giovedì 28 dicembre 2017

ECHOTIME, Side (2017)


A quattro anni di distanza dal già valido Genuine tornano gli Echotime con Side, buonissimo lavoro tra prog metal e rock opera in cui i ragazzi hanno pescato a piene mani da alcuni mostri sacri del genere come Queensryche, Dream Theater, Rush, Savatage, Royal Hunt e Kamelot. Tra brani potenti, ricchi di melodia e dialoghi che arricchiscono la storia narrata, la band ha sfornato una piccola gemma nell’affollato panorama heavy nazionale, un crossover di sonorità dove la forma canzone non viene mai persa di vista seppure suonata con ovvie doti tecniche. Nel caso specifico la forma è più quella della rock opera a dire il vero, sempre affascinante nel suo incedere e la protagonista, Lily, diviene la nostra guida lunghi i 18 momenti che caratterizzano l’album (ma tanti sono dialoghi di breve durata). Mr Valentine apre con decisione il platter, mostrando un prog metal dal piglio melodico ma deciso e la successiva The lighthouse conferma le capacità del quintetto, con il bravo Alex Cage alla voce sostenuto dalla potente sezione ritmica formata da Federico Fazi alla batteria e Stefano Antonelli al basso, nonché dal valido Andrea Anastasi alla chitarra e dalle tastiere di Filippo Martignano, che armonizza anche i passaggi più duri ed enfatizza quelli più drammatici. Sickness accentua il versante heavy prog della proposta, Hyms of glory presenta splendidi tratti sinfonici ed epici, mentre The orphanage è uno strumentale che mette in luce le qualità dei singoli musicisti. The bend of love ha un’atmosfera grandeur da musical, The river è una ballata piena di pathos, prima di Stream of life, altro episodio davvero splendido e commovente. Finale affidato a Freakshow (the), chicca posta in chiusura di un disco molto buono, compatto e ispirato dall’inizio alla fine e che potrebbe piacere non solo agli amanti del prog metal ma anche a coloro che sono abituati a suoni più morbidi. (Luigi Cattaneo)
 
The lighthouse (Video)
 

mercoledì 27 dicembre 2017

YPNOS, Beholder (2017)



Gli Ypnos nascono nel 2010 con l’intento di dare voce al diverso background che anima i cinque musicisti che prendono parte al progetto (Valentino Bosi alle tastiere, Giacomo Calabria alla batteria, Marco Govoni al basso, Davide Morisi alla chitarra e Christian Peretto alla voce). Beholder è il loro primo full lenght, un lavoro di prog metal sicuramente derivativo (Dream Theater su tutti) ma che mostra un quintetto dalle ottime capacità tecnico-compositive e una scrittura scorrevole seppure ricca di stratificazioni, l’ideale insomma per i tanti appassionati di questo stile. La Sliptrick si dimostra sempre attenta nel dare voci a certi gruppi di qualità, qui impegnati a sciorinare il decalogo del progressive, senza dimenticare qualche puntata nel filone settantiano, soprattutto quando si decelera in contesti meno aggressivi. Cambi di tempo e di atmosfera caratterizzano un po’ tutto il platter, con Tyranny suite (divisa in sette movimenti) sintesi del pensiero Ypnos e piccolo gioiello del concept sull’arco vitale dell’uomo e del suo essere succube della propria emotività in ogni frangente dell’esistenza. Le tastiere di Bosi enfatizzano i passaggi più drammatici del racconto, ricordando anche Metropolis pt.2: Scenes from a memory dei Dream Theater, la coppia ritmica si esibisce in virtuosismi congeniali al fluire dell’opera, mentre Morisi con i suoi riff e i soli caratterizza l’afflato hard dei dieci episodi, su cui emerge Peretto, vocalist vicino proprio a James LaBrie. Il disco si segnala per momenti di grande eleganza, passaggi molto tirati, ballate e atmosfere commoventi, tutti elementi tipici del genere ma che quando sono proposti e pensati in questo modo risultano convincenti ed estremamente efficaci. (Luigi Cattaneo)
 
Qui di seguito il link per ascoltare l'intero album
 

lunedì 25 dicembre 2017

POISONHEART, Till the morning light (2017)


