La sempre feconda
Moonjune Records ci regala l’ennesima perla di una discografia tra le più
interessanti in ambito avant, Truce,
album di Markus Reuter, chitarrista che ha preso parte negli anni a parecchi
lavori dell’etichetta di New York. Il maestro tedesco con la sua Touch Guitar
mostra ancora una volta come si possano unire innovazione e tradizione, aiutato
da Fabio Trentini (Le Orme) al basso fretless e Asaf Sirkis alla batteria
acustica, splendida sezione ritmica di questo live in studio (registrato in
Spagna, a La Casa Murada). Il power trio si destreggia benissimo lungo gli
impervi sentieri dell’iniziale title track, così come colpisce l’attitudine di Bogeyman, affascinanti esposizioni che
uniscono melodie oblique, cariche elettriche, pulsioni avanguardistiche e
sfuriate free. Il trio è abilissimo nell’avventurarsi lungo sentieri impervi (Be still my), estremi (Brazen heart), con quella capacità di
guardare oltre, di superare le norme convenzionali che solo i grandi hanno (Power series). Swoonage, Gossamer things e
Let me touch your Batman mostrano
tutta la fantasia in possesso della band guidata da Reuter, che appare sempre convincente,
anche nei momenti più avanguardistici, materia che d’altronde il chitarrista
maneggia con grande dimestichezza, oltre che con la consapevolezza di essere
uno dei maggiori esponenti in questo settore. Chi ha già apprezzato Lighthouse e The Stone House, che Markus registrò nel 2017 con Mark Wingfield,
Asaf Sirkis e Yaron Stavi (quest’ultimo presente solo nel secondo citato), non
può perdersi assolutamente questo album a suo nome. Di seguito il link utile per acquistare il disco https://markus-reuter-moonjune.bandcamp.com/album/truce (Luigi Cattaneo)
Progressive Rock&Metal ma anche una panoramica su Jazz, Blues, Folk, Hard&Heavy, Psichedelia, Avanguardia, Alternative, Post Punk, Dark Rock. Un blog sulle sfumature della Musica.
giovedì 30 luglio 2020
lunedì 27 luglio 2020
WHEELS OF FIRE, Begin Again (2019)
Uscito nel 2019, Begin Again è il terzo album firmato dai
Wheels of Fire, hard rocker italiani che hanno raggiunto ormai piena
consapevolezza dei propri mezzi dopo il successo delle precedenti uscite.
Davide Barbieri (voce) e Stefano Zeni (chitarra) sono sempre presenti e con
loro troviamo Federico De Biase (tastiere), Marcello Suzzani (basso) e Fabrizio
Uccellini (batteria), quintetto capace di sfornare preziose melodie A.O.R. a
supporto di brani tirati e dal forte impatto rock. Difatti si parte subito
forte con l’energica Scratch that bitch,
per poi proseguire con la briosa Left me
up e l’ottima Tonight belongs to you,
vicina al Bon Jovi degli anni ’80. Done
for the day si apre con un riff molto hard e mantiene la giusta tensione
per tutta la sua durata, prima della ballata di metà disco, l’ispirata For you, che mostra grandi doti di
scrittura e una raffinatezza esecutiva di prim’ordine. Keep me close torna a spingere verso un hard rock radiofonico e
pieno di buone vibrazioni, Heart of stone
vibra potente e aggressiva, mentre You’ll
never be lonely again torna a parlare il linguaggio dell’A.O.R. più
diretto. Le tastiere di De Biase armonizzano alla perfezione le intuizioni di Another step in the dark, tra Poison e
Danger Danger, Call my name è
un’altra gradevole ballata, prima della conclusiva Can’t stand it. C’è spazio anche per una bonus track, Wheels of
fire, che chiude egregiamente un disco fondamentale per chi ama le
sonorità di Room Experience, Firmo e Airbound. (Luigi Cattaneo)
For you (Video)
martedì 21 luglio 2020
THE WHIRLINGS, Earthshine (2019)
Attivi da più di dieci
anni, i The Whirlings sono da sempre dediti ad un heavy stoner psichedelico e strumentale
influenzato anche dal post rock. Dopo un primo ep omonimo e Beyond the eyelids del 2013, la band
formata da Andrea Lolli (chitarra), Mattia Lolli (chitarra), Diego La Chioma (basso)
