domenica 28 gennaio 2018

SYNCAGE, Unlike Here (2017)


Nel 1961 Piero Manzoni confezionò la sua opera Merda d’artista come provocazione avanguardistica, scagliandosi contro la sempre crescente mercificazione dell’arte. Facendo un parallelismo con quella musicale che domina in radio e tv (non ne abbia a male il povero Manzoni) potremmo dire che il supporto fisico con il suo contenuto (che sia cd, vinile o cos’altro) è la merda dell’artista in questione, quella prodotta dai vari rapper con testi adolescenziali o dalle scialbe e innocue pop star uscite da qualche insignificante talent (che poi definire artisti mi viene pure complicato). Per fortuna non sono in pochi coloro che si muovono nell’underground instillando ognuno a proprio modo piccole speranze di rimanere a galla (band, pubblico, addetti ai lavori) e quando ci sono giovani ensemble come i Syncage, che invece di stare a casa a piangersi addosso firmano un primo full lenght (dopo l’ep Italiota del 2014) pieno di intuizioni e voglia di metterci dentro tutto ma proprio tutto, tanto da essere in alcuni momenti persino troppo, allora capisci che non si è ancora persa la volontà di comunicare senza stare dentro schemi prestabiliti. Certo siamo in territori progressivi, con brani strutturati e mediamente lunghi, ma affiora una coesione d’intenti e una costante ricerca di raffinatezze sonore, candide ed eleganti, che finiscono per essere il trademark dei veneti (Matteo Nicolin alla voce, alla chitarra e al morin khuur, uno strumento a corde della Mongolia, Daniele Tarabini al basso e al flauto, Matteo Graziani alle tastiere e al violino e Riccardo Nicolin alla batteria e al vibrafono). Ciò si evince dalle lievi note acustiche che tratteggiano diversi momenti del platter e che trovano l’alter ego ideale in qualche frangente più movimentato e psichedelico, in una ricorrente simbiosi che finisce per partire dai settanta dei Gentle Giant e del movimento canterburiano per arrivare al contemporaneo dei Sycamore Age, il tutto amalgamato con cura dalla presenza di un delicato quartetto d'archi. Meno fresco dell’ep d’esordio ma maggiormente a fuoco in ogni aspetto, Unlike here è la visione del progressive di ragazzi giovani, che cercano di dire la loro in un genere oramai storicizzato dal tempo, tenendo fede ad alcuni dettami (come il racconto concept distopico, utilizzato in tempi recenti ma con attitudine più vintage anche dai romani La Fabbrica dell’assoluto) ma cercando una strada matura per riuscire a dire qualcosa di personale in un panorama affollato e con tante band che stanno riscuotendo perlomeno l’interesse degli affezionati del genere. (Luigi Cattaneo)
 
Album Trailer
 

sabato 27 gennaio 2018

HIDDEN LAPSE, Redemption (2017)


Debutto per gli Hidden Lapse, che con Redemption (uscito per la Rockshots Records) firmano un lavoro estremamente piacevole a cavallo tra dark metal, alternative rock e hard prog. Alessia Marchigiani (voce), Marco Ricco (chitarra) e Romina Pantanetti (basso), insieme a Luca Agostinelli (batterista esterno alla band) dipingono un concept dal clima plumbeo,  vicino a quanto fatto da gruppi come Lacuna Coil, Evanescence e Heretic’s Dream, con fraseggi molto coinvolgenti e chorus di sicura presa. Le sinuose tastiere (non è presente sul booklet chi le suona) creano atmosferici tappeti su cui Ricco può creare decisi riff, sempre sostenuti da una sezione ritmica precisa e dinamica che non disdegna di impegnarsi in fluidi cambi di tempo. I ragazzi, pur dotati di doti tecniche, puntano molto su impatto e songwriting, con una certa cura anche per la produzione, che risulta importante per la buona riuscita complessiva del platter. Il piglio rock & heavy che circonda un po’ tutto il racconto è la linea guida su cui vengono strutturati brani ideali per chi cerca suoni aggressivi ma che hanno sempre un occhio attento al fattore melodico, indiscutibili nell’unire parti eleganti e irruente, legate tra loro da arrangiamenti sinfonici e spunti elettronici di discreto effetto. Tutto l’album è piuttosto scorrevole e non vi sono momenti di stanca particolari, anzi vi è qualche picco che potrebbe incontrare i favori anche di un pubblico generalista se certa musica almeno ogni tanto passasse su qualche radio rock nazionale. Difatti l’ensemble di Fabriano (Ancona) riesce a districarsi tra partiture dagli interessanti sviluppi armonici tenendo ben presente il lato comunicativo della proposta e la ricerca di un certo pathos emotivo, che finisce per rappresentare il fulcro del disco intero. Opera prima di buona fattura che convince ma lascia intravedere anche le potenzialità del trio, le premesse per ritagliarsi uno spazio nell’affollato panorama underground italico ci sono. (Luigi Cattaneo)
 
