sabato 28 maggio 2016

MOTH'S CIRCLE FLIGHT, My Entropy (2016)


Secondo disco per i Moth’s Circle Flight (Gabriele Rosi e Simone Panciroli alle voci, Luca Alzapiedi e Francesco Baldi alle chitarre, Marco Reggiani al basso e Fabio Bersani alla batteria) dopo l’esordio Born to burn del 2013 e primo pubblicato per la sempre lodevole Logic(il)logic Records. I ragazzi di Parma sono influenzati dalle tante band che sono nate tra gli anni ’90 e i 2000 in America, quel movimento crossover in cui convivevano suoni diversi di band come American Head Charge, Shadow Fall, Coal Chamber e Zao. Come da previsione si sprecano quindi le aggressive parti in growl mitigate da chorus aperti e di facile assimilazione, croce e delizia di un genere che prevede ovviamente riff sostenuti e ritmiche fulminanti. La doppietta iniziale, Man on the peak e Ends of a shadow vive proprio sullo scontro tra parti metalcore e picchi melodici, così come la seguente Raise your head, brano che segue lo stesso e fortunato copione. Growl e parti pulite si dividono la posta anche in Late promises e nell’ottima An old chant, prima di due pezzi leggermente sottotono, Write my name e With love with flames, meno coinvolgenti rispetto agli standard sinora raggiunti. In risalita Bursting into existence, con delle belle parti chitarristiche e il new metal di Madball. Chiusura affidata alla gradevole Ray of ira, l’unica che presenta un testo che si divide tra inglese ed italiano. My entropy è un buon ritorno a cavallo tra bordate metal e pura melodia, un contraddistinguo probabilmente non particolarmente originale ma che sa ancora essere credibile, almeno nel caso specifico. Le capacità compositive ci sono e pur se c’è un calo d’intensità nella zona centrale mi pare giusto consigliare il lavoro a tutti gli amanti del genere. (Luigi Cattaneo)

Ends of a shadow (Video)

mercoledì 25 maggio 2016

SYNDONE, Eros & Thanatos (2016)


Sempre più attivi i Syndone di Nik Comoglio (tastiere), che dopo i più recenti La bella è la bestia e Odysseas si ripropongono con un concept dedicato al Cantico dei Cantici. I torinesi firmano un’opera che si riallaccia ai canoni del prog sinfonico e lo fanno con l’idea che una certa matrice possa essere comunicativa e abbracciare anche passaggi vicini alla pura soundtrack. Le azioni che si susseguono si prestano ad una certa drammaticità corale, che viene sottolineata da un uso accurato dell’orchestra, elemento fondamentale nel sottolineare i momenti più significativi della narrazione. La band, pur essendo in pista dal 1989, pare aver trovato ora la giusta line up per proseguire nel viaggio intrapreso tanti anni fa e oltre a Comoglio troviamo Riccardo Ruggeri alla voce e alla chitarra, Marta Caldara al vibrafono, Gigi Rivetti alle tastiere, Maurino Dellacqua al basso e Martino Malacrida alla batteria. Il sestetto è riuscito ad unire i tempi dispari del progressive, la forza propulsiva del rock e la magnificenza degli arrangiamenti classici (che fissano i momenti chiave proprio come sottolinea e rimarca una colonna sonora), tutti elementi utili per portare il disco ad un livello davvero alto e parecchio emotivo. Si avverte una certa continuità nel percorso ma si nota anche come Comoglio stia portando la sua musica a toccare anche altre aree, un immaginazione melodrammatica (per dirla alla Peter Brooks)  che si sposa con il suono delle terre ebraiche e con quello delle esotiche lande arabe, un melange che non perde in coesione ed unità d’intenti ma si fa promotore di interessanti e nuove dinamiche. Non mancano i consueti special guest, che questa volta rispondono al nome di Ray Thomas (cantante e flautista dei Moody Blues) nell’ottima L’urlo nelle ossa e Steve Hackett (Genesis) alla chitarra (prima volta in assoluto di questo strumento in un disco dei Syndone) nella splendida Cielo di fuoco, uno dei pezzi più coinvolgenti di Eros & Thanatos. L’album vanta veramente una scrittura fine e articolata, testi che incuriosiscono e fanno venire voglia di approfondire il tema (anche grazie alle grosse capacità interpretative di Ruggeri), varianti strumentali di indubbia bellezza e anche una certa capacità di mantenere la giusta tensione per tutta la durata del lavoro. Dopo un piccolo intro, Area 51 ci porta subito lontano con la mente, ad inizio ’70, quando pezzi strumentali così tirati trovavano la giusta dimensione nei festival e nei raduni giovanili. In Terra che brucia si vive il contrasto tra le atmosfere soffuse e acustiche della prima parte con l’apertura prog della seconda in cui i synth vibrano forte e con decisione. Analoga vita ha Gli spiriti dei campi, con risultati ancora molto validi, prima di Qinah, un progressive etnico in cui dominano le tastiere e le efficaci soluzioni della coppia ritmica. Si torna al dualismo tra atmosfere da ballata e furore strumentale in Duro come la morte, mentre anche Fahra ha la sua buona dose di elettricità etnica. Oltre alle già citate L’urlo nelle ossa e Cielo di fuoco, completa il quadro Bambole, il brano che più si discosta dagli altri (una fresca e piacevole rock song). Eros & Thanatos conferma il talento, se mai ce ne fosse stato bisogno, dei piemontesi e li pone tra i più degni successori della grande stagione d’oro del progressive nostrano. (Luigi Cattaneo)

