domenica 27 agosto 2017

CORPO, I & II (2016)


Veramente una piccola favola quella dei Corpo, una band salentina fondata nei ’70 dai fratelli Calignano (Francesco chitarra e basso, Mario al basso e Biagio tastiere e batteria) e autori di un rock progressivo imparentato col Kraut che solo ora ha la sua testimonianza su disco. Pur se totalmente sconosciuti in Italia, i Corpo tennero svariati concerti in Europa e a distanza di 40 anni i nastri originali sono stati ritrovati e salvati dall’oblio. I e II è dunque un vero e proprio documento datato 1979, quando i salentini, giovani e curiosi, suonavano in piena libertà quella musica che tanto aveva impressionato i ragazzi del periodo e lo facevano all’interno di una comune avvolta nel fascino del mistero in quel di Leuca, de finibus terrae che accoglieva musicisti di varie origini. La storia ha voluto altro e solo ora i Calignano hanno aperto il baule dei ricordi e grazie alla Lizard Records ci donano quasi 40 minuti acidi e infarciti di intuizioni a cavallo tra prog, psych e sfumature dark wave. Difatti le sonorità sono quelle del decennio e come tali devono essere prese ma è chiaro che l’aver recuperato le tracce di quel passato non può che incuriosire e far sperare per la prospettiva concreta di un album inedito. I e II è un reperto che supera persino il contenuto musicale, peraltro interessante, che non manca di sorprese e ingenuità, tipiche di un gruppo agli albori e diviene memoria di un percorso che non ha avuto sviluppi, analogo peraltro a tanti ensemble dell’epoca. La prima parte del disco (I) è una sorta di suite divisa in cinque atti (C#1-5) in cui emergono preziosismi psichedelici piuttosto lisergici, un trip dove si denotano fragori hendrixiani, profumi dell’italico pop, lampi cosmici tedeschi e distorsioni fragorose che si sposano con le virate dei synth. La seconda metà (II) inizia con Messapia, un vitale progressive d’annata, per poi sfociare in S.M. De Finemunnu, forse l’episodio che mi ha convinto meno. Il giorno della mia morte richiama nuovamente Hendrix (probabilmente uno dei punti di riferimento dei pugliesi), mentre la conclusiva Tympanon conclude degnamente un pezzo storico della fiorente e nascosta scena italiana settantiana. (Luigi Cattaneo)
 
C#1 (Video)
 

giovedì 24 agosto 2017

FEDERICO ZENONI/DAVE NEWHOUSE/LUCIANO MARGORANI, Beauty is in the distance (2016)


Interessante trio quello formato da Federico Zenoni alla batteria e percussioni, Luciano Margorani alla chitarra (entrambi provenienti dai La1919) e Dave Newhouse (The Muffins) alle tastiere e al clarinetto, autori di questo Beauty is in the distance, album formato da una suite divisa in movimenti per un totale di circa 40 minuti sperimentali e dal piglio free. Ci sono similitudini con i due gruppi madre, soprattutto per la voglia di creare improvvisando, in libertà, con naturalezza e una certa sfrontatezza. L’album è chiaramente indirizzato a chi non si pone troppi paletti e ha una certa predisposizione per strutture di questo tipo, suonate con efficienza da esponenti colti, forti di un percorso lungo e articolato. Beauty is in the distance è un’entità che si muove tra R.I.O., avant e jazz e come da tradizione ha estremo bisogno di ascolti attenti per essere recepito totalmente, una musica totale, complessa e che non si piega a compromessi. La struttura a suite ha dato modo di creare un’autentica partitura di più elementi, con potenti sezioni jazzate, passaggi minimalisti, improvvisazioni e progressive, il tutto con il piglio autorevole di chi conosce a memoria l’ardita materia. Alcuni passaggi meno fluidi divengono comprensibili all’interno di un disegno più grande in cui non si pongono limiti al pensiero, dove tutto diviene istantanea di un flusso momentaneo, esperienza aleatoria, affascinante nel suo essere imperfetta. (Luigi Cattaneo)
 
Risultati immagini per zenoni margorani newhouse

sabato 19 agosto 2017

SAILING TO NOWHERE, Lost in time (2017)


