Progressive Rock&Metal ma anche una panoramica su Jazz, Blues, Folk, Hard&Heavy, Psichedelia, Avanguardia, Alternative, Post Punk, Dark Rock.
Un blog sulle sfumature della Musica.
Secondo disco per gli
Indra, un concept che tratta il tema dell’emigrazione, un racconto dove l’emarginazione
sociale diviene l’unico finale possibile. Ceneri
– Requiem per il Sogno Americano è un’amara riflessione che Gianluca
Vergalito (chitarra, sitar e basso), Antonio Armanetti (batteria e percussioni)
e Mattia Strazzullo (piano, tastiere, synth e basso) evocano a colpi di prog,
musica popolare, jazz, folk e sonorità balcaniche, una world music tout court
che non disdegna l’utilizzo di strumenti tipici (Taranta Stomp). Il jazz etnico e multiculturale del trio è molto
immaginifico (la corsa felice di Fenice, i sogni di La variante Ascari, ma anche la voglia di esplorare di Fuochi
d’artificio), si contamina di suggestioni (la Bosnia di Erzezù narrata dalla Bukurosh Balkan
Orkestra), con la voce narrante di Jesus Blanco III (autore anche dei testi che
declama) perfetta per guidarci in territori oscuri, fatti di paure e vicoli bui
(Cuore e Illusione). Il requiem del protagonista riflette la precarietà del
contemporaneo (Il viandante), dove la
speranza viene affossata da un ultimo gesto (Caronte), che porta ad un messaggio conclusivo (Manifesto) lacerante, ma che diviene
anche fonte di vita per coloro che rimangono e continuano a credere in un
domani migliore. (Luigi Cattaneo)
Primo disco dal vivo
per gli Artemisia (Vito Flebus alla chitarra, Anna Ballarin alla voce, Ivano
Bello al basso, Gabriele Gustin alla batteria, Elettra Medessi ai cori), band
con all’attivo già cinque lavori (il quinto è di questi giorni) che qui
presenta alcuni dei brani più significativi della propria discografia, puntando
molto sul tipico impatto live del gruppo. Il non aver lavorato in post
produzione ai pezzi acuisce la volontà degli Artemisia di presentare nella
maniera più reale possibile il loro alternative rock venato di stoner, una
scelta che finisce per caricare di heavy la struttura dei brani, caratteristica
che nei dischi in studio rimane maggiormente sottotraccia. Corpi di pietra, Tavola
antica o La preda sono fulgidi
esempi dello spirito che anima questa raccolta live, riassunto di un percorso
nell’underground nostrano senza intoppi e ottimo punto di partenza per quanti
non conoscono questa interessante realtà del rock tricolore. (Luigi Cattaneo)
Obsessions and SolitudeS è il primo lavoro degli Obscure
Obsession, quintetto formato da Luca Steel (voce), Ido Evone (chitarra),
Francesco Fornasiero (chitarra), Giuly Maso (basso) e Diego Bordin (batteria),
che si cimenta in quattro brani caratterizzati da un heavy metal a tinte fosche
che ricorda gli anni ’80 di Black Sabbath, Ronnie James Dio e Dark Lord. I trevisani
firmano un’opera prima gradevole, dove non mancano spunti doom intriganti, a
partire dall’aggressiva Maybe you could
understand me, per poi proseguire con la greve Obsession e la più melodica Aurora.