Duro come la morte (Live @ La Casa di Alex)

lunedì 23 maggio 2016

LE MOIRE, Postflamenco (2015)


Il progetto Le Moire (nome che si riferisce alla mitologia greca) nasce nel 2007 grazie ad Andrea Invernizzi (chitarra), Stefano Invernizzi (basso e voce) e Carlo Castoldi (batteria) e dopo due dischi (l’omonimo del 2008 e Il giardino degli atomi del 2014) e un ep (Plastic ep del 2013) è la volta di Postflamenco, album che per durata (24 minuti) assomiglia più ad un ep che ad un full lenght vero e proprio. Il trio di Pavia appare davvero in buona forma negli otto brani di questo come back, pezzi dinamici, aggressivi, con pochi fronzoli, ritmiche consistenti e testi interessanti. Forti di una regolare attività live, i Le Moire puntano su impatto e distorsioni energiche, in un interplay costante tra i riff di Andrea, la potenza di Stefano (convincente anche come vocalist) e la solidità di Castoldi. Aspetti melodici e ruvidi coesistono già dai primi minuti strumentali di Rielaborazione dell’io e Simulazione della personalità, percussioni e sfumature grunge che si inseguono e ci indirizzano verso Un inspiegabile fraintendimento, traccia tirata e segnata da buoni stop & go. Più melodico l’arpeggio che sostiene l’intensa Dimostrami di esistere e sulla stessa lunghezza si muove la piacevole Uno spazio condiviso, mentre ha un discreto lavoro ritmico Balleremo distratti. Toni da ballata segnano la nostalgica Via dei mercati, prima della sentita chiusura di Lettere dal deserto che conferma come la band abbia tutto per farsi maggiormente notare nel fitto panorama indie italiano. (Luigi Cattaneo)

Un inspiegabile fraintendimento (Video)

martedì 17 maggio 2016

MARCO RAGNI, Land of blue echoes (2016)