Tornano a distanza di tre anni i romani Sailing to Nowhere, di cui avevamo già parlato per l’esordio To the unknown e che qui si presentano con una formazione parzialmente rinnovata (il tris di voci è affidato a Marco Palazzi, Helena Pieraccini e Clara Trucchi, le due chitarre ad Andrea Lanzillo ed Emiliano Tessitore, al basso troviamo Carlo Cruciani e alla batteria Giovanni Noè). Il power prog dei capitolini fa riferimento a realtà come Vision Divine, Eldritch e Sonata Arctica, con fraseggi melodici sempre presenti e una serie di importanti ospiti che innalzano il livello generale del lavoro. Forse non c’è stato il salto di qualità definitivo, anche perché il precedente disco si muoveva su livelli già discreti ma pezzi come Apocalypse, con Fabio Lione alla voce (Rhapsody, Angra, Vision Divine, Eternal Idol), che mi ha ricordato gli Athena del sottovalutato A new religion? o Start again, con il grandissimo Roberto Tiranti (cantante già di New Trolls e Labyrinth) e David Folchitto (Stormlord) alla batteria, valgono da sole il prezzo del biglietto, perché mostrano una band dalle ottime prospettive e con rodate capacità di songwriting. Trascinante, seppur più power, Suffering in silence, con le tastiere di Maestro Mistheria del Vivaldi Metal Project e il nuovo coinvolgimento del martellante Folchitto. Non sono da meno le contorsioni ritmiche di New life, in cui al basso vi è Dino Fiorenza, già ammirato all’opera con Steve Vai, Paul Gilbert e nel trio di Antonello Giliberto. Lost in time mostra i classici pro e contro del genere ma è indubbiamente un album vivace e spigliato, che sicuramente troverà il giusto riscontro tra gli amanti di certe sonorità epicheggianti. (Luigi Cattaneo)
 
Start again (Video)
 

domenica 13 agosto 2017

LAST MOVEMENT, Bloove (2017)


I Last Movement sono un quartetto romano (Antonio Di Mauro alla chitarra, Nuri Lupi alla voce, Misa Asci alla batteria e Carlo Venezia al basso) totalmente immerso nello shoegaze, con punte acide di psichedelia, space rock e strati noisy. Bloove è il primo full lenght del gruppo (dopo un 7” e un ep) e fa il punto della situazione dopo anni di prove e scrittura (quest’ultima affidata a Di Mauro), una costante per qualunque band emergente. Il platter è indirizzato in special modo per chi mastica il genere, soprattutto perché certi suoni così saturi alla lunga rischiano di stancare o di non colpire abbastanza chi ascolta, pregi e difetti che troviamo anche in questo debut. Di Mauro crea degli autentici muri carichi di riverbero (non aiutati da una produzione deficitaria), una costante che non permette grosse variazioni sul tema, seppure affiorano diversi spunti che forse potevano essere meglio sviluppati. Peccato perché si percepiscono stimoli che un lavoro ritmico più vario e dinamico avrebbe potuto esaltare, pur se è difficile avere certezze quando ci sono registrazioni così poco brillanti. Difatti una maggiore cura in studio dovrebbe aumentare l’incisività del gruppo e magari far emergere con più enfasi le pulsioni psych di cui si intuiscono le potenzialità, perché davvero una produzione di questo tipo non permette di far emergere con chiarezza l’intento e nemmeno la qualità dell’opera. Anche la voce di Lupi (già con i Vanity) non giova di questa situazione e rimane più bassa rispetto al resto degli strumenti (difficile capire se sia una scelta voluta o meno). I feedback ostinati di Di Mauro rimandano a Sonic Youth e Jesus and Mary Chain e sono convinto che il futuro possa portare a sviluppi importanti, perché comunque Bloove, pur con i problemi citati, è un disco interessante e con diverse idee curiose. (Luigi Cattaneo)
Qui di seguito il link per poter ascoltare o acquistare l'album
 
 

sabato 12 agosto 2017

FINISTER, Suburbs of mind (2015)