Compassion (Video)
 

venerdì 26 gennaio 2018

TAZEBAO, Opium Popoli (2017)



Opium Popoli è il primo album dei Tazebao e nasce come manifesto contro ogni fondamentalismo religioso ed estremismo ideologico e lo fa per mezzo di una vicenda lontana nel tempo, ossia l’eresia Catara e la nascita dell’inquisizione. Ambiziosi e con una storia affascinante da raccontare, Gigi Cavalli Cocchi (batterista con Mangala Vallis, Pechino Politic, Clan Destino/Ligabue e Moongarden tra gli altri), Gianni Venturi (voce di Altare Thotemico e Vuoto Pneumatico), Valerio Venturi (basso degli Altare Thotemico), Luigi Cassarini (tastiere) e Nik Soric (chitarrista dei Lady Godiva) uniscono con una certa sicurezza new wave, cantautorato colto e inflessioni prog (che diversi di loro hanno nel D.N.A. d’altronde), elemento questo però non predominante come si potrebbe pensare e che favorisce la creazione di strutture smaccatamente rock che dovrebbero trovare spazio anche nelle radio di settore, se fosse possibile ovviamente. Un disco non solo da ascoltare ma da leggere pure, perché la tematica trattata con nobiltà d’animo dal vocalist è tutt’altro che banale e fa ovviamente molto pensare l’ascoltatore, anche perché risultano interessanti i richiami al momento storico attuale. Lasciate da parte le pulsioni jazz prog degli Altare e i vari progetti progressivi del grande Cavalli Cocchi, i Tazebao puntano moltissimo sull’impatto di brani poeticamente duri, vedi l’ottimo inizio di Caedite, melodica ma tirata. Ecce homo parte da Giordano Bruno per criticare l’idiozia del nostro essere, mentre la title track continua nel percorso seducente e suggestivo sin qui intrapreso. Vira su territori più prog L’inquisitore, senza però strafare in tal senso, ma è solo un passaggio, perché già Occitania torna a viaggiare su sentieri cari ad un certo rock cantautorale dal sapore vintage. Bellissima anche la morbida Omnia Munda Mundis (con parti in latino), così come colpisce la vibrante carica emozionale di Reincarnazione. La piacevolissima Rex Mundi e la conclusiva La Via Catara rappresentano il buonissimo finale di un platter caldo, in cui la forma canzone sa essere raffinata e potente in ogni suo aspetto, fatta di contenuti e idee che non possono lasciare indifferenti. (Luigi Cattaneo)
 
Album Trailer
 


martedì 23 gennaio 2018

THE SINGER IS DEAD, \\ (2017)


I The Singer is Dead nascono nel 2012 con l’intento di proporre post rock strumentale e già nel 2014 esordiscono con un interessante ep dalle sfumature math e vincono il contest Bandzilla di Saronno. Dopo esperienze live con act di un certo peso come Ufomammut, Tides from Nebula e Zeuss, arriva il primo full lenght, \\, prodotto da Mattia Stancioiu e che segna un passo in avanti nel percorso di crescita dei milanesi. I canoni post sono assolutamente rispettati, soprattutto nella capacità di creare l’adeguato mood e questo perché i ragazzi conoscono perfettamente la materia e si prodigano con successo per dare vita ad un lavoro caldo e coinvolgente. I crescendo di chitarra, sapientemente emozionali e melodici, vengono sostenuti da una compatta sezione ritmica ma è l’interplay generale dell’ensemble che rimanda a decani della scena come Mogwai e Slint, a cui aggiungono però una personale visione, fatta di irruenza e spirito battagliero. Suoni veementi si alternano a più placide sezioni, parti cinematografiche narrano senza parole virando improvvisamente con incursioni emocore verso frangenti più spinti, mostrando come l’Italia sia attiva anche in questo ambito e si muova nel sottobosco in maniera credibile (vedi Arirang o 42DE, giusto per citare qualche piccola ma interessante realtà). Tutto ciò è ravvisabile a partire dall’iniziale STQT, che abbina sapientemente forza e pathos, così come una certa epicità, elementi che si ravvisano un po’ in ogni brano e che richiamano anche God is an Astronaut, Junkfood e Goodspeed You! Black Emperor. Il fluire del disco coinvolge nelle sue dilatate atmosfere, foriere di un percorso che fa dell’intensità un vero trademark, capace di colpire nel segno e di appassionare sin da subito l’ascoltatore. Disco di spessore che non posso che consigliare, soprattutto a chi vive di post strumentale. (Luigi Cattaneo)
 