Bel ritorno per Marco Ragni, autore che avevamo già apprezzato con il precedente doppio album Mother from the sun e che qui dimostra di aver fatto un ulteriore passo avanti verso la propria maturità artistica. Land of the blue echoes è un lungo viaggio tra psichedelia, prog e folk, con Ragni coadiuvato da una serie di ottimi musicisti che danno vita concreta ai suoi pensieri e alle sue mille idee. C’è molta libertà nella musica di Marco, influenzato dai grandi del passato e da quel sound a cavallo tra fine ’60 e inizio ’70 e che reinterpreta con gusto e ispirazione, senza cercare soluzioni particolarmente originali ma certamente efficaci. Niente nostalgia, sia chiaro, ma i riferimenti (Pink Floyd su tutti) si sentono eccome e Ragni non fa nulla per nasconderli. La classicità della proposta non fa però a pugni con la data di pubblicazione e l’amore per il vintage ben si sposa con le correnti psichedeliche contemporanee, in un tripudio di passaggi strumentali evocativi e atmosfere folk rock. Il lavoro (pubblicato ancora dall’americana Melodic Revolution Records) è sicuramente ambizioso, con le due long track (Horizons e la suite Nucleus) su tutte, esempio di come si possa coniugare sforzo compositivo e una certa cura per dinamiche non convenzionali senza dimenticare di essere ampiamente comunicativi. Nella line up vivono di luce propria interpreti come Durga McBroom (corista per Pink Floyd e David Gilmour), Peter Matuchniak (chitarra), Jeff Mack (Scarlet Hollow) al basso, Jacopo Ghirardini (Stalag 17) alla batteria, Fernando Perdomo alla chitarra nella trascinante Money doesn’t think, Colin Tench (Corvus Stone) alla chitarra nella strumentale Between moon and earth, Vance Gloster (Gekko Project) alle tastiere e all’organo Hammond e Hamlet (Transport Aerian) al basso nell’ipnotica chiusura di Queen of blue fires. Ragni è bravo nel divincolarsi tra parti cantate, chitarra, tastiere, basso e bouzouki, mostrandosi compositore attento ed estremamente prolifico. Grateful Dead, Ozric Tentacles, Pink Floyd e i Porcupine Tree di The sky moves sideways e Signify colorano la neopsichedelia del veneto e segnano un album molto interessante e dal respiro internazionale. (Luigi Cattaneo)
Per ascoltare o acquistare il disco potete visitare la pagina  https://marcoragni.bandcamp.com/album/land-of-blue-echoes  

lunedì 16 maggio 2016

EVELINE'S DUST, The painkeeper (2016)


Nati a Pisa nel 2012, gli Eveline’s dust (Nicola Pedreschi alle tastiere e alla voce, Lorenzo Gherarducci alle chitarre, Angelo Carmignani alla batteria e Marco Carloni al basso) sono un quartetto che unisce le visioni dei King Crimson e dei Pink Floyd con quelle contemporanee di Steven Wilson e dei suoi mille progetti. Dopo l’esordio Time changes del 2013 eccoli di nuovo in pista con Painkeeper, un concept ispirato dalla poesia Il custode di dolori di Federico Vittori che mette in luce la capacità della band di condurre in un mondo sospeso, immaginario e ricco di suggestioni. Lo fanno tramite arrangiamenti eleganti, ottime dinamiche strumentali, aperture melodiche di grande gusto e sprazzi hard mai invadenti e sempre congeniali alla narrazione. Gli Eveline’s dust sono riusciti a sviluppare un racconto credibile, drammatico nel susseguirsi di brani, che pur se complessi risultano freschi e anche immediati, complice un impeto comunicativo che non è comune a tutte le prog band. L’album presenta significativi chiaroscuri, una dicotomia tra la speranza e l’illusione della storia espressa attraverso passaggi malinconici ed evocativi. Il carattere dark di fondo viene spezzato da filtri di luce che tendono a far risaltare ancora di più gli attimi maggiormente palpitanti del concept, come se ci si trovasse insieme ai protagonisti a vivere di sogni e illusioni. I pisani riescono a tenere alto il pathos emotivo sino al mesto finale di We won’t regret, epitaffio di un album che prende spunto dai ’70 ma evita di scimmiottarli preferendo un approccio orientato al prog moderno e figlio degli anni 2000. (Luigi Cattaneo)

A tender spark of unknown (Video)

mercoledì 11 maggio 2016

AVVOCATI DEL DIAVOLO, A dear diary (2014)