Chiude l’ep Fading away, che
predilige nuovamente un approccio classicamente metal, buon finale di un primo
passo interessante, in attesa di qualcosa di più sostanzioso. (Luigi Cattaneo)
Con enorme piacere mi
trovo a parlare del primo disco dei L’ira del Baccano, un album del 2007
registrato live che la band aveva promozionato tramite il portale myspace. Si non Sedes is – Live MMVII è stato
pubblicato nel 2018 in formato fisico grazie al supporto della sempre attenta
Subsound Records, etichetta che è stata al fianco dei laziali anche per Terra 42 (2014) e Paradox hourglass (2017), release di cui abbiamo parlato ai tempi
delle loro uscite. Il sound selvaggio e vigoroso che fuoriesce da questa ottima
esecuzione dal vivo rimane legato allo stoner, al doom e alla psichedelia più
irruenta, tratti distintivi di una band che ha sempre guardato con ammirazione
a Black Sabbath, Hakwind, Ozric Tentacles e Grateful Dead. La stampa di questo
lavoro è quindi occasione gradita per scoprire le origini del quartetto formato
da Alessandro Santori (chitarra), Roberto “Malerba” (chitarra e synth),
Alessandro Salvi (batteria) e Massimo Siravo (basso e synth), uno stupendo trip
strumentale in cui perdersi completamente, lasciandosi trasportare dalle lunghe
jam di un gruppo che mostra un’attitudine live indiscutibile. (Luigi Cattaneo)
Quarto disco per i
Lucid Dream, band formata da Simone Terigi (chitarra), Karl Faraci (voce),
Roberto Tiranti (basso e voce, noto per essere membro dei Labyrinth ma anche di
Wonderworld e New Trolls), Paolo Tixi (batterista di Il Tempio delle
Clessidre), Luca Scherani (tastierista per Hostsonaten, Periplo, La Coscienza
di Zeno e Trama), oltre che da un trio d’archi composto da Andrea Cardinale
(violino), Sara Calabria (viola) e Rachele Rebaudengo (violoncello), musicisti
straordinari che hanno dato vita ad un altro album elegante e raffinato. Chi ama
le sonorità in bilico tra prog rock e metal troverà qui atmosfere lontane ma
calate nell’attualità, con la Liguria che si conferma ancora una volta terra
tra le più importanti e fervide in ambito progressivo. Si parte ottimamente con
il prog metal di Wall of fire, la
struttura heavy viene confermata da Desert
glass, che si arricchisce di un chorus piuttosto trascinante, mentre By my side è una ballata molto delicata.
A dress of light e The war of the cosmos si muovono in
bilico tra Threshold e Labyrinth, con parti robuste ma sempre ricche di
espressiva melodia, mentre The realm of
beyond è l’unico strumentale presente, davvero perfetto per mostrare quanta
qualità hanno questi magistrali interpreti. Golden
silence è un interessante crossover tra folk, prog e hard, suggestivo il
finale di Wakan Tanka, chiusura di un
lavoro curato nei minimi particolari e davvero di grande spessore. (Luigi
Cattaneo)
Nati nel 2015 dalle
ceneri del trio blues Almost Blue, in cui militava il chitarrista e cantante
Christian Zecchin (Big Street, Major 7, Chakra’s Band), i The C. Zek Band
tornano dopo il già valido Set you free del
2017, disco di cui avevo parlato ai tempi dell’uscita. Rock blues e hard sono
ancora la base di partenza di un progetto completato dai bravissimi Nicola
Rossin (basso), Matteo Bertaiola (Hammond, Rhodes e synth), Enea Zecchin (
batteria) e Roberta Dalla Valle (voce solista), quintetto che ha affinato
ancora di più il tiro, sorprendendomi non poco con il nuovo e freschissimo Samsara, un piccolo gioiello che farà la
felicità di quanti amano The Allman
Brothers Band, Derek Trucks e The Black Crowes. Il lavoro è assolutamente
maturo e meritevole di tanta attenzione, con momenti davvero toccanti (le due
parti della title track e Stolen Soul in
particolare), ma è tutto il complesso a reggere, legato da suadenti striature
psichedeliche che rimandano all’immaginario iconico di fine ’60 inizio ’70,
quando libertà e fantasia erano tra gli ingredienti principali di un momento
storico irripetibile, elementi che animano anche la musica dei veneti, sospesa
nel tempo ma ancora perfettamente attuale. (Luigi Cattaneo)
Atteso alla prova del
novedopo le felici intuizioni di Volo magico n° 1, Claudio Rocchi con il
seguente La norma del cielo,uscito sempre per la Ariston nel 1972,
non riuscì del tutto a replicare quello splendido lavoro. In realtà i brani che
lo compongono risalgono alle registrazioni effettuate per il disco precedente,
musicisti impegnati nelle session compresi, che per volontà dell’autore sarebbe