Giovanissimi ma già maturi, arrivano all’esordio i Finister (Elia Rinaldi voce e chitarra, Orlando Cialli tastiere, synth, piano e sax, Leonardo Brambilla al basso e Lorenzo Burgio alla batteria), con un disco, Suburbs of mind, qualitativamente alto e che mostra un piglio che oscilla tra psichedelia, wave e indie rock. Le iniziali pulsioni progressive (forse più evidenti nell’ep Nothing is real del 2012) si sono difatti arricchite di elementi differenti, un vero e proprio substrato composito che ha portato ad un risultato di forte impatto sonoro, che parte dai Doors e arriva ai contemporanei Muse. In queste dieci tracce emergono ossessioni, rabbia, inquietudini ma anche ottimismo, sensazioni che si manifestano con chiarezza in un bel debut album. I toscani sono stati abili nel creare un lavoro che riesce a fondere melodie catchy con il crossover tra generi, partendo forte con l’esplosiva verve di The morning star. Bite the snake, con il suo ritmo serrato, fraseggi settantiani e una coltre psichedelica è il singolo scelto per presentare il platter, prima della bella ballata The way (I used to know). A decadent story continua a mostrare il lato psych del gruppo, My howl aggiunge spore prog dettate anche dal violoncello di Lea Galasso, pur mantenendo ben salde radici psichedeliche, mentre Levity gioca maggiormente con significativi elementi elettronici. Oceans of thrills è uno dei momenti più interessanti e le presenze della Galasso e di Davide Dalpiaz al violino accentuano il lato emozionale della proposta, pur se non sono da meno The key e Here the sun, capaci di essere raffinate e prorompenti. Trascinante anche il finale di Everything goes back, buonissima conclusione di un disco equilibrato e pieno di felici intuizioni. (Luigi Cattaneo)
 
The way (Official Video)
 

giovedì 10 agosto 2017

IVANO FOSSATI, Not one word (2001)


L’ex Delirium Ivano Fossati nel 2001 decide di staccarsi momentaneamente dalla sua carriera di prolifico cantautore per dedicarsi ad un disco strumentale troppo poco citato negli anni. Il ligure decide di dare sfoggio di questa sua propensione, che solo in parte e in pochi episodi è stata soddisfatta in 30 anni di carriera e, in estrema libertà, firma uno dei lavori più curiosi della sua lunga attività. Not One Word si presenta così, spoglio di ogni parola, senza quei testi che hanno marchiato a fuoco dischi significativi come La Pianta del Tè, Discanto o Lindbergh-Lettere da sopra la pioggia. Fossati corona questo piccolo sogno dando vita ad un ensemble, il Double Life, con cui si dimentica per un attimo di essere uno dei cantautori di punta di casa nostra per appagare la sua sete di jazz e magari anche per sentirsi meno ingabbiato dai vincoli letterari della sua canzone. Abbandonare per un attimo la sua dimora sicura per toccare con mano territori a dire il vero non così distanti come si potrebbe pensare. Il piano di Fossati è quello da tutti conosciuto ma qui si amalgama con parti orchestrali, con il clarinetto di Gabriele Mirabassi e il violino di Ettore Pellegrino e crea suggestioni e visioni affascinanti. Si passa così da momenti narrativi, capaci di riempire gli occhi con immagini da pellicola in bianco e nero (Le Mot Imaginaire) ad altri dove il piano svisa in territori jazzati (la delicata title track). Non manca un classico come Besame Mucho, qui particolarmente poetica e con il violino ad accentuarne il tono drammatico, perfetto contraltare di Brazzhelia, un latin jazz brillante e festoso. Milos, scritta dal figlio Claudio (batteria), ha una melodia disincantata da soundtrack che rimanda al cinema di Pupi Avati, spesso legato al filo dei ricordi e ad una certa vena nostalgica, mood malinconico e sofferto che ritroviamo anche in Tango disincantato. Fossati emerge soprattutto in tre brani: Lampi, frangente jazz molto convincente, Roobenia, con un emozionante tema dominante di grande gusto e Theme for Trio, raffinata esposizione giocata sull’interplay tra piano e violoncello (suonato da Martina Marchiori). La chiusura di Raining at my door rimanda a Ludovico Einaudi e tratteggia scenari notturni e spirituali. Not One Word  è un album che si discosta da tutta la discografia di Fossati e ha il merito di far emergere con maggiore nitidezza una delle tante anime del cantautore genovese, che successivamente deciderà di tornare al cantautorato (già a partire da Lampo Viaggiatore del 2003). (Luigi Cattaneo)
 
Not one word (Video)
 
      

sabato 5 agosto 2017

QUADRI PROGRESSIVI, Demetrio Stratos

Opera originale di Lorena Trapani. Un sentito e splendido ritratto di una delle voci più importanti della storia della musica, Demetrio Stratos.
Per visionare le opere di Lorena potete inviare una mail a progressivamenteblog@yahoo.it  
 


giovedì 3 agosto 2017

OVERKHAOS, Beware of truth (2017)