Secondo lavoro dal profilo e dal sound internazionale per gli Avvocati Del Diavolo (Larry alla voce e alla chitarra, Riky alla batteria e Andrew al basso e alle tastiere), un trio ligure che fa della dinamicità e del groove un marchio di fabbrica imprescindibile. Una ricerca in tal senso che contraddistingue A dear diary (un concept che racconta una storia tutta da leggere … ), un’opera del 2014 (il precedente NeoEvo era del 2009) che metteva in risalto un suono decisamente adatto per i live ma che risulta abbastanza interessante anche su disco, soprattutto per le discrete idee che la band ha riversato lungo i 12 pezzi di questo come back. Le capacità di songwriting non mancano (anche se forse sono ancora da affinare) e si palesano in alcuni brani davvero coinvolgenti come l’opener The good, the bad, the undead (che mi ha ricordato qualcosa degli Extrema di Tension at the seams) o la travolgente carica di LumberJackass, ma anche in quei momenti più stoner come After doomsday  o l’oscura A dead doesn’t die. Giusto per citare qualche similitudine con altri act, si potrebbero nominare i Queens of the stone age e i Karma to burn ma anche i Black Sabbath e i Kyuss, con un certo ed evidente amore per riff distorti e ritmiche solide. Substrato hard che si appoggia su soluzioni melodiche non lineari o di semplice accesso, con la band che ama spingere il piede sull’acceleratore per districarsi in un contesto aggressivo e potente ma per nulla nichilista, con le piccole influenze che zampillano amalgamandosi tra loro lungo il fitto tragitto, condensando furia e chorus aperti al limite del grunge. Sospinti spesso da un’anima dark, evidenziano l’attenzione per il sound a stelle e strisce e un buon esempio sono tracce come Nails, bagnata di crossover e alternative rock, lo stoner malinconico di Lullaby e l’immediata forza di Frank-Einstein. Piacevoli anche gli sviluppi di Straightjacket e l’articolata A definite excuse, mentre più veemente è l’approccio di Fireflies e Ver sacrum, irruente ma sempre ben definita e incastonata in zampilli melodici. A dear diary è un album gradevole, che conferma come la band abbia un ottimo potenziale che deve probabilmente ancora essere espresso del tutto e che può evitare in futuro cali di pathos che si avvertono durante l’ascolto del disco.
Per acquistare l’album è possibile visitare la pagina  https://itunes.apple.com/it/album/a-dear-diary/id866620705  (Luigi Cattaneo) 

venerdì 6 maggio 2016

EMILY SPORTING CLUB, Emily Sporting Club (2016)


Gli Emily Sporting Club esordiscono con un omaggio a Pier Vittorio Tondelli narrando l’Emilia in un viaggio tra gli anni ’80 e l’attualità, forgiando un sound che risente molto della new wave di Joy Division, The Cure e primi U2. È un debut coraggioso questo degli Emily Sporting Club, proprio come lo era Tondelli, indimenticato scrittore di Correggio e una delle voci fuori dal coro dell’Italia ottantiana, un racconto in musica provocatorio e schietto. La band (Nicola Pulvirenti alla voce, Silvio Valli alla chitarra, Elisa Minari al basso e Alfredo De Vincentiis alla batteria) è nata 3 anni fa e per il disco si è ispirata al romanzo Altri libertini, unendo la citazione con brani del tutto originali, cogliendo quindi spunti e idee dallo scrittore ma con una visione propria e radicata in quest’epoca (d’altronde tutti i brani sono scritti dal gruppo e la sola Più di così ha un testo di Tondelli). L’emiliano è stato fondamentale per dare un indirizzo esplicito alla scrittura, con parole che colpiscono, suonano dirette e lontane dal perbenismo imperante (in questo ricordano Il teatro degli orrori), elementi che si palesano già dall’iniziale Postoristoro, brano che mostra alienazione e scoramento dei protagonisti con ritmiche new wave efficaci e mordenti. Ottimo avvio seguito da altri pezzi importanti come Emily Sporting Club, ancora vicino al dark di inizio ’80 e Piedi inversi, capace di essere conturbante e profonda, mentre mi hanno convinto meno quelli in lingua inglese (Boy e 2Mars) che ho trovato meno coinvolgenti e più lineari. Del lavoro è un piccolo diamante indie wave con una poderosa sezione ritmica e linee di chitarra dinamiche, Hangover accellera e si irrobustisce, prima del finale di Più di così (non se ne può), picco emotivo della scrittura tondelliana e foriera di una piacevole attitudine funky piena di groove. Buon debut, coeso tra suoni e parole, articolato nel racconto e stimolante per chi ascolta, merito di una band che può solo crescere e sviluppare ancora di più idee e concetti espressivi e personali. (Luigi Cattaneo)