dovuto essere un doppio LP. Per altri motivi invece la Ariston divise l’album
in 2 parti, con la seconda sotto intitolata Volo
Magico n° 2, probabilmente per sfruttare la buona riuscita del disco
dell’anno prima. Ci troviamo quindi di fronte a composizioni scartate e di poco
valore? Assolutamente no ma il paragone con quanto si ascoltava nell’album
precedente risulta un po’ ingeneroso. Perché La norma del cielo non ha le stupende trame che albergavano buona
parte di Volo magico n° 1 e non porta
con sé quell’alone di fascino e novità percepibili in precedenza, o almeno non
possiede tali caratteristiche in maniera così massiccia da provocare
sbalordimento e sorpresa. È pur vero però che rimane un lavoro interessante e
che mostra, come ovvio che sia, diversi punti di contatto con quanto sviluppato
da Rocchi solo un anno prima, in una linea di continuità sia musicale che
testuale indiscutibile. È il caso dell’opener L’arancia è un frutto d’acqua,con la sua melodia semplice semplice che ti rimane sottopelle,
caratteristica rocchiana, marchio di fabbrica del suo fare musica, qui
accompagnato dal fine tocco di Eugenio Pezza (tastiere), in un racconto di folk
obliquo tanto caro al cantastorie, che non si fa mancare un finale mantrico che
denota il suo amore totale per l’India. Storia
di tutti è forse il brano più riuscito o comunque quello che si poteva
inserire con più facilità in Volo magico n°
1, complice il folk psichedelico minimale e dai tratti orientali che ben si
sposa con un testo ispirato e mistico, a cui segue a ruota la title-track,
piccolo gioiellino di trascendenza spirituale dal messaggio tanto genuino
quanto d’impatto. Lascia Gesù è un
brano sentito, manifesto del Rocchi pensiero, sostenuto dal basso di Eno Bruce
e da Pezza bravo nell’intervenire per variare un tema un po’ troppo monocorde,
così come ha poco mordente il folk progressivo strumentale di Tutti insieme. Probabilmente si
manifesta in queste composizioni l’essenza di brani che con maggiore calma
potevano essere rivisti e migliorati, come nel caso di Il bosco, traccia molto breve che pare essere incompleta, quasi
come se fosse un abbozzo lasciato lì per essere poi ripreso. Il finale di Per la luna omaggia di nuovo l’India, a
dire il vero con una psichedelia un po’ ingenua ma estremamente sincera,
proprio come il personaggio Rocchi, sempre lontano dal materialismo e proteso
costantemente alla ricerca di un proprio viaggio spirituale, interiore e non
solo fisico. La norma del cielo ha al
suo interno melodie piacevolissime ma che non sempre lasciano il segno, appare
come un album di transizione, che pone ancor maggior attenzione sulle influenze
orientali, imbevute nel tessuto folk in maniera semplice e diretta. Claudio
farà molto meglio nel successivo Essenza del
1973, disco ancora oggi attuale e probabilmente sottovalutato. (Luigi Cattaneo)
Nati all’interno di una
“comune musicale”, i minDance hanno da sempre provato a non snaturare un’essenza
fatta di psichedelia e progressive dagli influssi dark, sin da quando si
muovevano sotto lo pseudonimo GMST. La formazione che arriva al debutto Cosmically nothing ha trovato una
propria stabilità con l’ingresso di Peppe Aloisi (basso, voce e synth), che si
è aggiunto a Tonino Marchitelli (voce e tastiere), Gianluca Vergalito
(chitarra) e Massimo Cosimi (batteria), musicisti che hanno espresso con grande
passione tutto il loro background, per un risultato finale che mette insieme
psych rock di fine sessanta e rock settantiano. L’insolita Minkiadance apre il lavoro con una certa carica elettrica, Falls in love è una lunga traccia dal
sapore psichedelico, in cui Marchitelli narra sostenuto dalla coesione di tutta
la band, prima della bella coda strumentale che conduce a I don’t believe, breve frangente che riporta agli anni ’60. Bizzarra
E chi megl’e mè, che mi ha ricordato
alcune ballate degli Anathema, Don’t
break me si fa più oscura, mentre Strange
love attinge dalla psichedelia per caricarla di una preponderante verve r’n’r.
Il finale ci riserva l’accattivante melodia di Sery e soprattutto la title track, 12 minuti in cui il quartetto
condensa improvvisazione, elettronica, progressive e una generale voglia di
osare, che fa di questo brano quello più appassionante tra i presenti. Esordio
interessante e che traccia il solco per futuri scenari, l’impressione è che i
minDance abbiano ancora parecchio da dire, soprattutto se affineranno
maggiormente il tiro, magari partendo proprio dall’ottima title track finale.
