanno dal prog all’alternative, passando per il punk, il brit pop e il grunge. E qui tutto si sente (puristi statene alla larga quindi!). Ne è un esempio Wooden Spheres + Heartquakes, intrisa di funky, di prog e di una vena irriverente che non guasta affatto. Insomma, chi conosce il lavoro del bravo Emanuele Sterbini (questo il nome del one man band Sterbus), che qui scrive, arrangia e suona in piena autonomia, sa già cosa deve aspettarsi. Tutti gli altri possono visitare il sito http://sterbus.bandcamp.com/album/smash-the-sun-alight dove è possibile ascoltare il disco per intero. (Luigi Cattaneo)

Wooden Spheres + Heartquakes (Video)


mercoledì 18 settembre 2013

NOT A GOOD SIGN, Not A Good Sign (2013)

Dall’incontro tra membri di Yugen, Ske e La Coscienza di Zeno nasce questo nuovo progetto a nome Not a Good Sign sotto l’egida della prolifica e spesso straordinaria AltrOck Records. Un’unione tra alcuni dei migliori ensemble degli ultimi anni che mi ha destato da subito profonda curiosità, ripagata da uno dei risultati più interessanti del 2013. Il progetto vede la partecipazione di Francesco Zago alla chitarra, Paolo “Ske” Botta alle tastiere, Alessio Calandriello alla voce, Gabriele Guidi Colombi al basso e Martino Malacrida alla batteria. Se i primi 2 si sono sempre distinti per un lavoro di modernizzazione del progressive vi è un contraltare sinfonico e fascinosamente vintage che invece vede protagonisti Calandriello e Colombi con La Coscienza di Zeno e che qui porta ad ottenere risultati a dir poco strabilianti. L’immaginario della band è quello che si coglie ascoltando i vecchi dischi di mostri sacri come Van Der Graaf Generator e King Crimson, a cui vengono distillati con sapienza spore hard e psichedeliche che profumano di Porcupine Tree. Ne viene fuori un album per niente passatista ma attuale nella sua prospettiva di rivitalizzare un genere che ha ormai superato i 40 anni di vita. Qui c’è di tutto un po’. Botta con le sue tastiere (Mellotron in testa) incanta non solo per capacità tecniche ma anche per l’attenzione melodica con cui colora i brani, mentre Zago è la solita macchina di riff distorti e inquietanti. Le ritmiche intricate della coppia Colombi-Malacrida stupiscono e Calandriello sfodera a mio avviso la prestazione più convincente tra quelle che ho ascoltato su disco. I Not a Good Sign si muovono lungo un binario in cui far convivere in buona pace melodie azzeccate e mai insipide, sinfonismo che non sfocia nel grandeur e una leggera carica sperimentale che non può mancare in una release targata AltRock. Basta ascoltare le prime note di Almost (divisa in 2 parti) per rendersi conto di trovarsi tra le mani un disco superiore alla media: non c’e solo il virtuosismo fine a sé stesso (Botta docet) ma la reale volontà di creare, di fare arte. Certo la classe cristallina dei presenti aiuta ma non è solo questo. È la capacità di comunicare attraverso le note, di coinvolgere anche emotivamente l’ascoltatore a fare la differenza tra un disco valido e uno straordinario. I Not a Good Sign rientrano nella seconda categoria. Il lavoro andando avanti non mostra cadute strutturali e rimane sempre su altissimi livelli. Making Stills vive in una dimensione cinematografica, mentre la title track mette i brividi e si riallaccia a quanto fatto dai King Crimson e dai Van Der Graaf nella prima parte dei ’70, li cita ma non gli fa il verso, attinge da quel periodo ma lo fa con personalità e senza cadere nella citazione forzata. Bellissima la dark song Witchcraft by a picture in cui fa la sua comparsa alla voce Sharron Fortman (North Sea Radio Orchestra, Cardiacs), Bianca Fervidi al violoncello, che rende l’atmosfera ancora più drammatica e Maurizio Fasoli al piano. The Deafening Sound of the Moon ha giri hard rock su cui si innesta una vena psichedelica che non guasta. Non sono da meno l’ottima Coming back home, il prog dal taglio moderno di Flow On e la coda strumentale Afraid to ask. Ok, la perfezione non esiste, ma qui ci andiamo vicino. Disco prog rock dell’anno? (Luigi Cattaneo)

Making Stills (Video)

domenica 15 settembre 2013

LA CLAQUE, Tris di concerti Prog!

