Nati nel 2012 come
gruppo punk rock, i Monkey Ranch formano la line up attuale l’anno seguente
(Iacopo Ferrari voce e chitarra, Francesco Ceccarelli alla chitarra, Jacopo
Geri al basso e Iacopo Sichi alla batteria), con un deciso cambio di sound
verso sonorità più cupe e ispirate al grunge anni ’90. Dopo due demo arriva
oggi Alone, un disco maturo e vicino
proprio alla scena della Seattle che fu, un lavoro che emana proprio quel senso
di dolore che certificava il periodo e che ancora oggi mostra il proprio lato
greve. La band, con un nome assonante a quello dei Monkeywrench di Clean as a broke-dick dog del 1992, band
di Mark Arm e Steve Turner (entrambi Mudhoney e Green River), mostra però di
avere al suo interno anche elementi più spensierati, che si concretizzano in
episodi garage al punto giusto, oltre che con una spruzzata di ironia che tende
ad allontanare la rabbia di fondo. I testi inoltre sono molto sarcastici e
portano ad una visione asociale e desolante che conduce ad un’esistenza vana e
vuota. Ovviamente chi si sente ancora orfano di Alice in Chains e Mad Season
non potrà non trovare Alone come un
disco in cui perdersi completamente, come avveniva con i suoni di quel preciso
momento storico tutto made in USA. L’inizio di Butcher è fulminante. Un attacco Audioslave style ma con rimandi
evidenti ai ’90, così come Without chains
mette in fila il grunge di April’s Motel Room e dei veterani Pearl Jam.
Meno fantasioso il garage rock di Danny
boy, mentre Freedom cita gli
Stone Temple Pilots di Scott Weiland e i sottovalutati Brad di Stone Gossard.
La prima parte del disco si chiude con l’ottima Freedom, una traccia per mood vicina agli Alice in Chains e con una
discreta coda strumentale vagamente psych. Si riparte poi con l’alternative
simil Blind Melon di Unhappy stories,
prima di essere travolti dall’attitudine punk di Picture of you, una sorta di Spin
the black circle del 2017. Gradevole la ballata folk Dance of the witch, che finisce per avvicinarli nuovamente ai Blind
Melon di Shannon Wright, ma la potenza trascinante del grunge riemerge con
impeto in Remember me. Il finale è
affidato alla lunga traccia psichedelica This
one, che mostra un lato desertico e acido molto interessante. Buonissimo
debut per il gruppo di Pistoia, attenti per tutto il platter a donare groove e
dinamismo a composizioni immediate e di grande impatto, che omaggiano ma non
scimmiottano uno degli ultimi momenti in cui il rock divenne colonna sonora di
una generazione. (Luigi Cattaneo)
This one (Video)