e Giulio Corona (batteria), arriva ora al nuovo Earthshine, magnifico album che farà la felicità di quanti non
possono stare senza This Will Destroy You, Godspeed You! Black Emperor e i
nostrani L’ira del Baccano, anche loro prodotto della sempre curiosa Subsound
Records. L’iniziale Vacuum in realtà
è l’unico momento cantato, da Vera Clap, brava nell’inserirsi con naturalezza
nelle sofisticate trame da soundtrack del quartetto, mentre Reverence e #6 rientrano nei ranghi di un’espressività fatta di suggestioni
atmosferiche, crescendi emotivi, pathos, deflagrazioni post e momenti di pura
ipnosi psichedelica. La conclusione ci riserva dapprima lo psych stoner dell’ottima
Good for health, bad for education e
infine Lost in whiteout, una
magnifica cavalcata senza confini, un lungo trip libero e senza freni, immaginifico
specchio di una jam band tutta da scoprire e sostenere. (Luigi Cattaneo)
Full Album
lunedì 20 luglio 2020
GASTONE, II (2019)
Dietro il singolare
monicker Gastone si cela in realtà un duo formato da Leonardo Antinori (voce,
batteria, cembalo, tastiere e chitarra) e Marco Bertuccioli (chitarra), nato
quattro anni fa in quel di Gabicce e che con II arriva alla sua seconda uscita discografica dopo l’omonimo del
2017. I due, qui coadiuvati da Tommaso Tarsi (basso) e Edoardo Brandi (violino),
tingono le sette tracce di questo nuovo lavoro di freschezza pop, sfumature
cantautorali dal sapore autunnale e atmosfere agrodolci, venature di un ritorno
tanto breve (30 minuti circa) quanto gradevole. Elementi che troviamo dall’iniziale
dolenza di Letargo, singolo apripista
che gioca sulla contrapposizione tra elementi ora più vellutati ora più frementi
ed elettrici. Transatlantico si tinge
maggiormente di pop, Cristalli è un
altro interessante singolo scelto per lanciare l’album, tra fraseggi malinconici
e ritmiche pulsanti, mentre Febbre è
una ballata dai tratti nostalgici. Si prosegue con Invecchiando, delicata e intensa, prima di Condoglianze, in cui troviamo il piano elettrico di Alessandro
Gobbi e della conclusiva Ombra, il
brano più intenso dell’album e ottima chiusura di un come back piacevole e
molto curato. (Luigi Cattaneo)
Cristalli (Video)
venerdì 17 luglio 2020
MATTEO MUNTONI, Radio Luxembourg (2020)
Bassista, chitarrista e
pianista, Matteo Muntoni ha sviluppato negli anni progetti ed esperienze
decisamente trasversali, dai seminari guidati da Ellade Bandini, Attilio Zanchi
e Paolo Fresu alla laurea in basso e contrabbasso jazz, passando per i dischi targati
Janas, Piccolo Ensemble Elettroacustico e Samurau e lo studio della musica
elettronica presso il Conservatorio di Cagliari. Un profilo decisamente
interessante e curioso, che ha dato vita al nuovo Radio Luxembourg, uscito a suo nome qualche mese fa e registrato
insieme a Marco Ceredda (vibrafono e percussioni), Stefano Vacca (batteria ed
elettronica) e Michele Sanna (chitarra). La dedica alla mitologica emittente
radio, che trasmetteva da una nave ancorata in acque extraterritoriali, parte
con On the moon, minimale apertura
improntata ad un’elettronica che si sposa con il tocco lieve della chitarra
acustica, per poi aprirsi sorniona e finire in sognanti territori di post
psichedelico. L’ottimo inizio sfuma nella seguente The jellyfish dance, decisamente prog, con le tastiere di Andrea
Sanna che donano ancora maggiore profondità al risultato complessivo. La title
track avanza con una linea ritmica implacabile e ossessiva, su cui i vari
elementi chiamati in causa contrappuntano la struttura volutamente ripetitiva e
insistente, un complesso di elementi che deflaga in un finale aperto a
contaminazioni progressive accentuate. The
man and the journey riprende certi principi, contaminandoli di un indole
jazz piena di pathos e ammaliante quiete, salvo poi esplodere in un trip