La Claque in collaborazione con Black Widow Records annuncia un tris di concerti prog nei prossimi mesi dell'anno.
Si parte il 19 ottobre con Il Tempio delle Clessidre che avrà modo di presentare il nuovissimo Alienatura. In apertura la bravissima Sophya Baccini.
Si prosegue il 23 novembre con una serata decisamente vintage. Sul palco Gli Spettri e a seguire gli storici Gleemen.
Chiusura il 7 dicembre con ben 3 gruppi. Infatti nella serata finale si esibiranno i Demetra Sine Die, i Blue Dawn e i Fungus.



sabato 14 settembre 2013

PEPPE GIANNUZZI, Violinizer (2013)

Un nome nuovo, almeno per il ricco e fertile underground progressive, si affaccia sulla scena italica e lo fa con la consapevolezza di chi sta sui palchi da una vita, pur muovendosi attraverso un modus operandi molto diverso da quello qui proposto. Peppe Giannuzzi arriva dal Salento, lì dove la taranta sembra l’unica musica possibile (anche se non è così e vi sono musicisti di estrazione jazz e anche rock di tutto rispetto) e pur facendo parte di diversi ensemble dediti alla pizzica (vedi Artetika), ha collaborato con personaggi di livello internazionale come l’ex P.F.M. Mauro Pagani, Vittorio Cosma (membro storico della band di Eugenio Finardi) e Stewart Copeland, batterista dei Police. Dopo tanti anni di onorata carriera esce Violinizer, primo disco a suo nome, in cui Giannuzzi si fa coadiuvare da Roberto Gemma alle tastiere e Angelo Fumarola alle chitarre. Il salentino è un vero virtuoso del violino (definito il Satriani dello strumento) e pur mostrando capacità tecniche di alto livello ha prestato grande attenzione alla forma compositiva, pur lasciandosi andare in qualche brano ad accelerazioni vicine allo speed metal (Alien Spider Dance) che convincono meno rispetto a quando si avvicina al prog e ad uno spirito world soffuso ed estremamente piacevole. Giannuzzi utilizza non solo il violino acustico ma anche uno elettrico munito di pedaliera Boss, proprio come viene utilizzata dai chitarristi (da qui forse anche il paragone con il guitar hero per eccellenza) e ciò si materializza in diversi momenti del disco, come in 100, dove è possibile trovare anche Francesco Fry Moneti dei Modena City Ramblers alla chitarra elettrica. Ritroviamo Moneti anche in due episodi piuttosto significativi come Strings on fire e Hotel Laguna, una partecipazione quindi non fine a sé stessa ma coinvolgente e soprattutto convincente! Non mancano inoltre stralci southern e bluesy (21 hot blues è uno dei pezzi migliori), altri world (Wind of Africa) e romantiche ballate (Eddy Smile), segno della volontà di voler suonare senza pensare troppo a quale direzione prendere e di una certa libertà di vedute e intenzioni che finisce per giovare all’intero progetto. Giannuzzi in questo Violinizer ha cercato di legare insieme il rock, la musica etnica,il blues, il folk della sua terra ed è riuscito nell’intento di creare un album gradevole ed easy listening senza scadere però nel pop più semplice e banale. (Luigi Cattaneo)

Hotel Laguna (Video)

   

venerdì 13 settembre 2013

LOCANDA DELLE FATE, The Missing Fireflies (2012)