Till the morning light è l’album d’esordio dei Poisonheart (dopo l’ep Welcome to the party), gruppo nato nella seconda metà degli anni duemila come cover band glam punk rock, il classico percorso che porta ora i bresciani con questo debut ad abbracciare territori sleaze e hard rock, con una leggera componente dark che non dispiace affatto. Ovviamente non vi sono novità in un sound consolidato nel tempo ma Fabio Perini (voce e chitarra), Andrea Gusmeri (chitarra ex Dreamhunter), Giuseppe Bertoli (basso) e Francesco Verrone (già alla batteria con i Needlework) sanno il fatto loro, hanno la giusta esperienza e la mettono al servizio di brani riusciti come l’iniziale (You make me) Rock hard, manifesto programmatico del disco che andremo ad ascoltare. Flames & Fire ha una vena heavy dark tratteggiata dalla chitarra aggressiva di Gusmeri, Anymore ha nel chorus il proprio punto di forza, sostenuto da ritmiche secche e potenti, mentre Lovehouse è un r’n’r diretto e senza troppi fronzoli, perfetto in sede live. Shadow fall continua ad omaggiare un certo suono ottantiano, risultando ancora una volta piacevole nell’amalgamare impeto e melodia. Baby strange è una bella ballata dal sapore folk, che mostra come i lombardi sappiano anche scrivere brani di tutt’altra pasta, ma la successiva Under my wings torna subito su territori heavy e non sono da meno anche Out for blood e Hellectric Loveshock, che confermano l’amore per i vari Motley Crue, Alice Cooper e Lizzy Borden. Finale affidato a Pretty in black, una gradevole conclusione per un album rock che ha il piglio del punk e del glam e che può sicuramente incuriosire chi è legato alle radici di questo stile. (Luigi Cattaneo)

Album Teaser

https://www.youtube.com/watch?v=LfyjpaKxMuo

domenica 24 dicembre 2017

PENNELLI DI VERMEER, Misantropi felici (2017)


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I Pennelli di Vermeer (Pasquale Sorrentino alla voce e alla chitarra, Stefania Aprea alla voce e alla chitarra acustica, Michele Matto al basso e Marco Sorrentino alla batteria e alle percussioni) festeggiano il decennale della loro nascita con Misantropi felici, disco che esce a tre anni da Noianoir e che si concentra su una scrittura che guarda al cantautorato e al pop d’autore, con testi intimisti, capaci di raccontare sentimenti, paure e frenesie quotidiane. Il platter inizia con la ritmata e ironica Cerco un buco nella settimana, che mi ha ricordato qualche episodio dei Med in Itali, un pezzo tirato e amplificato dai synth di Raffaele Polimeno (buona la sua prova anche negli interventi di piano e organo lungo tutto il percorso). Si prosegue con la battistiana ballata Nel mare della sera, in cui si fondono le voci di Sorrentino e della Aprea, sottolineate dai fiati di Charles Ferris, dal violoncello di Catello Tucci e dal contrabbasso di Fulvio di Nocera (questi ultimi due li ritroveremo in parecchi momenti dell’opera). Non si vive soltanto d’amore cita il Battiato di Orizzonti perduti ma viene filtrata con l’urgenza pop di Max Gazzè, La luna tutto vede spinge sul versante folk con il lavoro pregevole di Tucci e di Nocera, mentre a metà album Ti cercherò ti troverò è una gradevole ballad che vede la calda voce di Sorrentino protagonista. Ora no! è un rock canzonatorio, un grido verso tutto ciò che non piace, un brano piacevole in cui tornano i fiati di Ferris. Anche Sono sincera è caratterizzato da un approccio più ruvido, seppure sempre nell’ambito del pop rock, ed è cantata dall’Aprea, che è presente insieme a Sorrentino nell’ottima title track, traccia delicata e piena di pathos. Ci si avvicina al finale con il riuscito folk cantautorale di  Mentre tu, che anticipa la conclusiva Ho perso il pelo, nuovamente su amabili binari pop rock. Mi preme sottolineare anche la presenza di musicisti come Pasquale Palomba e Kristian Maimone, due ottimi chitarristi che hanno riempito ulteriormente il suono in parecchie song. Misantropi felici è un album riuscito, legato all’estetica pop ma di quello raffinato, con una cura per gli arrangiamenti che finisce per fare la differenza e fa capire come la grandezza di certi musicisti non sia dettata da soli di lunghezza chilometrica ma dalla fantasia esecutiva e dalla capacità di donare eleganza e respiro a brani sì di semplice lettura ma non di facile costruzione. Un ensemble che meriterebbe molto di più a livello nazionale, perché vi sono tutte le carte in regola per piacere ad un pubblico decisamente più ampio di quello che sinora hanno conquistato. (Luigi Cattaneo)

sabato 23 dicembre 2017

ROZ VITALIS, Lavoro d'amore (2015)


