lunedì 30 gennaio 2017

MAIEUTICA, R.E.S. (2016)


Tornano i padovani Maieutica dopo Logos del 2012 ed è un come back che non potrà che soddisfare quanti amano il connubio tra rock alternativo e prog (seppur questo elemento è minoritario) che attraversa la proposta dei veneti. Oltre alle buone doti di songwriting i Maieutica confermano la capacità di essere coinvolgenti e diretti, con brani mai troppo elaborati e che meriterebbero senz’altro di uscire dall’underground in cui si muove da diversi anni il gruppo. Difatti l’ensemble è attivo da dieci anni e seppure sono una realtà del rock italico, non sono riusciti ancora a spiccare il definitivo volo e d’altronde, in tempi di reality e gare canore impresentabili, l’impresa non appare particolarmente semplice. Già il precedente lavoro aveva raccolto ottimi giudizi un po’ ovunque e l’attività concertistica (culminata con lo spettacolo a cavallo tra musica e danza Trascendenza) ha ulteriormente affinato l’equilibrio tra Thomas Sturaro (voce), Matteo Brigo (chitarra), Riccardo Zago (chitarra), Mirco Zilio (baatteria) e Luca Serasin (basso). Il nuovo R.E.S. è un concept dalle venature hard, figlio anche dei gloriosi ’90 italici, tempi in cui Ritmo Tribale o Litfiba erano sulla cresta dell’onda, complici anche i validi testi in italiano della band, ma non dimentica la lezione dell’art rock, proiettandolo però verso suoni attuali e potenti. Spiccano le emozioni di Spezie con le sue sfumature orientali (e le liriche basate su una poesia di Renzo Cremona), il crescendo da brividi di Anche per quando non ci cercheremo più, l’intensità di Sahara (parte III) e l’epico racconto folk di Maelstrom. Anche gli altri due capitoli di Sahara risultano molto interessanti, con atmosfere esotiche e sezioni strumentali che trovano il loro apice nella seconda parte, in cui è Brigo a fare la parte del leone. Sidawa è dedicata a Thomas Sankara, rivoluzionario leader africano ucciso il 15 ottobre del 1987 in un colpo di stato e il sound diviene inevitabilmente più heavy, ideale per riportare alla memoria un fatto storico. Sesamo (di nuovo con testo basato su una poesia di Cremona) ha sonorità maggiormente intime, Estasi ed orrore trasporta in musica la complessità poetica di Baudelaire (con rimandi a L’albatro e Al lettore), mentre Primo contatto è una ballad sognante di buona fattura. I Maieutica oltre ad essere viscerali e comunicativi hanno curato nel dettaglio l’artwork (realizzato dal collettivo Dusty eye), la registrazione e il missaggio (eseguiti dal grande chitarrista Alex De Rosso), per un risultato finale avvincente e di spessore. (Luigi Cattaneo)

Sesamo (Video)

mercoledì 25 gennaio 2017

DEWA BUDJANA, Zentuary (2016)


Torna il profilico Dewa Budjana con l’ennesimo grande album targato Favored Nations/Moonjune Records e lo fa con un doppio quintessenza della sua arte, dodici pezzi intrisi di virtuosismo (e non potrebbe essere altrimenti quando hai una sezione ritmica formata da Tony Levin, Gary Husband e Jack Dejohnette, musicisti che hanno prestato i loro strumenti a personaggi del calibro di Peter Gabriel, King Crimson, Allan Holdsworth, John Mclaughlin, Keith Jarret e Miles Davis, tutte influenze presenti nel disco), musica tradizionale indonesiana, fusion e rock progressivo. Zentuary non cambia le coordinate dei lavori precedenti e finisce anzi per accentuare tutte le caratteristiche che contraddistinguono le sue produzioni, con brani molto strutturati (tra i 7 e i 10 minuti di durata) che faranno la felicità di quanti amano la fusion più intricata. Questo come back ha bisogno di molta attenzione per essere metabolizzato, in quanto lunghezza e stile non permettono un ascolto distratto e inoltre a volte manca quella fluidità che maggiormente si ravvisava in Surya Namaskar e Hasta Karma (da avere entrambi). Tutta questa elaborazione è ovviamente una manna dal cielo per chi adora certe strutture e qui c’è anche anima, un elemento che non manca mai nei dischi di Budjana. Fraseggi articolati e cura per gli arrangiamenti sono una sua costante, così come contornarsi di interpreti eccelsi che sintetizzano alla perfezione le sue innumerevoli idee (a volte persino troppe quelle esposte) e in quest’ottica vanno lette le partecipazioni di musicisti come Danny Markovich, sassofonista dei Marbin presente in Solas PM e Ujung Galuh. La prima ha dei delicati passaggi jazzati, che vedono Markovich creare momenti molto interessanti, mentre la seconda punta maggiormente sul dinamismo e sul groove, con qualche reminiscenza della Mahavishnu Orchestra e dei Return to forever. Markovich non è però il solo sassofonista presente in Zentuary, perché in Manhattan temple troviamo Tim Garland (Chick Corea, Bill Bruford), in un brano tipicamente rock fusion, molto sentito e caldo. In Suniakala c’è invece Guthrie Govan (The Aristocrats, Steven Wilson), che si prodiga in un solo di chitarra che spezza il climax generale della traccia. Al flauto indonesiano si muove Saat Syah, dapprima in Rerengat langit, dove c’è una certa componente world miscelata con la potenza del tocco di Budjana e una carica ritmica non indifferente e poi in Dedariku, brano dove il jazz incontra una componente folk curiosa su cui Dewa si prodiga per lasciare il suo marchio. Zentuary è l’ennesima conferma del percorso intrapreso dal chitarrista indonesiano e di quanta qualità ci sia anche in paesi mai troppo chiacchierati dal punto di vista musicale. (Luigi Cattaneo)