elettrico potente e dal mood al limite dello stoner. La lunga Dust and guitars ci avvicina al finale
non disdegnando linee psichedeliche affascinanti, mentre la conclusiva Werewolf cricket mette insieme spunti
rock, prog e un pizzico di follia zappiana che non stona affatto. Senza vincoli
di genere, Muntoni ha portato avanti un discorso organico e fedele alle sue
idee, concretamente ispirato al suo ampio background, firmando un concept
strumentale suggestivo e raffinato. (Luigi Cattaneo)
martedì 14 luglio 2020
NICOLA DENTI, Egosfera (2020)
L’idea dietro a Egosfera nasce nella testa di Nicola
Denti, chitarrista fondatore dell’Accademia Musicale di Parma e membro della
band Custodie Cautelari, più di dieci anni fa, un concept rigorosamente
strumentale prodotto da John Cuniberti e promosso dall’ufficio stampa Sfera
Cubica. L’immaginifica e suggestiva musica prodotta da Denti si riallaccia a
maestri delle sei corde come Steve Vai, Joe Satriani e John Petrucci, nonché a
gruppi come Liquid Tension Experiment e The Aristocrats, quindi la chitarra al
centro della scena, con frangenti hard e intarsi prog rock ad alternarsi lungo
poco più di 50 minuti davvero ispirati e curati da ogni punto di vista. Il
lungo viaggio di Ekow verso Egosfera inizia con Day one e Distorted reality,
in cui la formazione triangolare vede Federico Paulovich dei Destrage alla
batteria dare peso e forza alle trame, oltre il basso di Anna Portalupi degli
Hardline nella prima e quello di Fausto Tinello dei Wyvern nella seguente. In The project al basso c’è invece l’ottimo
Lucio Piccoli, con la composizione che vede l’apporto interessante di Sbibu
(Billy Cobham, Tony Oxley, Luca Donini) alla WaveDrum Oriental, un
sintetizzatore di percussioni che dona un tocco curioso al tutto. Denti, oltre
ad avere scelto collaboratori eccellenti, mostra di saper anche scrivere, e la
prima parte si chiude con la doppietta formata dalla sentita When all seems lost, in cui un peso
specifico acquisiscono le tastiere di Salvatore Bazzarelli (Custodie Cautelari)
e il basso di Emiliano Bozzi (I Mercanti di Liquore), e Escape from Madness, che torna a parlare un linguaggio più heavy,
con l’onnipresente Paulovich in grande forma. La seconda parte si apre con la
singolare By the river, tutta giocata
sulla chitarra di Denti e il lieve synth percussivo di Sbibu, prima di All good things, al cui pathos
contribuisce il basso di Pier Bernardi (avevamo parlato del suo ultimo disco
solista proprio da queste pagine), e Awakening,
in cui troviamo il grandissimo Bryan Beller, bassista di The Aristocrats,
Satriani, Vai e Steven Wilson, per quello che è uno dei pezzi più metal
dell’intero lavoro. Ci avviciniamo al finale del viaggio con la solida Brain Charmer e i brillanti fraseggi della
conclusiva The long journey, che
confermano la bontà della proposta e la ricchezza compositiva di Denti. (Luigi
Cattaneo)
Distorted reality (Official Video)
lunedì 13 luglio 2020
ROVESCIO DELLA MEDAGLIA, Microstorie (2011)
Era il 2011 quando
tornava in pista il Rovescio della Medaglia, gruppo di Roma guidato dal
chitarrista Enzo Vita, di cui si erano perse le tracce da Vitae pubblicato nel 1999. Vita, unico membro originario del
gruppo, ha qui spostato le sue attenzioni dal rock progressivo a tinte hard
verso un pop rock ricco di fiati e melodia. A questo indirizzo bisogna guardare
parlando di Microstorie, un lavoro
indubbiamente arrangiato e suonato bene da professionisti di indubbio spessore,
a cui si aggiunge la presenza di un grande vocalist come Roberto Tiranti
(Labyrinth, Mangala Vallis), a cui manca però il salto di qualità, tendendo ad
essere in diversi brani piuttosto scontato. Ovviamente il problema non è la
mancanza di un sound dichiaratamente progressive, quanto piuttosto il fatto che