QLNV (Video)
 
 
 
 
 

venerdì 19 gennaio 2018

VERGANTI, Atlas (2017)


Esordio assoluto per i Verganti, band nata nel 2015 ma con lo sguardo saldamente rivolto al sound analogico dei ’70 e alla corrente progressiva italiana di New Trolls e Museo Rosembach. Adolfo Pacchioni (chitarra), Giovanni Vazzana (tastiere), Gigi Morello (batteria), Giulia Cardia (voce), Paolo Bellardi (basso) e Savino De Palo (voce) sono i nomi che si celano dietro Atlas, un concept autoprodotto che prende spunto dai libri di Mauro Biglino. Musica e parole (firmate da Pacchioni) seguono un percorso totalmente vintage, tanto da sembrare uno di quei lavori postumi del 1972 che spesso fanno la felicità di nostalgici e aficionados del genere, quindi chi esige dal progressive uno scatto in avanti temporale probabilmente non finirà nemmeno di leggere queste righe. Tutti gli altri troveranno invece pane per i loro denti, perché i Verganti sanno il fatto loro e stanno benissimo vicino a quei gruppi contemporanei che proprio al lontano passato guardano (Il Cerchio d’oro, Posto Blocco 19, giusto per citarne un paio). L’inizio è assolutamente buono, con L’arrivo, lunga traccia sintesi del pensiero dei torinesi ma anche la seguente La creazione, che continua la strada di un raffinato prog rock d’autore. La rivolta dell’umano e Diverso risultano drammatiche e curate dal punto di vista del pathos, espressione di un plot narrativo che sa essere romantico e sognante. Eva tratteggia intuizioni degne del periodo d’oro del genere, mentre L’imbarco presenta scenari apocalittici, complice anche il momento delicato vissuto dai protagonisti del racconto. Gradevole ballata è Il distacco, contrassegnata dal duetto tra la Cardia e De Palo, anche se personalmente è la traccia che meno mi ha entusiasmato dell’intero platter. Punta su una riuscita atmosfera La traversata, prima della bella doppietta finale con la leggiadra Nuovo inizio e Il tempo, ideale epitaffio di un debut anacronisticamente piacevolissimo. (Luigi Cattaneo)
 
L'arrivo (Video)
 

domenica 14 gennaio 2018

DUSAN JEVTOVIC, No answer (2017)


Avevamo già parlato di Dusan Jevtovic nel progetto Xadu (in coppia con Xavi Reija) e lo ritroviamo in questo trio formato con Vasil Hadzimanov (pianista e tastierista che recentemente ha pubblicato l’ottimo Alive) e Asaf Sirkis (batterista di fama internazionale). No answer è il risultato di stili diversi, costruzione in bilico tra echi sperimentali e modalità tipiche del jazz, aspetti progressive e mood post, connubi che trovano nella Moonjune una casa decisamente accogliente. L’assenza del basso ha stuzzicato i tre alla ricerca di possibili dinamiche e l’interplay costante tra Jevtovic e Hadzimanov, sempre sostenuti dal drum kit di Sirkis, finisce per saturare il suono senza farne percepire la mancanza. Il tocco di Vasil è sempre delicato e jazzy e si contrappone a quello nervoso di Dusan, mentre Asaf sa essere, da straordinario interprete dello strumento, ora leggero ora decisamente più potente ma sempre all’insegna del groove. Proprio come per il progetto Xadu, il serbo è sapiente elaboratore di fitte trame strumentali che hanno bisogno di un ascolto attento e che mostrano un autore creativo, che pur puntando molto sull’energia della proposta sceglie musicisti di differente estrazione per produrre interessanti sviluppi che nascono dalla diversità. Ispirati e legati insieme dal filo comune di non voler dare recinti alla musica, No answer ha al suo interno tanto l’amore per leggende quale Jimi Hendrix e Soft Machine, quanto i suoni già emersi in alcuni dischi di compagni di etichetta come Mark Wingfield e Simak Dialog, certificando la crescita del bravo chitarrista serbo dopo On the edge del 2009 e Am I walking wrong del 2013. (Luigi Cattaneo)
 