Solas PM (Video)

venerdì 20 gennaio 2017

DASIA, Dasia (2016)


I Dasia sono un power trio strumentale proveniente dal Friuli Venezia Giulia formatosi nell’agosto del 2015 dall’incontro tra Edgardo Mauroner (chitarra), Luca Stocco (batteria) ed Elettra Pizzale (basso). I tre sono dediti ad un post rock inquieto debitore del dark prog, e in una trentina di minuti circa delineano le coordinate di uno stile che il sottobosco italiano conosce alla perfezione. L’ep da poco pubblicato non disdegna passaggi progressive calibrati e mai sopra le righe, spinte hard dettate da una sezione ritmica bella compatta, riff chitarristici intensi e qualche spunto elettronico gestito tramite synth e samples. Il disco pur essendo un esordio assoluto (di una band piuttosto giovane tra l’altro) ha parecchie idee interessanti, un climax generale emozionale e suggestivo ma anche un certo dinamismo dovuto ad una componente math che trapela in alcuni epici momenti. I brani hanno le giuste atmosfere, vengono calati in strutture dai tratti sperimentali, che non lasciano spazio a compromessi, prediligendo un approccio post dai contorni oscuri. Chi apprezza band underground come 42DE o Pin Cushion Queen (in una chiave maggiormente prog) ha qui la possibilità di ritrovare punti di contatto con realtà sotterranee intelligenti e meritevoli di attenzione. Gruppo sicuramente da sostenere (potete comprare il lavoro tramite la loro pagina facebook!) e da tenere d’occhio per il futuro. (Luigi Cattaneo)


album Dasia - Dasia

lunedì 16 gennaio 2017

DESHODY, 89th (2016)


Il djent è un genere che negli ultimi anni sta raccogliendo sempre più consensi, soprattutto tra i giovani, mostrando band che pur partendo da concezioni musicali diverse si contraddistinguono per grandi doti tecniche e riferimenti più o meno espliciti al progressive. Tolti alcuni grandi exploit come Periphery, Protest the hero o Tesseract, c’è un fittissimo panorama underground che si sta sviluppando un po’ ovunque e il ritorno dei Deshody conferma la bontà di un progetto stimolante e ricco di entusiasmo. A distanza di soli due anni da Collapsing Colors, l’ensemble di Sora firma con 89th un album estremamente potente e versatile, ricco di djent, deathcore e influenze elettroniche. Tecnica e melodia si muovono indissolubilmente, elementi che contraddistinguono un concept misterioso e non facile da interpretare, un racconto personale che si serve della fantasia per narrare situazioni emozionali sentite e coinvolgenti. I brani si susseguono mantenendo impatto e cura per il songwriting, ben distribuiti tra assalti deathcore, sfumature prog e passaggi elettronici vibranti (Eternal Mark). Una furia controllata che si stempera in episodi ad ampio respiro melodico come Revelations, con l’arrangiamento pianistico di Gabriels o Uncovering, che vede invece la partecipazione di Ryan Kirby dei Fit for a King alla voce. Giovanni Sanna e Domenico Jonathan Paesano formano un ideale coppia di chitarristi per le evoluzioni ritmiche di Gianni Marchelletta alla batteria e Matteo Porretta al basso, senza dimenticare l’importanza, anche strutturale, del dj Mirko Gatti e la presenza vocale di Domenico Gesmundo, autore di una prova impressionante in growl ma convincente anche nel cantato pulito. 89th è un disco chiaramente pensato per i fan del metal ma può trovare qualche estimatore anche tra gli ascoltatori più aperti, magari quelli che riescono a passare senza preclusione dai Genesis ai Meshuggah e che hanno la capacità di cogliere il complesso lavoro che c’è dietro un album così stratificato e ricco di spunti diversi tra loro. Chi invece già ama gruppi come Born of osiris, Uneven structure o Apothecary non deve avere dubbi nel procurarsi una copia di 89th. (Luigi Cattaneo)

