I The Badge nascono nel 1971 (il nome è un omaggio ad un brano dei Cream) a
Bernate Ticino (Milano) e solo Angelo Isaia (organo) è uno dei membri ancora
presenti della primigenia formazione che si dedicava ad un pop commerciale
riproponendo brani di successo della scena italiana e internazionale. L’entrata
di Angelo è fondamentale per avvicinarsi all’hard rock di Led Zeppelin, Uriah
Heep e Deep Purple, oltre che al nascente pop progressivo dei New Trolls. Non
mancano i live con nomi importanti del rock settantiano (come la locandina del
festival di Corbetta 1973 riporta) e le citazioni anche su riviste portanti
dell’epoca (Ciao 2001), oltre che
numerosi cambi di line up che segnano quegli anni gloriosi.
La band va avanti per
la sua strada pur non riuscendo a pubblicare nulla e non mancano le esibizioni
in trio nei ’90 in stile Emerson Lake & Palmer e Le Orme, sino alla pausa
avvenuta tra il 2000 e il 2006, quando il gruppo si riforma con nuovi ingressi proponendo
anche brani originali. Nel 2012 arriva la svolta con un demo di sette brani e
la successiva registrazione di questi negli studi di Beppe Crovella degli Arti
& Mestieri, pezzi che vanno a comporre il tanto atteso esordio Le relazioni pericolose (con l’artwork
curato da Gigi Cavalli Cocchi, batterista di Mangala Vallis e Moongarden) con
una line up stabile che vede la presenza di Angelo Isaia (tastiere e voce),
Sergio Isaia (chitarra, basso e voce), Fiore Colombo (chitarra, basso e voce) e
Pino Atzori (batteria).
Il disco è un insieme
di rock progressivo, influenze classiche e hard (distribuito in tutto il mondo
dalla Ma.ra.cash Records), con la suite iniziale (Le relazioni pericolose) di 18 minuti vero manifesto programmatico
del suono vintage dei The Badge, esempio lampante di come coniugare gli
elementi tipici del genere, le orchestrazioni, i riferimenti classici e gli
immancabili sprazzi strumentali. Piacevole la successiva Anni ’70, brano dall’andamento nostalgico per un periodo oramai
svanito, mentre in Ancora un giorno dopo
la fine emerge un intrigante vena hard prog che mi ha ricordato Gli
Spettri, 10 minuti dinamici contraddistinti da un sapiente uso dell’organo,
ritmiche corpose, lirismo e riff ficcanti. Sotto
il cielo d’Africa ci porta nella Genova progressiva di Delirium e New
Trolls, Burokrat è invece
ironicamente amara e con un tessuto musicale frizzante. La seguente Dichiarazione è un brano dotato di un
bell’attacco strumentale che si dipana in un pezzo corale con i synth e la
chitarra acustica fini dialogatori in questa aggraziata composizione dal sapore
folk. La chiusura è affidata a La
leggenda del lago, che torna su binari prog già dall’inizio organistico,
per poi svilupparsi lungo 10 minuti divisi tra hard, atmosfere bucoliche e
guizzi strumentali. Il disco è indubbiamente gradevole, c’è qualche pezzo meno
riuscito ma in linea generale l’album si fa ascoltare con piacere ed è
accostabile a band come Sigmund Freud o Sezione Frenante, che nati nei ’70
hanno visto il coronamento del loro personale percorso solo negli ultimi anni.
Lavoro consigliato soprattutto agli amanti del progressive rock nostrano.
(Luigi Cattaneo)