(Luigi Cattaneo)
Secondo ep per Mattia
Foresi (testi e voce), alias Los Talker, qui ben coadiuvato da Marco Vitali
degli Ibridoma, che si è occupato della produzione e degli arrangiamenti, oltre
che delle parti di chitarra e basso presenti sul lavoro. L’incontro tra il rap
di Foresi e l’attitudine hard di Vitali fa di El dia de los muertos un prodotto che a tratti ricorda Cypress
Hill, E. Town Concrete e Tin Foil Phoenix, quindi un crossover che si inserisce
nei binari che gli Stati Uniti hanno tracciato decenni fa, senza dimenticare di
porre uno sguardo anche su quanto accaduto in Italia negli ultimi anni. Le trame
più robuste risultano quelle maggiormente interessanti, con la doppietta
iniziale di Troppo spesso e Mort Cinder (storico personaggio del fumetto argentino) davvero convincente, così
come molto buona è la title track. Gradevoli le melodie fiatistiche di Dopo dicembre (con le voci di Elena Agostinelli
e Sara Magnamassa), più legate al rap le restanti tracce, seppure bisogna
sottolineare l’attenzione per gli arrangiamenti (elemento spesso discutibile
nel genere) e una vocalità molto musicale, tanto che potremmo parlare di hip
hop cantautorale, vista anche la cura testuale del disco. El dia de los muertos è un ep molto piacevole e ben scritto, che
può dare il via a qualcosa di più definito per il futuro. (Luigi Cattaneo)
Ep di debutto per gli
Ikitan (Luca Nasciuti alla chitarra e agli effetti, Frik Et al basso e agli
effetti e Enrico Meloni alla batteria), una lunga suite di 20 minuti e 20
secondi (Twenty-Twenty per l’appunto),
uscito nel 2020. Psichedelia progressiva, stoner, heavy, post, elementi
centrifugati con brio in questa sorta di jam scevra da schemi precostruiti,
dove il background dei musicisti emerge libero e fluido. L’approccio appare
molto legato all’improvvisazione, uno scorrere di idee e di situazioni che il
trio maneggia con efficacia, costruendo scenari che mutano, che si sviluppano,
in un intenso crescendo di tensione emotiva. Sezioni potenti e parti
atmosferiche si inseguono per tutta la durata del brano, costituendo un
amalgama suggestivo e di grande impatto. In attesa di un riscontro live, che
potrebbe essere la direzione definitiva per la band, questa piccola opera prima
rappresenta sicuramente un ottimo biglietto di presentazione. (Luigi Cattaneo)
Esordio per i ĀraṇyakAƔnoiantAḥkaraṇA (ĀAAA), duo
dal monicker impossibile e che cela la propria identità (0 e 1 si dividono
scrittura ed esecuzione), andando a creare un alone di mistero che trova
conferma in un disco sperimentale e avanguardistico. Il substrato elettronico
si fonde con il drone, la cultura lontana della musica indiana viene
sottolineata dall’uso corposo del sitar, lungo due suite esoteriche e
decisamente oscure. Troviamo qualche assonanza con Musical Pumpkin Cottage di Steven Stapleton e David Tibet, la
ricerca di Diamanda Galas e la magnificenza di alcune pagine dei Dead Can
Dance, background che è però cornice di esperienze proprie, che fanno di questo
debutto un percorso rituale, un viaggio visionario, cupo e misterioso. Un lavoro
sicuramente singolare, arcano, soundtrack di tempi apocalittici, da ascoltare
con la dovuta cura per poterne assaporare sensazioni ed emozioni. Un progetto
artistico potente, visionario, nato da un’esigenza comunicativa, che si
percepisce distintamente in No store of
cows, pulsante inno di ipnotismo mediorientale e The margin spread,una marcia imponente, un profondo mantra con
parti tribali, epitaffio di un disco personale e visionario. Di seguito il link per poter ascoltare e acquistare l'album https://familysounds.bandcamp.com/ (Luigi Cattaneo)
Bel ritorno per i
Pleonexia, band formata da Michele Da Pila (voce, chitarra e tastiere), Andrea
Borlengo (basso), Lorenzo Luca (tastiere), Andrea Autiero (chitarra) e Davide
Cardella (batteria). Il gruppo è attivo da quasi dieci anni e dopo Break all chains del 2014 è ora la volta
di Virtute e Canoscenza, sempre
intriso di heavy ottantiano, sinfonico, epic power e progressive, una miscela
che regge per tutto il disco, uscito nel 2020 per Pure Underground Records. Un heavy
metal a tutto tondo, che si snoda tra riff aggressivi, sezioni strumentali
efficaci e ritmiche corpose, corollario di ottimi pezzi come Selfish Gene, la sontuosa Choices o Eternal return. I Pleonexia sono bravissimi nell’infondere nel
tessuto hard forti iniezioni di melodia e strutture più tipicamente prog, uno
stile che mette insieme Manilla Road e Dark Quarterer. Ottimo come back per i
piemontesi, che mostrano di avere doti e qualità, capacità di scrittura e
gusto, al servizio di brani strutturati ma al contempo immediati e fruibili.
(Luigi Cattaneo)