Esordio ufficiale per i tarantini Overkhaos, una band che avevo visto qualche anno fa a Spongano, in una bella edizione del festival Spongstock e devo dire che pur avendone colto già allora le evidenti potenzialità non mi aspettavo da questo debut un tale sviluppo di suoni e idee e quindi sono rimasto piuttosto sorpreso nel constatare l’ottimo livello tecnico e compositivo raggiunto dal quintetto. I tarantini si sono adoperati per scrivere un concept che prende spunto dai tanti problemi sociali che affliggono la bella città pugliese, mostrando personalità e indubbie doti di songwriting. Beware of truth è un grande album di metal progressivo con forti richiami al thrash, con frangenti ora vicini agli Animals as leader, ora accostabili ai Testament degli ultimi dischi, ora paralleli agli Eidolon dei fratelli Glover. Mimmo D’Oronzo mostra di cavarsela sia nelle parti pulite che in quelle più aggressive, Davide Giancane e Giuliano Zarcone alle chitarre incrociano benissimo i loro strumenti, in parti che mi hanno ricordato proprio i Testament ma anche i Megadeth, mentre la coppia ritmica formata da Anna Digiovanni al basso e Andrea Mariani alla batteria sforna una prova fatta di potenza, precisione e pulizia. Prelude introduce strumentalmente Silent death, brano perfetto per condurre l’ascoltatore nelle atmosfere del disco. Solar starvation ribadisce con forza e determinazione la capacità di sostare nel trash metal dai tratti prog, per poi passare a Khaos Inc., brano con cui intelligentemente l’ensemble mostra di poter tirare il freno e creare songs più ragionate. Si torna a spingere con la pregevole The lie you need e il grandeur furente di Crubling, prima dell’interessante trama di White light. Die Catsaw! si compone di fraseggi thrash metal tecnici e melodici, Anna’s song vede addirittura coinvolto l’ex Dream Theater Derek Sherinian (ma non dimentichiamolo nei fantastici Black Country Communion, nei grandi Planet x e per una carriera solista di livello ragguardevole) alle tastiere, ospite che con la sua presenza riempie ancora di più il suono del gruppo, lasciandomi pensare che l’inserimento in organico di un tastierista a tempo pieno potrebbe giovare al sound complessivo (anche se già in questo platter i ragazzi sottolineano come orchestrazioni e arrangiamenti siano opera di D’Oronzo e di Luca Basile). Chiusura affidata a Deadline ed è un altro grandissimo momento, strutturato e corposo, non fa altro che confermare tutte le qualità della band, che con questa opera prima è riuscita a coniugare forza espressiva e raffinatezza, ardore heavy e pulsioni progressive. (Luigi Cattaneo)
 
Khaos Inc. (Video)
 

C.ZEK BAND, Set you free (2017)


The C. Zek Band: rock, funky, soul per menti libere! Con questa presentazione il quintetto (Christian Zecchin alla chitarra e alla voce, Roberta Dalla Valle alla voce, Nicola Rossin al basso, Matteo Bertaiola all’organo hammond, al rhodes e ai synth e Andrea Bertassello alla batteria) scandisce umori e influenze di una vita, passando dalla forza di Janis Joplin alle melodie senza tempo dei Beatles, dal folk del menestrello per eccellenza Bob Dylan al rock immortale dei Rolling Stones. Il gruppo nasce due anni fa sulle ceneri del trio blues Almost Blue, da un’idea di Zecchin, musicista ed insegnante con alle spalle esperienze con Big Street, Major7 e Chakra’s Band. Evitando approcci didattici alla materia e prediligendo fantasia e sentimento nasce Set you free, otto canzoni inedite più Gimme Shelter degli Stones in cui si palesa la bella prova della Dalla Valle, un po’ Etta James, un po’ Stevie Nicks e una sezione ritmica corposa, oltre che i bei tappeti creati dalla mano di Bertaiola e la creatività chitarristica di Zecchin. L’ensemble si muove quindi su un territorio vintage, mostrando un evidente attrazione per act storici del passato, quelli che hanno influenzato generazioni di musicisti e che anche qui trovano posto, all’interno di un r’n’r funkeggiante e zeppo di soul. I veronesi hanno davvero anima e passione e tutto ciò si sente dal vitale inizio di John Corn, davvero pieno di groove e dalla seguente I’m so happy, dove ogni particolare è al posto giusto. Tell me è uno dei brani più vivaci ed efficaci tra i presenti, mentre Kissed love è la classica ballata lievemente psichedelica posta saggiamente dopo tre pezzi sostenuti. La title track mostra il lato più blues del progetto, con chitarra e tastiere in bella mostra e anticipa il già citato rifacimento di Gimme shelter. Si va verso la conclusione con la spigliata Boring day, il brio contagioso di It doesn’t work like this e la lunga Drink with me, che finisce addirittura per avere delle reminiscenze quasi prog e psych (d’altronde è lo stesso Zecchin a citare Pink Floyd e Grateful Dead tra i suoi riferimenti). Set you free è un pregevole compendio del percorso sin qui svolto dal leader, gradevole e ben suonato dalla prima all’ultima nota, un vero tuffo al cuore per gli amanti di un certo tipo di rock blues. (Luigi Cattaneo)
 