89th (Video)

 

giovedì 12 gennaio 2017

ANTILABÈ, Diacronie (2011)


Scoprire a distanza di anni un album e rimanerne affascinati. È quanto può succedere ascoltando Diacronie, secondo album degli Antilabè (Carla Sossai alla voce, Luca Crepet alla batteria e alle percussioni, Adolfo Silvestri al basso, alla chitarra classica, al bouzouki e al contrabbasso, Luca Tozzato alla batteria e alle percussioni e Marino Vettoretti alle chitarre e alle tastiere) datato oramai 2011 e che pur presentando richiami al rock progressivo è inquadrabile soprattutto all’interno del circuito world più colto. Un concetto quasi astratto, che negli ultimi anni ho ritrovato in band interessantissime come Abash, Sineterra ed Orchestra Joubes (giusto per dare qualche piccola indicazione), accostabili per spirito e concezione a questo idioma world progressive che fonde jazz, etnica e spiragli classici. I testi, ispirati a miti e leggende, l’utilizzo di lingue antiche come quella maya o egizia, creano un connubio elegante e raffinato. Già l’iniziale Esperi è un crogiuolo delicato su cui volteggia la tromba di Mike Applebaum, interprete che abbiamo avuto modo di apprezzare nei dischi solista di Stefano Panunzi e in Words are all we have dei Fjieri. Come un canto è più vicina alla forma canzone e vede la presenza del bravissimo Fabio Calzavara al sax, mentre Idionimago si sviluppa sulle trame di marimba (suonata da Crepet), bouzouki e fisarmonica (che vede impegnato Christian Tonello). Se Quetzal ci trasporta nella leggenda del popolo Maya, Notte napoletana ci conduce in una città dai mille colori, così come Hadhà As-Sabàh II sembra la soundtrack di una favola araba. Niw.t Nt Nhh ci porta invece lungo le sponde del Nilo, mostrando la grande varietà di soluzioni in possesso dei veneti, prima dell’eccellente ritorno di Calzavara in Alea e dell’africana melodia di djembe che contraddistingue l’ottima O Mama. La chiusura di Storie mediterranee regala una nuova apparizione di Applebaum e la celestiale arpa di Irene De Bartolo, degno finale di un disco dalle atmosfere sempre coinvolgenti e di grande classe. (Luigi Cattaneo)

Alea (Video)

venerdì 6 gennaio 2017

THE RED ZEN, Void (2011)