Yo sin mi (Video)
 

mercoledì 10 gennaio 2018

AURELIO FOLLIERI, Overnight (2017)


Aurelio Follieri sin da giovanissimo si è dedicato con profitto alla composizione e al lavoro come turnista, preferendo oramai da anni lo studio all’aspetto live e Overnight è il suo primo full lenght da solista, frutto proprio di questa scelta. Il disco racchiude quasi solo materiale scritto negli ultimi due anni, con la quasi sempre presente e amata Fender protagonista di un platter strumentale dove anche la sezione ritmica (Michele Santoleri alla batteria e Valter Robuffo al basso) risulta fondamentale per la riuscita dell’opera, che è bene dirlo non è mera esecuzione tecnica ma punta molto su pathos ed eleganza. Registrato in notturna, cuore in mano e silenzio tutto attorno, l’album è un melting pot di rock fusion, hard e ventate ai limiti del progressive, un fluire in cui emerge la classe di Follieri e la cura per la composizione, con l’autore ben concentrato sulla scrittura piuttosto che sulla velocità con cui suonare. Certo ogni tanto Vai e Satriani compaiono ma l’impianto melodico dei pezzi e bending egregi finiscono per far apprezzare appieno Overnight, che convince anche quando il foggiano esibisce assoli davvero di elevata fattura. Il lavoro è un caldo flusso di note, in cui l’interplay tra Follieri e la sua sezione ritmica è sempre ben costruito ma è giusto sottolineare anche la presenza di uno straordinario Claudio Signorile al basso nell’iniziale Circle of life e Lorenzo Zecchino, autore del solo di pianoforte in Heavy ballad. Overnight è un album che chi ama il genere non può non fare suo, perché vi è attenzione per il dettaglio, capacità di comunicare con crescendo magnifici, un’ottima produzione e un songwriting ammirevole, che pone Aurelio come una piccola sorpresa nel mondo delle sei corde italiche. (Luigi Cattaneo)
 
Album Trailer
 

mercoledì 3 gennaio 2018

WORSELDER, Paradigms lost (2017)


Secondo lavoro per i Worselder (dopo Where we come from del 2011 e l’ep MMXIV del 2014), che con Paradigms lost uniscono il thrash metal con lo stoner e l’hardcore, in un connubio in cui ritroviamo Machine Head, Trivium e Bleeding Through e che qui predilige un approccio sì potente ma anche tecnico e melodico, mostrando una maturità solo accennata nelle prove precedenti. I francesi sfornano un disco dove la ricerca del dettaglio e la cura del suono fanno la differenza e sottolineano la fierezza di brani stimolanti e fantasiosi, strutturati con frangenti che lambiscono il progressive tout court. Tutto il platter è una brillante cavalcata heavy, quasi un’ora di crossover mefistofelico e frizzante, mai banale e con aperture melodiche di ampio respiro che completano un quadro in cui si intrecciano le note dei due chitarristi Yoric Oliveras e Jeremie Delattre e della sezione ritmica formata dal basso di Yannick Fernandez e dalla batteria di Michel Marcq, quartetto che sostiene la verve del bravo vocalist Guillaume Granier, che alterna parti pulite ad altre più dure e in growl. I brani vanno a pescare a piene mani negli anni ’90 di Pantera e Grip Inc. ma non dimenticano la lezione dei Testament e dei Coroner, smussando le influenze con fraseggi stoner quanto mai azzeccati che rendono il disco più equilibrato e fluido, seppure la complessità di Seeds of rebellion, My consuming grief o Land of plenty è innegabile. Paradigm lost è un disco ricco di idee, un contraltare continuo di cambi di tempo, atmosfere, bordate thrash e passaggi epici, palpitante e vibrante. La capacità di articolare al proprio interno strutture differenti e richiamare più generi diviene elemento trainante di un percorso di unioni che forgia un sound compatto e di assoluto valore. (Luigi Cattaneo)
 