il disco sia altalenante tra pezzi riusciti e coinvolgenti ed altri che invece
risultano davvero poco interessanti. Il risultato è un rock che sarebbe
adattissimo per essere passato in radio e che a tratti ricorda la scrittura di
Francesco Renga. Tra i pezzi migliori la coinvolgente title-track, Luca’s bar, che si propone come unico
momento prog del lavoro e l’energica Grida,
urli e strilli. Il disco si lascia ascoltare con piacere ma risulta dopo svariati
ascolti un po’ anonimo, non ha la forza e la robustezza che ci si potrebbe aspettare
da una line-up che prevede, oltre Vita e Tiranti, anche l’ex bassista del Banco
del Mutuo Soccorso Gianni Colaiacomo, più una sezione fiati ed una d’archi. Microstorie fu un ritorno in chiave rock
assemblato bene ma con poco mordente, ancora oggi a distanza di quasi un
decennio il risultato complessivo, visti anche i tanti anni di assenza dalle
scene, lascia un po’ di amaro in bocca. (Luigi Cattaneo)
Tapis Roulant (Video)
DRUNKEN CROCODILES, Out of Barrel (2019)
Out
of Barrel è il primo full dei Drunken Crocodiles, band di
Parma in pista dal 2013 che arriva a questo esordio grazie alla Too Loud
Records e la WormHoleDeath. Il trio, formato da Elia Borelli (basso e voce),
Ivan Marchettini (chitarra) e Emanuele Mollica (batteria), è artefice di un
debordante stoner sludge che farà felici quanti si cibano di Bongzilla, Unida e
High on Fire, influenze che traspaiono già dalle iniziali violenze sonore di Viktor e The Monk. Tutto è molto heavy e compatto, una solidità che emerge
con prepotenza tra le note di Shortcut e
Volstead act, che ospita Greg Saenz,
batterista presente nella band di John Garcia. Si prosegue con il pathos di Mate, l’omaggio stradaiolo allo
Stravecchio di B&S e la buia Hard awakening, prima della aggressiva
energia di 1854 e Tricky quiet, più vicina agli immortali
Kyuss. Un leggero velo psichedelico compare in Great unknown, mentre il finale è ad appannaggio della nebbiosa Elicona, decisamente atmosferica
rispetto ai brani precedenti. Se avete apprezzato gli ultimi lavori di Sworn,
Monolithic Elephant e Holyphant è
obbligatorio dare una possibilità ai Drunken Crocodiles e fare vostro Out of Barrel. (Luigi Cattaneo)
Full Album Video
sabato 11 luglio 2020
BLACK MAMA, Where the wild things run (2019)
Tornano finalmente i
Black Mama, power trio veronese (il primo album, da recuperare assolutamente, è
del 2013) formato da Andrea Marchioretti alla batteria, Nicolò Carozzi alla
voce e alla chitarra e Paolo Stellini al basso, ancora una volta coesi nell’omaggiare
il rock blues e band come Free, ZZ Top e The Allman Brothers Band, nonché
leggende come l’enorme Rory Gallagher. Influenze che colorano il mondo dei
Black Mama anche nel recente Where the
wild things run, uscito sul finire dell’anno passato per Andromeda Relix,
un distillato sanguigno che parte proprio dal rock blues per toccare punte
southern, come Feelin’ allright e Tell my mama insegnano, tra riff tirati
e vibranti cariche elettriche. La title track profuma di ’70, Come on, come on, come on ci porta con
mano nell’immaginario sudista, mentre Hands
full of nothing but the blues è un tributo alla musica del diavolo, un
magnifico passaggio centrale in cui vengono rievocati B. B. King e Muddy
Waters. I got a woman continua a
parlare un linguaggio che ci riporta indietro nel tempo, quando i grandi
festival di fine ’60 e inizio ’70 traghettavano i sogni dei più giovani. Una
certa atmosfera permane anche nella sentita Red
dressed devil, prima della debordante Shining
rust e della conclusiva Icarus,
grandissimo finale di un album che dal vivo, vero territorio di caccia del
trio, può essere rappresentato davvero in maniera clamorosa. (Luigi Cattaneo)
LE ORME, La via della seta (2011)
Era il 2009 quando Aldo
Tagliapietra, iconico vocalist di Le Orme, lasciò definitivamente la band per