È di qualche anno fa questo esordio di spessore in casa della sempre illuminata Ma.Ra.Cash Records, etichetta che da sempre promuove progetti davvero di grande valore. In questo caso viene dato libero sfogo alla fantasia di alcuni straordinari interpreti, bravissimi nel dar vita ad un lavoro strumentale che attinge prevalentemente dal rock progressivo, dalla fusion e dal jazz. Il quartetto, formato da Ettore Salati (The Watch, Alex Carpani) alle chitarre e al sitar, Angelo Racz (preparatissimo sessionman) alle tastiere, Roberto Leoni (The Watch) alla batteria e Nicola Della Pepa (altro importante turnista) al basso, si è formato nel 2009 e dopo 2 anni si è proposto con un disco spumeggiante, Void, esempio di classe sopraffina mai fine a sé stessa ma pensata in funzione della riuscita del brano. Quindi niente suite chilometriche perché i The Red Zen prediligono una scrittura robusta e incisiva. Esemplare l’interplay tra le tastiere di Racz e la chitarra di Salati nell’iniziale Cluster, dove risulta fondamentale anche una sezione ritmica sempre pronta a reggere le scorribande sonore dei due compagni. Bellissimi i suoni ottenuti da Racz, semplicemente meraviglioso Salati nei suoi momenti solistici, il brano presenta quelle che saranno le sonorità guida dell’intero lavoro. Hot wine viene introdotta dal basso pulsante di Della Pepa, salvo poi esplodere in sonorità che tanto mi hanno ricordato jam band come gli Ozric Tentacles, quanto la fusion progressiva dei Tribal Tech di Scott Henderson per un risultato davvero incredibile. Colpisce soprattutto la freschezza della composizione e di come riesca ad avvolgere costantemente l’ascoltatore, che finisce per conoscere ed apprezzare con facilità anche i passaggi più arditi, segno della grande sensibilità musicale e dell’attenzione posta dal quartetto. Una bella ritmica trascinante segna Slapdash dance, con Racz davvero abilissimo nel destreggiarsi tra i suoni delle sue tastiere e Salati impegnato in un momento di pura psichedelia con il sitar. Dopo tre strumentali davvero molto appassionanti arriva l’unico momento in cui fa capolino la voce, quella convincente di Joe Sal in Alexa in the Cage, brano dai risvolti drammatici e malinconici che posto a metà lavoro serve anche per spezzare e cambiare l’atmosfera generale, oltre che mostrare come il gruppo possa intraprendere in futuro anche una strada differente da quella esclusivamente strumentale. Si arriva così a Into the void che rappresenta uno dei punti più alti del disco, di una bellezza struggente, soprattutto per la prova di Salati che con la sua chitarra disegna scenari affascinanti e si lancia in un momento strumentale funzionale come un chorus. Dopo tanta grazia il calo d’intensità non arriva e con Who’s bisex? la band si mantiene su standard piuttosto alti e ispirati e si avvicina nuovamente alla fusion e al jazz di grandi gruppi come Mahavishnu Orchestra e Return to Forever. Le ritmiche di Leoni e Della Pepa si fanno intricate, i synth si fanno sentire ma non risultano mai invadenti e Salati si lancia in soli fantasiosi e d’impatto. In Return to Kolkata  il sitar apre la strada a quelli che saranno quasi 8 minuti di furia progressiva in cui sono avvertibili echi psichedelici, fusion, jazz rock e tutte quelle influenze che hanno portato incredibilmente a qualcosa di fresco e accattivante, con un risultato mai stantio o prevedibile. Intensa e vibrante anche la conclusiva Spin the wheel che vede ancora una volta Salati autore di una grande prova, coadiuvato dal delicato tocco di Racz e da un songwriting generale in cui si evidenzia la grande dimestichezza di tutti i coinvolti al progetto The Red Zen. Come traccia finale la Ma.Ra.Cash piazza la versione strumentale di Alexa in the Cage, che si lascia apprezzare ma non raggiunge i livelli di quella cantata.  In definitiva direi che ci si trova di fronte ad un progetto estremamente interessante per la qualità della proposta, la cura del particolare, l’enorme bravura dei musicisti coinvolti che riescono però a stare lontani dalla prolissità e dal virtuosismo fine a sé stesso. Questi interpreti hanno avuto la capacità di sviluppare un loro discorso musicale attraverso un suono arioso e accattivante. Il risultato è di quelli che abbagliano e che lasciano ascoltare il disco per il gusto di scovarci sempre qualcosa di nuovo e di non ancora percepito. Mai ripetitivo pur essendo quasi interamente strumentale, melodico, rifinito, questi The Red Zen rappresentano una vera e propria sorpresa. (Luigi Cattaneo)

Void (Album teaser)


 

domenica 1 gennaio 2017

IL CASTELLO DI ATLANTE, Arx Atlantis (2016)