Chi si aspettava un disco di inediti da parte della Locanda delle Fate resterà deluso. Poche le novità sostanziali presenti nel nuovo The Missing Fireflies che, come suggerisce il titolo, riferimento a Forse le lucciole non si amano più del 1977, raccoglie alcuni brani che non erano stati inseriti nell’album d’esordio e che dunque rischiavano di essere irrimediabilmente persi. Le lucciole mancanti in realtà sono solo due, Crescendo e La Giostra, pezzi che venivano eseguiti dal vivo negli anni ’70. Se Crescendo non aveva mai trovato spazio su alcun lavoro del gruppo La Giostra invece era già presente in Locanda delle Fate Live edito dalla Mellow nel 1993 (ma contenente registrazioni del 1977). Peccato che quel disco dal vivo non facesse giustizia alla qualità altissima della composizione, che qui viene finalmente riproposta in maniera adeguata e mostra una scrittura dello stesso livello delle tracce presenti nello storico debut di 35 anni fa. Anche Crescendo è una song di grande spessore, molto articolata e con i tipici intrecci tra tastiere e chitarre che hanno contribuito a creare il mito della Locanda. In questi 2 brani, che rappresentano il vero motivo di interesse di The missing fireflies, ritroviamo tutto l’incanto di un mondo poetico che ha affascinato generazioni di amanti del progressive. Le parti strumentali, classicheggianti e come consuetudine ben rifinite, la voce espressiva e ancora ammaliante di Leonardo Sasso (che non era presente in Homo homini lupus del 1999), rimandano ad una stagione dorata che non tributò il giusto riconoscimento agli astigiani. Oltre ciò completano il disco un breve strumentale (Sequenza circolare) e una nuova versione di Non chiudere a chiave le stelle, un classico del gruppo che conferma il buono stato di forma del vocalist. C’è poi una sezione di repertorio in cui vengono presentati tre estratti da un concerto tenutosi al Teatro Alfieri di Asti nel 1977. La qualità sonora non è altissima e va presa come una testimonianza live per chi quell’epoca non ha potuto viverla. Un come back che non aggiunge molto alla storia discografica di questa straordinaria band ma che può essere un buon punto di partenza per nuove suggestive avventure. (Luigi Cattaneo)

La Giostra (Video)


mercoledì 11 settembre 2013

L'IMPERO DELLE OMBRE, I Compagni di Baal (2011)