abbracciare una carriera solista che negli anni seguenti lo vedrà protagonista
di album assolutamente di qualità. Il buon Michi Dei Rossi, batterista dalla
ferrea ostinazione, non ha mai smesso per un attimo di portare avanti lo
storico marchio, e con forza e coraggio assoldò per La via della seta Jimmy Spitaleri, dotato vocalist già attivo negli
anni ’70 nei Metamorfosi, e Fabio Trentini al basso. Immancabile Michele Bon,
bravissimo tastierista ormai punto di riferimento da decenni dei mestrini. In
questo quadro ricco di novità e modifiche Le Orme pubblicarono, a discapito di
chi screditò questa nuova incarnazione, un disco solido, ispirato, ammaliante. La Via della Seta è un concept dedicato
all’esploratore veneziano Marco Polo, che con i suoi viaggi si spinse fino in
Cina e il sound è quello che si trova nella trilogia iniziata nel 1996 (Il fiume, Elementi, L’infinito), che ebbe
il merito di riportare alla luce la storica band. Quindi Dei Rossi e Bon
scelgono di non apportare modifiche al tessuto sonoro e questo alla luce dei
fatti risultò essere un bene. Perché stravolgere il suono di un recente passato
più che buono? Inutile citare un momento in particolare, in quanto tutti i
brani (alcuni molto brevi) si legano tra loro a formare un’unica suite di circa
40 minuti. L’impostazione è quella della citata trilogia: epicità, forte
lirismo, alternanza di momenti sognanti ad altri articolati e roboanti. Ne parlai a quel tempo con Dei Rossi. Qui di
seguito l’intervista integrale apparsa in origine sul portale, ormai chiuso, www.unprogged.com
1) La Via della Seta è figlio
dell’ultimo periodo, quello successivo all’uscita di Aldo Tagliapietra o la
fase di scrittura era già iniziata prima della defezione?
La via della seta nasce dopo
l’abbandono di Tagliapietra che ci ha lasciati increduli.
2) Il suono è quello degli ultimi album, la cosiddetta trilogia che vi ha
notevolmente rilanciato. Questa è stata una scelta precisa per non snaturare il
sound della band o il processo compositivo si è svolto in maniera del tutto
naturale e senza fare grossi calcoli?
In maniera del tutto naturale: come si faceva negli anni settanta e come
abbiamo sempre fatto, ci si riunisce, ognuno porta il suo materiale, si fondono
le idee, si provano, si arrangiano e come per magia i brani prendono forma.
Ci sono voluti circa quatto mesi di lavoro tra pre produzione, registrazione e missaggi. L’album è stato registrato al Warm music studio di Treviso, Michele Bon ha curato i missaggi e il mastering e Riccardo Checchin la registrazione e l’editing.
Ci sono voluti circa quatto mesi di lavoro tra pre produzione, registrazione e missaggi. L’album è stato registrato al Warm music studio di Treviso, Michele Bon ha curato i missaggi e il mastering e Riccardo Checchin la registrazione e l’editing.
3) Immagino che Michele Bon abbia avuto un ruolo importante nella
realizzazione dell’opera, ma in studio come avete diviso il lavoro?
Sicuro! Michele e il sottoscritto
siamo gli autori di tutti i brani con due assieme a Trentini e uno con Gava.
Per quanto riguarda Michele, ripeto, ha curato i missaggi e l’editing mentre il
sottoscritto si è occupato della produzione artistica e dalla supervisione.
I testi sono di Maurizio Monti, abbiamo pensato a Maurizio prima di tutto perché é un grande autore e in seconda battuta perché conosceva bene la voce di Jimmy avendo scritto per lui i testi dell’album Uomo irregolare. I suoi versi evocativi hanno dato un ulteriore tocco di magia a La via della seta.
I testi sono di Maurizio Monti, abbiamo pensato a Maurizio prima di tutto perché é un grande autore e in seconda battuta perché conosceva bene la voce di Jimmy avendo scritto per lui i testi dell’album Uomo irregolare. I suoi versi evocativi hanno dato un ulteriore tocco di magia a La via della seta.