Emily Sporting Club @ Teatro Asioli (Correggio)

mercoledì 4 maggio 2016

DANILO SESTI, It's a long long road (2016)


I più attenti si ricorderanno di Danilo Sesti, talentuoso tastierista di Il Giardino del mago, una prog band che incise un piacevole demo ep qualche anno fa prima di diventare Intarsia, monicker con cui apparirono con un brano nella raccolta Decameron II (edita da Musea). Messo da parte il progetto, il buon Sesti si ripropone con il suo primo lavoro solista, It’s a long long road, che cattura brani scritti in momenti diversi e che incarnano i vari mondi sonori di cui è innamorato il compositore. L’album assomiglia molto ad una colonna sonora, con percorsi che si incrociano catturando spunti elettronici, parti atmosferiche e altre di matrice classica che evidenziano cura e capacità di gestione della materia. Dopo l’iniziale e introduttiva The troll who lives under the bridge si parte davvero con Il vento nel cassetto, breve brano che mostra la voglia di Sesti di abbandonarsi lungo sentieri riflessivi e meditativi. Malinconia e nostalgia sono elementi fondamentali nella buonissima The secrets of the bamboo forest, mentre più sperimentali sono le piccole trame di Dream # 1 e 2, nate proprio dalla volontà di Sesti di giocare con i suoni. Poteva forse essere più sviluppata L’oro della città di Bagan (luogo evocato nel Il milione di Marco Polo), cosa che accade in Koan, uno dei pezzi meglio riusciti e tra i più sentiti. Un approccio ambient elettronico colora la nostalgica Fernweh, prima di Prometeo (e il fuoco), una piccola suite divisa in tre movimenti pensata per gli Intarsia e con qualche ovvio rimando alla stagione prog dei ’70. Chiusura affidata alla bonus track Bloody moon, un pezzo maggiormente rock che non mi ha convinto del tutto ma che non inficia una prova generale che reputo interessante e che può portare anche a sviluppi futuri da non sottovalutare. (Luigi Cattaneo)  
Per maggiori informazioni o per acquistare l'album potete visitare la pagina https://danilosesti.bandcamp.com/

domenica 1 maggio 2016

DANY RUSSO, Reprise (2015)


È sempre piacevole scoprire musicisti che lontano dalle luci della ribalta animano con classe e gusto il fitto sottobosco underground italico, ancora troppo ingiustamente snobbato per inseguire realtà estere magari meno interessanti. Preambolo che spiega, ma solo in parte, le qualità del polistrumentista Dany Russo, autore di Pesaro, che firma a suo nome questo Reprise, una sorta di rock opera piena di intuizioni e spunti gradevoli. Psichedelia, brit rock, accenni progressive, un piccolo caleidoscopio di suoni in piena libertà creativa e sempre contraddistinti da una certa vena malinconica, una sottile luce dark che sottolinea i momenti più drammatici della narrazione. Ci sono i Pink Floyd ma anche i Verve, c’è il fantasma di Barrett che si scontra con gli Oasis meno patinati, c’è un universo che attraversa i ’60 dei Beatles per arrivare all’età adulta del rock settantiano. Russo ha registrato praticamente tutto da solo, ad eccezione del sax di Roberto Spagnolo in The Cure e della voce di Valentina Piccione in Trinity e Leaving for planet, creando un lavoro ricco, profondo e anche dal grande potenziale. È facile percepire come Russo non sia alle prime armi ma che abbia la giusta esperienza per creare un disco così strutturato e soprattutto dal background così vario, un aspetto che se non viene ben bilanciato rischia di creare solo confusione. Un debut sentito, caldo e coinvolgente che si colloca tra un passato lontano e un presente che meriterebbe di essere foriero di soddisfazioni. Per maggiori informazioni potete visitare il sito www.danyrusso.com (Luigi Cattaneo) 