Il Salento, da sempre ricordato per le sue bellezze paesaggistiche, per il mare, il sole, il vino, la pizzica e negli ultimi anni per alcune band che, partite dall’indie rock hanno raggiunto uno status nazional-popolare non indifferente come Negramaro e Apres La Classe, dona luce (nera) al progetto di due fratelli, Giovanni “John Goldfinch” e Andrea Cardellino, rispettivamente voce e chitarra di L’impero delle Ombre. Dopo l’omonimo debut del 2004 e un rimpasto di formazione i salentini tornano con un album meglio sviluppato ed articolato, che pur non facendo gridare al miracolo per originalità, si lascia ascoltare con piacere per buona parte della sua durata. A completare la nuova line-up ci sono Dario Petrelli alla batteria, Fabio Oliveti al basso e Oleg Smirnoff alle tastiere (già con Death SS, Eldritch e Vision Divine). I compagni di Baal è un concept album ispirato ad un noto sceneggiato francese del 1969 diretto da Pierre Prèvert che mostrava una Parigi oscura e malefica in cui operava questa setta segreta adoratrice del Dio Baal. Le atmosfere gotico-noir della storia ben si adattano a quelle dei fratelli Cardellino che si adagiano su soluzioni dark metal dalle tinte ora doom ora più velatamente progressive, soprattutto per certi suoni di tastiera rigorosamente vintage. Ed è proprio Smirnoff a proiettarci con un intro che riprende la sigla originale dello sceneggiato alla prima traccia, Diogene, ottima per aprire l’album grazie ad un bel riff di stampo heavy che sorregge l’intera costruzione del pezzo, su cui si innesta la voce perentoria di Giovanni Cardellino. Il moog dialoga con la chitarra nel break centrale dal sapore progressive, salvo poi lasciare spazio alla veemenza tipica della band, sino alla chiusura dove si inserisce una parte dialogata dello sceneggiato stesso! Il dark metal segna Divoratori della notte, episodio che profuma di Paul Chain (ex chitarrista dei Death SS) e che esplode in una cavalcata heavy nella seconda parte. Ciò che convince maggiormente di questo brano è il sapiente uso delle tastiere a disposizione di Smirnoff e la sezione ritmica piuttosto efficace, anche se, è bene dirlo, lo sguardo è molto rivolto al passato (ma in questo caso funziona eccome). Toni più pacati e riflessivi nella successiva Ballata per Liliana, classica ballad fortemente malinconica e con un chorus piuttosto facile da memorizzare. Buoni i momenti solistici affidati ad Andrea Cardellino (migliorato tecnicamente rispetto al primo album) e Smirnoff, che fin qui sono stati grandi protagonisti del lavoro. Decisamente più ritmata L’oscura persecuzione. I salentini creano un wall of sound di grande impatto che viene appena ammorbidito dall’organo hammond di Smirnoff, bravo nel fungere da contraltare ad un durissimo riff di Andrea Cardellino (che richiama ancora una volta alla mente Tony Iommi). Buono anche il finale strumentale di estrazione seventies che potrebbe essere una soluzione in più anche per il futuro della band stessa… Cosmochronos molto probabilmente è stata pensata per la dimensione live, carica e trascinante, suona come un episodio molto diverso rispetto agli altri. Connotati più consoni al resto del platter è Sogni di dominio, vibrante dark song molto vicina al suono dei Death SS, complice anche la prova maiuscola di Smirnoff, che acuisce ancor di più la maggior capacità di songwriting rispetto al passato grazie a dei tappeti sonori davvero curati. La caduta del conte di St. German è un doom nerissimo e oscuro, avvolgente e sinistro, sospinto dal moog e dall’uso della voce più aggressiva e minacciosa da parte di Giovanni Cardellino, che chiude idealmente il concept album. Tutti i colori del buio è l’outro strumentale finale che omaggia nel titolo un thriller italiano di culto del 1972 girato da Sergio Martino. Nell’edizione in cd si trova poi una riuscita cover di un classico dei Black Sabbath, Snowblind, giusto per chiarire una delle fonti ispiratrice del nero suono del quintetto. L’idea di musicare uno sceneggiato televisivo risulta affascinante e l’album appare evocativo e riesce nell’intenzione di catturare le sinistre atmosfere dell’opera francese attraverso una narrazione filmica efficace. Sicuramente c’è stato un passo in avanti rispetto all’esordio discografico e convincono molto le atmosfere noir di cui è pieno il disco e i passaggi più progressivi dettati dalle tastiere di Smirnoff. Opera di buona qualità che può essere il preludio per una definitiva e più concreta conferma. (Luigi Cattaneo)

Diogene (Video)

Il Martino e alla sua pellicola "Tutti I Colori Del Buio", meraviglia del cinema di genere

sabato 7 settembre 2013

GENTLE GIANT, Gentle Giant (1970)

