Nel 1961 Piero Manzoni
confezionò la sua opera Merda d’artista
come provocazione avanguardistica, scagliandosi contro la sempre crescente
mercificazione dell’arte. Facendo un parallelismo con quella musicale che
domina in radio e tv (non ne abbia a male il povero Manzoni) potremmo dire che
il supporto fisico con il suo contenuto (che sia cd, vinile o cos’altro) è la
merda dell’artista in questione, quella prodotta dai vari rapper con testi
adolescenziali o dalle scialbe e innocue pop star uscite da qualche
insignificante talent (che poi definire artisti mi viene pure complicato). Per
fortuna non sono in pochi coloro che si muovono nell’underground instillando
ognuno a proprio modo piccole speranze di rimanere a galla (band, pubblico, addetti
ai lavori) e quando ci sono giovani ensemble come i Syncage, che invece di
stare a casa a piangersi addosso firmano un primo full lenght (dopo l’ep Italiota del 2014) pieno di intuizioni e
voglia di metterci dentro tutto ma proprio tutto, tanto da essere in alcuni
momenti persino troppo, allora capisci che non si è ancora persa la volontà di
comunicare senza stare dentro schemi prestabiliti. Certo siamo in territori
progressivi, con brani strutturati e mediamente lunghi, ma affiora una coesione
d’intenti e una costante ricerca di raffinatezze sonore, candide ed eleganti,
che finiscono per essere il trademark dei veneti (Matteo Nicolin alla voce,
alla chitarra e al morin khuur, uno strumento a corde della Mongolia, Daniele
Tarabini al basso e al flauto, Matteo Graziani alle tastiere e al violino e
Riccardo Nicolin alla batteria e al vibrafono). Ciò si evince dalle lievi note
acustiche che tratteggiano diversi momenti del platter e che trovano l’alter
ego ideale in qualche frangente più movimentato e psichedelico, in una ricorrente
simbiosi che finisce per partire dai settanta dei Gentle Giant e del movimento canterburiano per arrivare al
contemporaneo dei Sycamore Age, il tutto amalgamato con cura dalla presenza di un delicato quartetto d'archi. Meno fresco dell’ep d’esordio ma maggiormente a
fuoco in ogni aspetto, Unlike here è
la visione del progressive di ragazzi giovani, che cercano di dire la loro in
un genere oramai storicizzato dal tempo, tenendo fede ad alcuni dettami (come
il racconto concept distopico, utilizzato in tempi recenti ma con attitudine
più vintage anche dai romani La Fabbrica dell’assoluto) ma cercando una strada
matura per riuscire a dire qualcosa di personale in un panorama affollato e con
tante band che stanno riscuotendo perlomeno l’interesse degli affezionati del
genere. (Luigi Cattaneo)
Album Trailer