Attivi da più di quarant’anni (anche se l’esordio avviene solo nel 1992 con il superbo Sono io il signore delle terre a nord), spesi a farsi garanti di quel lontano suono settantiano carico di magia e fascino, torna oggi Il Castello di Atlante con il nuovo Arx Atlantis, un album ovviamente pieno di rock progressivo d’altri tempi. Pur con alcuni cambi di line up (ai vecchi componenti Aldo Bergamini, impegnato alla chitarra e al canto, Dino Fiore come sempre fantasioso al basso e Paolo Ferrarotti, pigmalione diviso tra tastiere, voce e batteria, si sono aggiunti Andrea Bertino al violino, Davide Cristofoli al piano e alle tastiere e Mattia Garimanno alla batteria) lo stile del Castello rimane immutato, con l’interplay costante tra violino e tastiere, i fraseggi di Bergamini mai improntati sulla mera tecnica ma caldi e suggestivi e un cantato che non ha un padrone (la band non ha mai avuto un cantante di ruolo dividendosi spesso le parti vocali) come trademark del gruppo vuole. I pezzi scorrono via gradevolmente pur se molto strutturati (basti ascoltare le lunghe e ottime Il vecchio giovane e Il tesoro ritrovato), con ritmiche solide della nuova coppia Fiore-Garimanno, i sinfonismi pregiati di Bertino e Cristofoli e il solito apprezzabile lavoro di Bergamini. Elementi riversati nella valida opener Non ho mai imparato e in Ghino e l’abate di Clignì, brano che vede la partecipazione di Tony Pagliuca alle tastiere ma che mi ha entusiasmato meno rispetto agli altri. Molto meglio Il tempo del grande onore che vede al violino Massimo Di Lauro, un fresco ex della band che conquista da subito grazie al suo inconfondibile tocco. Arx Atlantis è l’ennesimo ritorno di un gruppo immortale, ancora tra i migliori in ambito vintage prog e garanzia totale per gli amanti di questo sound. (Luigi Cattaneo)

Non ho mai imparato (Video)

IL PARADISO DEGLI ORCHI, Annunciato Tour in Canada e USA





Domenica 21 Maggio 2017 IL PARADISO DEGLI ORCHI salirà sul prestigioso palco del TERRA INCOGNITA FESTIVAL di Quebec City (la città del prog) in Canada, uno dei più importanti meeting al mondo nel settore della musica progressiva. Sullo stesso palco ci saranno anche i Comedy of Errors (UK) e gli Höstonaten (ITA).
La band porterà oltreoceano il loro ultimo lavoro intitolato IL CORPONAUTA, prodotto da Fabio Zuffanti e pubblicato con AMS Records: un connubio di progressive, psichedelia, indie, pop definito dalla band come Prop(K) music.
La band insieme a Zuffanti si esibirà poi in tre concerti negli USA: il 23 Maggio alla NJ Proghouse in New Jersey, il 24 all’ETG Cafè di New York e il 25 all’Orion Studio di Baltimora.


CONCERTI DEL MESE, Gennaio 2017

Domenica 1
·Old Rock City Orchestra a Bolsena (VT)

Venerdì 6
·Phoenix Again a Flero (BS)
·Saint Just a Catanzaro

Mercoledì 11
·Roberto Cacciapaglia a Ivrea (TO)
·Sezione Frenante al Barone rosso di Spinea (VE)

Giovedì 12
·Anacondia+Sintonia Distorta a Milano
·Roberto Cacciapaglia a Biella

Venerdì 13
·Audio'M a Genova
·Medieval Live eXperiment a Roma

Sabato 14
·Audio'M a Trofarello (TO)
·Agorà alla Casa di Alex di Milano

Domenica 15
·“Concerto per Marcello Vento” a Roma



  Lunedì 16
·Eris Pluvia a Carrara

Mercoledì 18
·Epica a Trezzo s/Adda (MI)

Venerdì 20
·Patrizio Fariselli a Milano
·Napoli Centrale a Ostuni (BR)
·Syndone a Milano
·V. De Scalzi+Casa dei Matti a Catanzaro
·Reverie a Milano

Sabato 21
·Patrizio Fariselli a Milano
·Napoli Centrale a Bari
·Locanda Delle Fate a Settimo Tor. (TO)
·Dancing Knights a Roma
·The Watch a Genova
·Oberon+Mad Men Moon a Palermo
·La Batteria a Roma
·Open Room Prog a Paderno Dugnano (MI)
·Arturo Stàlteri a Cagliari

Domenica 22
·Patrizio Fariselli a Milano
·Glincolti a Trebaseleghe (PD)
·Corde Oblique a Ruviano (CE)

Mercoledì 25
·New Trolls a Gorgonzola (MI)

Giovedì 26
·New Trolls ad Alessandria
·Oteme a Pistoia

Venerdì 27
·Trewa a Borgo Ticino (NO)
·The Watch a Genova
·ELP Project a Roma
·Silver Key+Ad Maiora al Barrio's di Milano

Sabato 28
·Giorgio “Fico” Piazza alla Casa di Alex di Milano
·Le Orme a Civitavecchia (Roma)
·Anyway a Trofarello (TO)
·Supper's Ready a Ortisei (BZ)

Domenica 29
·Le Orme a Perugia

Lunedì 30
·Dream Theater a Roma

Martedì 31
·Dream Theater a Roma