Dietro ad una delle più note icone del rock progressivo, ossia l’immagine del Gigante Buono posto in copertina dell’album, si apre un disco coraggioso e innovativo, fresco e già maturo, tecnicamente ineccepibile, capace di combinare rock elettrico, fiati, musica classica, jazz e folk. Stupisce la straordinaria preparazione strumentale di musicisti allora quasi sconosciuti e all’esordio discografico. Il gruppo si presenta con Giant. Si tratta di una composizione robusta e dai tratti vagamente hard, con la voce da subito in primo piano. Il brano appare diviso in tre parti: nella prima parte il gruppo mostra grande compattezza, vengono limitati gli episodi solistici a favore di una musica atta a supportare le qualità vocali di Derek Shulman. Difatti Giant dopo una brevissima introduzione di organo si presenta in tutta la sua carica, vocale e strumentale. In questa sezione la band mostra quelle che diventeranno alcune delle sue caratteristiche basilari come le ritmiche sincopate e complesse e le sofisticate progressioni armoniche. La seconda parte si apre dopo 3 minuti e 15 secondi. Qui la band abbandona la forza debordante dei primi minuti per lasciare spazio ad un momento strumentale dove la sezione ritmica soffusamente jazzata ci conduce per mano in territori epici. La terza ed ultima parte che inizia dopo 5 minuti e 37 secondi è difatti un ritorno alla prima sezione, con il basso che ci guida rapido ad un cambio di atmosfera piuttosto netto e repentino, con la voce di Derek Shulman da subito presente.   Orchestrale la stesura di Funny ways. Nei primi 2 minuti la composizione  è delicata e intensa, hai toni di una morbida ballata progressiva con l’andamento del violino di Ray Shulman posto in evidenza, così come il violoncello suonato dall’eclettico Minnear capaci di sostenere il cantato semplice ma allo stesso tempo intimistico di Derek Shulman. Funny ways esprime perfettamente una caratteristica saliente del sound dei Gentle Giant quando la voce vellutata di Phil Shulman si contrappone a quella più dura ed aggressiva di Derek creando un effetto particolare: una sorta di sdoppiamento tra qualcosa di lineare e qualcosa di maggiormente graffiante dove è la potenza vocale a fare da supporto al brano e la forza espressiva delle voci viene utilizzata come marchio di fabbrica per la ricerca di raffinatezze davvero inusuali. Prima di arrivare alla conclusione del brano la band si esprime con forza attraverso la coesione dei vari strumenti, su cui spicca un breve momento solistico della chitarra di Gary Green, l’organo di Minnear e la tromba di Phil Shulman. In questo caso la band raggiunge una straordinaria compattezza d’insieme diventando così una perfetta macchina di vibrazioni sonore. La terza traccia del disco è Alucard, uno dei momenti più intricati di questo debutto. Il brano è quasi interamente strumentale e gli spunti vocali sono pochi ma molto arditi. Il pezzo ha una propria struttura barocca su cui si innestano dissonanti cori vocali e rispecchia una stesura live, con quella carica tipica dei concerti della band. C’è un intreccio di spunti strumentali di grande valore all’interno dei quasi 6 minuti della composizione: il moog di Minnear ha il pregio di creare una sorta di ritornello suonato che verrà ripetuto diverse volte intrecciandosi con i fiati di Phil Shulman per un effetto finale inusuale, la chitarra solista di Gary Green spicca per la sua grande incisività, Martin Smith alla batteria suona energico ma preciso. Rifinito e complesso in ogni sua sfumatura il brano propone temi virtuosistici ma non altisonanti, sviluppati con ammirevole affiatamento da una band in evidente stato di grazia. Il quarto brano di questo esordio è Isn’t it quiet and cold, episodio molto diverso rispetto a quelli finora analizzati. C’è da dire che i Gentle Giant non erano una band costruita attorno al violino, ma un gruppo in cui questo strumento interviene sporadicamente per dare colore al pezzo. A parte gli interventi di accompagnamento dove risultava necessario, è uno strumento a cui la band ha dedicato nel corso della propria carriera pochi brani ma per intero. In Isn’t it quiet and cold il gruppo mette in mostra le proprie capacità di arrangiamento e il violino di Ray Shulman si esibisce in un tema cantabile, solitario e dai toni popolari che accompagna per tutta la durata del pezzo la voce di Derek Shulman. Differente è il clima della successiva Nothing at all, lunga 9 minuti e capace contenere al suo interno tutti gli elementi che hanno reso celebre il gruppo. Il brano nella prima parte è delicato nelle voci, con impostazione a tratti corale volte a creare suggestive armonie, dapprima sostenute da un delicato arpeggio di chitarra acustica e poi da quella elettrica di Gary Green, che qui si dimostra solido e dotato di una tecnica raffinata capace di donare grinta e vigore. Dopo 4 minuti e 20 secondi termina la prima parte e nel break centrale Martin Smith esegue un solo di batteria come non poteva mancare nelle esibizioni live del periodo. Interessante notare come all’interno di questa parte centrale si sovrapponga alla batteria il piano di Minnear che cita un notturno di Lisz, il Liebestraum, del 1850. Il brano termina poi con la ripresa del tema principale già ascoltato nella prima parte del pezzo. Why not ci riporta alle atmosfere dell’opener Giant. Difatti c’è un attacco vocale immediato e la composizione almeno per il primo minuto e mezzo vede il coinvolgimento di tutta la band, fino all’entrata in scena del flauto di Minnear che accompagna delicatamente la voce di Derek Shulman. Ancora una volta il gruppo dimostra di avere una solida formazione classica da cui attingere e di essere una delle band dall’approccio maggiormente colto del panorama inglese di quel periodo; è un breve passaggio però, perché il gruppo si ripropone da subito per intero e spicca in questo frangente la chitarra solista di Green, sempre preciso e vigoroso che riporta il brano alle sonorità iniziali. La coda finale è strumentale e il protagonista assoluto è ancora Green che si lancia in un coinvolgente solo di matrice blues. Chiude l’album The queen, una brevissima rivisitazione moderatamente dissacrante dell’inno nazionale britannico. (Luigi Cattaneo)