CONCERTI DEL MESE, Maggio 2016

Domenica 1
·Napoli Centrale a Reggio Emilia
·LizZard+Metadrive a Lugagnano (VR)
·Il Paradiso degli Orchi a Vigevano (PV)
·Corte Sconta a Pantigliate (MI)

Venerdì 6
·Malaavia a Dalmine (BG)
·Osanna+Aquael a Torino
·Diraxy a Vittuone (MI)
·So Does Your Mother a Roma
·Lachesis a Terno d'Isola (BG)
·Prog Rock Café a Roma

Sabato 7
·Motorpsycho a Pordenone
·UT New Trolls a Lugagnano (VR)
·Mad Fellaz+Fungus Casa di Alex a Milano
·Roberto Cacciapaglia a Firenze
·Cyrax a Pontoglio (BS)
·Stereokimono a Calderara di Reno (BO)

Domenica 8
·Osanna a Rivergaro (PC)
·Venus’s Delight a Roma
·Egoband a Pisa

Lunedì 9
·Motorpsycho a Segrate (MI)
·Roberto Cacciapaglia a Roma

Martedì 10
·Motorpsycho a Roma

Mercoledì 11
·Motorpsycho a Bologna

Venerdì 13
·Røsenkreütz+Perfect Pair al Giardino Club di Lugagnano(VR)
·Ubi Maior+VIII Strada a Bresso (MI)
·Spettri a Firenze

Sabato 14
·Dark Ages ad Alessandria
·Alex Carpani+Clepsydra al Giardino Club di Lugagnano (VR)
·RanestRane ad Aprilia (LT)
·Cyrax a Cassano d'Adda (MI)
·Dusk e-B@nd a Forlì
·Napoli Centrale a Napoli

·Simus al Legend Club (Milano)

Domenica 15
·Kari Rueslåtten a Milano
·Dropshard a Milano
·Court al Tunnel di Milano



Lunedì 16
·Pendragon al Giardino Club di Lugagnano (VR)
·Roberto Cacciapaglia a Milano
·So Does Your Mother a Roma

Martedì 17
·Démodé a Udine

Mercoledì 18
·Sycamore Age a Padova
·Anabasi Road a Scandiano (RE)

Giovedì 19
·Antimatter a Milano
·Osanna a Bari
·La Resa della Bestia a Bergamo

Venerdì 20
·Fattore Zeta a Viareggio (LU)
·Tides from Nebula a Milano
·Real Illusion+Moto Armonico a Lugagnano (VR)
·Eveline’s Dust a Moncalieri (TO)
·Lingalad a Solaro (MI)
·Feat. Esserelà a Bologna
·Gabriel Knights a Roma
·Impronte Sulla Luna a Gioia di Colle (BA)
·The Balmung a Roma

Sabato 21
·Osanna al Giardino Club di Lugagnano (VR)
·Talking Drum+JTBTB a Milano
·Dark Ages+Mayfair a Brescia
·Tides from Nebula a Giavera (TV)
·Faust & Malchut Orchestra a Banzi (PZ)
·Napoli Centrale a Napoli
·La Batteria a Roma
·Marble House a Bologna

Domenica 22
·PFM a Trinità d'Agultu (SS)
·Malaavia a Grassobbio (BG)
·FixForb a Castegnato (BS)
·Marble House a Bologna

Giovedì 26
·Slivovitz a Torino

Venerdì 27
·Tortoise a Torino
·Slivovitz alla Casa di Alex (Milano)
·Eveline's Dust a Zero Branco (TV)

Sabato 28
·Yes a Milano
·Aldo Tagliapietra a Lugagnano (VR)
·Marble House a S. Lazzaro di S. (BO)
·Tortoise a Brescia
·Goblin Rebirth a Fasano (BR)
·Anyway a Torino
·Sintonia Distorta a Lodi

Domenica 29
·Yes a Padova
·Slivovitz a Napoli
·Il Paradiso degli Orchi a Nave (BS)

Lunedì 30
·Explosions in the Sky a Roma

Martedì 31
·Yes a Firenze
·Explosions in the Sky a Segrate (MI)
·La Storia New Trolls a Molfetta (BA)