4) Come nasce l’idea di questo concept su Marco Polo e come si è
sviluppato?
All'inizio c'era Marco Polo, una figura che mi ha sempre affascinato. In
seguito, parlando anche con gli altri componenti della band, ho pensato fosse
giusto allargare gli orizzonti della nostra storia. Così, collaborando con il
critico musicale Guido Bellachioma, che ha curato la parte letteraria, la
nostra Via della Seta ha preso forma.
Da Marco Polo, quindi la repubblica e Venezia, a Xi’an e Roma, due imperi con
la I maiuscola, passando per tutti i mondi possibili di ieri e di oggi.
L'incontro dei popoli.
5) A mio modo di vedere La Via della
Seta rappresenta una risposta a chi pensava che l’uscita di Tagliapietra
avrebbe portato allo scioglimento del gruppo. Senti questo lavoro come una
rivalsa personale?
Assolutamente no. Credo che Le Orme siano patrimonio artistico italiano e
non solo, al di là delle formazioni che si sono alternate e che si
alterneranno: con questa ottica è stato pensato il progetto di La via della seta.
6) Mi ha colpito la freschezza dell’album, dove si trova la voglia di
portare avanti un percorso lungo ormai più di 40 anni?
Si potrebbe rispondere in molti modi, ognuno giusto perché comporrebbe le
diverse anime di Le Orme. Servono la voglia e la capacità di rinnovarsi,
calandosi nel tempo che si vive senza perdere la propria identità, culturale,
artistica ed umana. In questo modo si preserva lo spirito del gruppo al di
fuori dei componenti del momento. Ovviamente le capacità compositive non sono
un optional, puoi impegnarti sino allo stremo delle forze ma se i brani che
scrivi non sono espressione di vera creatività l'alchimia della formula non
funziona. L'arrangiamento e il lavoro in studio sono importanti ma è
fondamentale la qualità di base delle composizioni. Il segreto vero della
nostra longevità deriva dall'affetto che riceviamo dai nostri fans e dalla
critica.
7) Hai mai pensato che la realizzazione di questo disco potesse essere un
rischio o la volontà di proseguire era più forte di tutto?
Conoscevo alla perfezione le doti della band, Michele e il sottoscritto
hanno una trilogia alle spalle e il mio istinto mi diceva di andare avanti.
8) Inutile negare che negli ultimi mesi l’attenzione si è molto focalizzata
sull’arrivo in formazione di Spitaleri, cantante dotato ma diverso da
Tagliapietra. Io ho visto questa novità come la volontà di iniziare davvero un
nuovo percorso. Si tratta di un impressione sbagliata?
Hai centrato il bersaglio.
L’idea era quella di formare una band che avesse la possibilità di eseguire tutto il repertorio del vecchio corso e che fosse in linea con la musica del nuovo corso, così abbiamo pensato di aggiungere il pianista Federico Gava e il chitarrista William Dotto, (la formazione rimasta dopo l’abbandono di Tagliapietra era: Dei Rossi, Bon e Trentini) mentre per il cantante si è pensato da subito a Jimmy Spitaleri, già con la storica band prog romana Metamorfosi, cantante dotato di una voce rock lirica e dinamica, all’opposto di Tagliapietra, per dare una svolta definitiva alla band.
L’idea era quella di formare una band che avesse la possibilità di eseguire tutto il repertorio del vecchio corso e che fosse in linea con la musica del nuovo corso, così abbiamo pensato di aggiungere il pianista Federico Gava e il chitarrista William Dotto, (la formazione rimasta dopo l’abbandono di Tagliapietra era: Dei Rossi, Bon e Trentini) mentre per il cantante si è pensato da subito a Jimmy Spitaleri, già con la storica band prog romana Metamorfosi, cantante dotato di una voce rock lirica e dinamica, all’opposto di Tagliapietra, per dare una svolta definitiva alla band.
9) Spitaleri ha dato il suo contributo nella scrittura del concept?
Jimmy è arrivato a lavoro già fatto, si è impegnato moltissimo a sviscerare
le melodie delle canzoni e soprattutto è riuscito a interpretare i brani nella
maniera magico-evocativa che i bellissimi versi di Maurizio Monti descrivono.