Giant (Video)




lunedì 2 settembre 2013

CONCERTI DEL MESE, Settembre 2013

Lunedì 2
·Sandcastle Crema (CR)
·Cosmos Le Garage Thun (Svizzera)


Martedì 4
·Arturo Stàlteri Quattro Castella (RE)
·Napoli Centrale Venticano (AV)

Mercoledì 5
·Maniscalco Maldestro Volterra (PI)
·Magnolia Roma Castel Sant'Angelo
·Napoli Centrale Terni
·Lagartija Piacenza
·Notturno Concertante Ariano Irpino (AV)

Venerdì 6
·2 Days Prog + 1 Veruno (NO)
·PFM Asti
·Unreal City + Egoband + Banco Pisa
·Maniscalco Maldestro Prato
·Roberto Cacciapaglia Ravenna
·Démodé Trieste
·Ibrido Hot Six Collescipoli (TR)
·Napoli Centrale Salerno
·Camelias Garden Roma

Sabato 7
·2 Days Prog + 1 Veruno (NO)
·Agorà Civitanova Marche (MC)
·The Magical Box Carpi (MO)

Domenica 8
·2 Days Prog + 1 Veruno (NO)
·Arturo Stàlteri Seneghe (OR)

Martedì 10
·Posto Blocco 19 Parma

Giovedì 12
·PropheXy Bologna

Venerdì 13
·Roberto Cacciapaglia Perugia
·Démodé Codroipo (UD)
·Claudio Milano Monza
·Lagartija Fiorenzuola d'Arda (PC)
·Birth Control Pratteln (Svizzera)


Sabato 14
·AltrOck in Concert Milano
·Fonderia Roma
·The Magical Box Basilicanova (PR)
·Sycamore Age Arezzo

Domenica 15
·Démodé Udine


 Mercoledì 18
·The Winery Dogs+The SixxiS Trezzo (MI)
·Démodé Udine

Venerdì 20
·Amon Düül 2 Torino
·Estro Nemi (Roma)
·Arturo Stàlteri Copparo (FE)
·UT New Trolls Taranto
·Osanna Cortile del Maschio Angioino (NA)


Sabato 21
·Roccaforte Arquata Scrivia (AL)
·Il Fauno di Marmo Birreria Alpenbier Tarcento

Domenica 22
·Brian Auger Break Live Ascoli

Lunedì 23
·Brian Auger Il Calidario Terme di Venturina

Martedì 24
·Circus Maximus Trieste
·Brian Auger Teatro Astra San Giovanni Lupatolo
Mercoledì 25
·Mirthkon Trento
·Circus Maximus Ferrara

Giovedì 26
·Circus Maximus Roma

Venerdì 27
·Magma Monaco [Principato]

Sabato 28
·Lingalad Cernusco s/Naviglio (MI)
·Circus Maximus Milano
·Ian Anderson Teatro Cagnoni Vigevano
·Brian Auger Blue Note Milano

Domenica 29
·Le Maschere di Clara Faenza (RA)
·Empty Days Lainate (MI)