John Corn (Official Video)
 

martedì 1 agosto 2017

CONCERTI DEL MESE, Agosto 2017

Martedì 1
·Junkfood a Torre Faro (ME)
·Glincolti a Treviso

Mercoledì 2
·Syncage a Jesolo (VE)
·Sezione Frenante a Mestre (VE)
·Malibran a Belpasso (CT)

Giovedì 3
·Delirium IPG a Bordighera (IM)
·Glincolti a fontanellato (PR)
·Le Orme a Lignano Sabbiadoro (UD)
·Junkfood a Palermo

Venerdì 4
·Mad Fellaz a Borso del Grappa (TV)
·FixForb a Genova
·Junkfood ad Alcamo (TP)

Sabato 5
·Biglietto per l'Inferno a Barzio (LC)
·Mito New Trolls a Pineto (TE)
·Supper's Ready a Mendola (TN)
·Le Orme a Forte dei Marmi (LU)
·Junkfood a Mazara del Vallo (TP)
·Möbius Strip a Isola del Liri (FR)

Domenica 6
·PFM a Roseto degli Abruzzi (TE)
·So Does Your Mother a Patti (ME)
·Dark Ages a Padova

Lunedì 7
·PFM a Castelnuovo Garfagnana (LU)
·Locanda delle Fate a Martirano L. (CZ)
·Le Orme a Cison di Valmarino (TV)
·Napoli Centrale a Mottola (TA)

Martedì 8
·Osanna a San Paolo Bel Sito (NA)
·Junkfood a Marina Gioiosa Ionica (RC)
·Distillerie di Malto+Le Orme a Ortona (CH)

Mercoledì 9
·Junkfood a Taranto

Giovedì 10
·So Does Your Mother a Palermo

Sabato 12
·La Casa dei Matti ad Albi (CZ)
·Napoli Centrale a Cagnano Varano (FG)
·Sophya Baccini's Aradia a Gaeta (LT)

Domenica 13
·Estro ad Anzio (Roma)
·GnuQuartet a Sulmona (AQ)

Lunedì 14
·Napoli Centrale a Taviano (LE)
·GnuQuartet a Roccaraso (AQ)

Martedì 15
·UT New Trolls a Staletti (CZ)
·Mito New Trolls a Cisterna di Latina (LT)


Giovedì 17
·Dusk e-B@nd a Rivabella (RN)
·C. Simonetti's Goblin a Francavilla (CH)

Venerdì 18
·New Trolls a Venosa (PZ)
·PFM a Rivisondoli (AQ)
·Junkfood a Eboli (SA)
·Napoli Centrale a Fontana Liri (FR)

Sabato 19
·GnuQuartet a Courmayeur (AO)
·Dark Ages a Isola della Scala (VE)
·UT New Trolls a Linguaglossa (CT)
·Rhythmus Ensemble ad Anzio (Roma)
·Roberto Cacciapaglia a Sorrento (NA)

Domenica 20
·Mito New Trolls a Introdacqua (AQ)

Lunedì 21
·GnuQuartet a Rimini
·Glincolti ad Asolo (TV)

Martedì 22
·J. Greaves & A. Barbazza a Vasto (CH)

Mercoledì 23
·FixForb a Fara Gera d'Adda (BG)
·Napoli Centrale a Rotondella (MT)

Giovedì 24
·Il Paradiso degli Orchi a Brescia
·The Squonk a Roccaforzata (TA)

Venerdì 25
·UT New Trolls a Villamagna (CH)
·Lachesis a Bergamo
·Patrizio Fariselli a Fabriano (AN)

Sabato 26
·UT New Trolls ad Ascoli Piceno
·Napoli Centrale a Campli (TE)
·Möbius Strip a Pescasseroli (AQ)

Domenica 27
·Mito New Trolls a Tufara (CB)
·Banco a Pertosa (SA)

Giovedì 31
·Matthew Parmenter a Roma
·Napoli Centrale a S. Benedetto d.T. (AP)