Paradigms lost (Video)
 

lunedì 1 gennaio 2018

CONCERTI DEL MESE, Gennaio 2018

Venerdì 5
·O.R.k. a Roma
·VIII Strada al Legend di Milano

Sabato 6
·O.R.k. a Lugagnano (VR)
·Rioul Doamnei a Lugagnano

Domenica 7
·O.R.k. a Firenze

Venerdì 12
·Lateral Blast a Roma
·Runaway Totem a San Marino
·Gabriel Knights a Roma

Sabato 13
·Cyrax a Desio (MB)
·Aldo Tagliapietra a Pergine Vals. (TN)
·Mr. Punch alla Casa di Alex di Milano
·Il Segno del Comando a Genova
·Struttura E Forma a Cicagna (GE)

Domenica 14
·Saint Just a Roma


Venerdì 19
·Alan Stivell ad Aosta

·Prog Night at Legend Club di Milano

Sabato 20
·Fates Warning+Methodica al Legend di Milano
·Banco a Brescia
·Unreal City a Genova
·Sycamore Age + altri a Firenze
·Corde Oblique a Nola (NA)
·La Casa Dei Matti a Catanzaro
·Dropshard a Barzanò (LC)

Domenica 21
·Fates Warning+Methodica a Ciampino (RM)
·Tazebao a Bologna

Giovedì 25
·Dusk e-B@nd a Portogruaro (VE)

Venerdì 26
·Mr. Punch a Roma
·Glareshift a Roma
·Mad Fellaz a Bassano del Grappa (VI)
·Aviv Geffen a Milano
·Freud’s Statement ad Arezzo
·Diraxy a Milano

Sabato 27
·Balletto di Bronzo a Lugagnano (VR)
·Glincolti a Padova
·Dark Quarterer+Segno del Comando a Erba
·Delta a Varese

Domenica 28
·Dark Quarterer+Segno del Comando a Parma
·Arturo Stàlteri a Terni

Mercoledì 31
·PFM a Bologna  

METEOR CHASMA, A monkey into space (2017)

Risultati immagini per meteor chasma

 
I Meteor Chasma nascono nel 2014 a Potenza, con le idee ben chiare visto che dopo soli tre anni giungono alla creazione di questo A monkey into space, lavoro che chi ama lo stoner di natura psichedelica non potrà che fare suo. Tony Shoesless (chitarra e voce), Sabè (batteria) e Carlo Armiento (basso) pubblicano un album derivativo quanto si vuole ma assolutamente inattaccabile, profondamente legato ad un genere che guarda indietro, ai Black Sabbath, ai Monster Magnet ma anche ai trip acidi degli Hakwind e alle virate psichedeliche dei Pink Floyd dei primordi. Spaceship 2346 è il biglietto da visita iniziale, pochi secondi per comprendere dove ci porterà questo viaggio, con il fantasma dei primi Soundgarden che incontra quello dei Sabbath sepolcrali dei ’70. Lo stoner fraseggia con l’hard e lo sludge, flirta con lo psych e si ritrova a Palm Desert, dai compianti Kyuss e spadroneggia anche quando il tragitto è breve (i tre minuti di Space time). Le distorsioni di Shoesless saturano l’aria e le ritmiche potentissime riempiono il suono, come nello splendido assalto strumentale di Neil Gagarin, visione espansa e ponderata di un suono psichedelico senza confini. Bellissima la successiva Ride a meteor, floydiana e cosmica, mentre torna su frangenti heavy stoner Lost martian, che alterna parti aggressive a lenti decelerate. Il background psichedelico è però forte e si riaffaccia con prepotenza in Atomic mushrooms e anche in Jupiter, prima del finale di Astroviking, una bella e ruvida cavalcata di quasi sette minuti e della brevissima Life on exoplanet, che sigilla un platter di grande spessore. (Luigi Cattaneo)
 
Spaceship 2346 (Video)
 

QUADRI PROGRESSIVI, Slash




Lorena Trapani stavolta ha spostato l’attenzione dal progressive omaggiando Slash, chitarrista cardine del suono dei Gun’s N’ Roses, figura di spicco della scena hard rock di fine ’80 inizio ’90.
Il lavoro è stato creato con grafite e carboncino e misura 24x33.
Per visionare o ricevere i lavori di Lorena potete inviare una mail a progressivamenteblog@yahoo.it