10) C’è un motivo particolare che ti ha portato alla sua scelta?
Come ho già detto, cercavamo una voce che avesse liricità, dinamicità e che
fosse rocciosa per quei brani più duri del vecchio repertorio come Cemento armato, Sguardo verso il cielo o Vedi
Amsterdam, e che fosse in linea con il nuovo corso. Jimmy ha tutto questo,
sa essere durissimo e subito dopo dolcissimo, sa dosare le dinamiche come si fa
nel melodramma.
11) Come è stata accolta dai fan questa nuova line up?
Inizialmente i fan erano preoccupati della sostituzione della voce, non
tutti comunque, ma dopo averci sentito nel tour dell’anno scorso e soprattutto
in questo appena finito con il nuovo album hanno cambiato idea. La band si
propone con un repertorio progressive che raramente (dicono) si sente in giro
al giorno d’oggi e comunque i fans integralisti ci sono e ci saranno sempre. Ne
perderemo qualcuno ma ne stiamo acquistando molti.
12) Ci sono state delle difficoltà da parte di Spitaleri nell’affrontare i
brani storici della band?
Direi di no, Jimmy è Jimmy, con il suo inconfondibile stile ha saputo
affrontare molto bene il vecchio repertorio dando un tocco di magia al nuovo.
13) Che riscontri ha avuto La Via
della Seta?
Molto positivi, l’album piace al pubblico e alla critica, quando questo
accade è un miracolo e dulcis in fundo il disco è entrato in classifica, vendendo
5000 copie nella prima settimana.
giovedì 9 luglio 2020
IL MURO DEL SUONO, Il muro del suono (2019)
Dietro il monicker Il
Muro del Suono troviamo Luciano Margorani (già con i La1919 e Beauty is in the
distance, qui impegnato alla chitarra e al basso), Antonio Siniscalchi
(tastiere, ex Dedalogica) e Alessandro Di Caprio (batterista dei progster Ubi
Maior), un trio dal background variegato che, sotto l’egida della sempre
curiosa ADN, si è divertito a sperimentare in piena libertà creativa. Free form
che ricorda alcuni episodi targati Moonjune Records, un ponte immaginario tra
New York, Milano e Avellino, un esperimento fortemente improvvisato libero da
schemi prestabiliti. In music it was
different mostra subito l’approccio del trio alla composizione, con
Siniscalchi e Margorani a dettare piccole melodie sulla base ritmica ripetitiva
di Di Caprio, quasi un introduzione alla successiva Il sangue degli innocenti, avanguardia notturna e dai tratti
spettrali. Più complessa la lunga Come un
sole nascente, accostabile per intento a Lighthouse del trio Wingfield Reuter Sirkis, con cui condivide la
voglia di andare oltre i generi, di creare episodi che siano volutamente arditi
e di difficile assimilazione. Ciò non toglie che tutto ciò diviene estremamente
affascinante, soprattutto se si ha una certa dimestichezza con queste sonorità,
che continuano nella successiva Contronatura,
in cui riecheggiano le intuizioni proprio di Beauty is in the distance (di cui
abbiamo parlato da queste pagine) e dei Dedalogica dell’interessante omonimo
del 2008. La chiusura è affidata al brano meglio riuscito, la pulsante In una terra straniera, eccentrica
progressione immaginifica dal vago
sapore asiatico. Ovviamente in un lavoro del genere non sempre tutto può
risultare fluido, ma la saggia decisione di non appesantire, anche in termini
di lunghezza, l’opera, diviene un importante punto a favore, facendo risultare
nel complesso questo esordio sì audace ma anche discretamente scorrevole.
(Luigi Cattaneo)
lunedì 6 luglio 2020
EGON, Il cielo rosso è nostro (2016)
Nati nel 2015, gli Egon
hanno sinora pubblicato tre lavori, di cui Il
cielo rosso è nostro rappresenta l’esordio del 2016, con la band che, in
formato trio, confezionava poco più di trenta minuti distillati di new wave e
cantautorato. Marcello Meridda (batteria), Francesco Pintore (basso) e Marco
Falchi (voce e chitarra), si muovono qui agili tra la malinconia dei Marlene
Kuntz, la rabbia dei CSI e la psichedelia noisy di alcuni episodi targati
Verdena, sfumature sottili che invadono da subito l’iniziale Dissolvenza, inquieta e dall’oscuro
fascino post punk. Immobile è una
nera perla elettrica, con Falchi che appare il cantore di una fine senza
appello, doppiata dallo spoken diabolico di Onirico,
psichedelica danza in cui le ritmiche diventano un mantra allucinato. La quiete
di Dry si palesa improvvisa in tutta
la sua suggestione, prima dell’ottima Il
sogno, che rimanda a immagini piene di pathos davvero commoventi. L’intensa
Stratificazione ricorda i Marlene più
poetici, mentre la conclusiva The red sky
is ours è un viaggio verso rosse aurore che annientano gli occhi,
buonissimo finale dal sapore post. Per conoscere meglio la band potete visitare
la loro pagina https://egonband.bandcamp.com/
Onirico (Video)
mercoledì 1 luglio 2020
CONCERTI DEL MESE, Luglio 2020
5
·Plurima Mundi a Fiumicino (RM)
8
·Liberae Phonocratia a Milano
11
·Porto Antico Progfest a Genova
·Plurima Mundi a Fiumicino (RM)
8
·Liberae Phonocratia a Milano
11
·Porto Antico Progfest a Genova
·I Viaggi di Madeleine a Torre Chianca (Lecce)
18
·Arturo Stalteri a Cervia
23
·Goblin Rebirth a Roma
·Sycamore Age ad Arezzo
25
·The Winstons a Pistoia
·Hora Prima a Foggia
·Goblin Rebirth a Roma
·Sycamore Age ad Arezzo
25
·The Winstons a Pistoia
·Hora Prima a Foggia
LORENZ ZADRO & FRIENDS, Blues Chameleon (2020)
Ogni
brano, ogni collaborazione, è la fotografia di un momento fatto di attese,
evoluzioni e cambiamenti. Mi ha sempre affascinato l’arte di esprimere se
stessi attraverso la musica. Con queste parole
Lorenz Zadro della True Blues Band presenta Blues
Chameleon, il cui titolo dice già tutto, perché il chitarrista parte da un
backgroud blues per instillarlo di esperienze variabili, mai statiche, come il
folk delle iniziali Who looks for
something e My grandfather,
cantate con sicurezza da Ciosi, che nella successiva Alabama Blues si cala completamente nelle atmosfere care a J.B.
Lenoir (tutte le composizioni appaiono in The
big sound di Ciosi, disco del 2018). Il tris seguente, formato da Crossroads, Liza’s eyes blues e Rollin’
and Tumblin’ vede dietro il microfono Eddie Wilson (pezzi presenti in Lost in Blues, pubblicato dalla coppia
nel 2009), con il sound che si tinge di sfavillante rock blues e folk, senza
dimenticare la lezione dell’eterno Robert Johnson. Con Leo “Bud” Welch si vola in Mississippi
per ascoltare Baby please don’t go e Me & My Lord, registrate live al
Club Il Giardino di Lugagnano nel 2015, espressioni vicine a quanto fatto nei
suoi album Sabougia Voices e I don’t prefer no Blues. È la volta di
Manuel Tavoni con le energiche I’m talkin
about the blues (dal suo Back to the
essence del 2017) e You already know
it, un ottimo inedito. Mora e Bronski (voce e chitarra acustica) hanno un
ruolo centrale in ben 4 pezzi, dall’omaggio ai Motorhead di Ace of spades al meraviglioso
cantautorato di Anarcos , passando per la ballata Appuntamento al buio e il tributo al Bo
Diddley di Mannish Boy. Boz Scaggs
viene invece omaggiato da Zadro insieme a Rowland Jones in I just go, perla folk estratta da TBB & Friends della True Blues Band del 2012, da cui viene
presa anche Get up, get down con
Sarasota Slim, viaggio nell’assolata Florida bluesy del cantante e chitarrista.
The bridge lascia spazio al lavoro
della band madre di Lorenz, prima del finale di Sessobarraamore di Simone Laurino, leggera conclusione di un lavoro
davvero validissimo, sintesi di una carriera giovane ma con già parecchi spunti
di notevole spessore. (Luigi Cattaneo)
Alabama Blues (Video)
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