È del 2015 l’ultimo disco dei Roz Vitalis, band attiva dal 2001 sotto la guida del bravissimo tastierista Ivan Rozmainsky (completano la ricca line up Vladimir Efimov e Vladimir Semenov Tyan Shansky alle chitarre, Alexey Gorshkov alla tromba, Philip Semenov alla batteria, Ruslan Kirillov al basso e Vladislav Korotkikh al flauto) e giunta prolificamente al nono album in studio. Lavoro d’amore, curioso il titolo in italiano, esce per la nostrana Lizard e ricalca lo stile romantico e sinfonico a cui il gruppo di San Pietroburgo ci ha deliziosamente abituato, concependo un platter strumentale capace di conquistare sin dai primi ascolti. L’iniziale The acknowledgement day è un ottimo biglietto da visita, segnata dal tocco delicato di Korotkikh e da quello altrettanto raffinato del leader, così come piuttosto evocativa è la title track. Il suono si ispessisce nel dark prog di Unanticipated, dove sorniona si fa strada la tromba di Gorshkov, poi sostituita dal flauto nella maggiormente radiosa Il vento ritorna, composizione con reminiscenze Jethro Tull. There are the workers of iniquity fallen mette in luce le grandi doti tecniche del settetto e lo stesso fa Need for someone else, frangente più cupo in cui fa la parte del leone il solenne suono dell’organo. Invisible animals è un altro grande momento di prog rock sinfonico, una scossa elettrica dall’andamento più frenetico che trova il suo contraltare nella melodia estatica di Every branch that beareth fruit e nella tromba della malinconica Ascension dream (Peak Version). Torna su binari più robusti What are you thinking about (divisa in due parti a formare una sorta di suite), prima del finale di Ending, un breve bozzetto elegante e cameristico. Chi ama band come Karfagen, Inner Drive e Worm Ouroboros non può lasciarsi sfuggire Lavoro d’amore, un disco pieno di spunti e intuizioni. (Luigi Cattaneo)
 
Album Teaser
 

venerdì 22 dicembre 2017

ARTEMISIA, Rito Apotropaico (2017)

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Nati nel 2006, i goriziani ArtemisiA da subito si prodigano nella composizione di brani propri e arrivano in breve tempo a completare ben due dischi, Artemisia e Gocce d’assenzio. Dopo Stati alterati di coscienza e un silenzio di quattro anni, è ora la volta di Rito Apotropaico, con la line up formata da Anna Ballarin (voce), Vito Flebus (chitarra), Ivano Bello (basso) e Gabriele Gustin (batteria). L’inquietante ma bellissima cover è un bel biglietto da visita per calarci nelle atmosfere di questo breve come back (poco più di trenta minuti) formato da otto pezzi intensi e caratterizzati da un approccio stoner che non dimentica mai l’aspetto melodico e comunicativo. Rito Apotropaico è un lavoro greve, crudo, volutamente oscuro già a partire da Apotropaico, brano denso e compatto, con il Soul Circus Gospel Choir introduttivo diretto da Massimo Devitor. Delicato il tema di Il giardino violato, l’argomento pedofilia viene trattato attraverso un suono che denota forza e potenza, mentre con Tavola antica ci si perde nel mistero dell’aldilà sempre nel segno di una musicalità energica e poderosa. La matrice stoner prevale nella rocciosa Iside, seppure è presente nuovamente il coro di Devitor, prima della sorpresa acustica di La guida, un momento inaspettato dopo tanta elettricità. La preda torna su versanti saturi e vigorosi, Regina guerriera è improntata sulla figura di Artemisia di Alicarnasso e presenta qualche sfumatura progressive, mentre il finale di Senza scampo è una drammatica song sull’orrore dell’Olocausto e vede impegnato Carlo Marzaroli al violino, chicca conclusiva di un ritorno assolutamente positivo. (Luigi Cattaneo)
 
Senza scampo (Video)
 

martedì 19 dicembre 2017

habelard2, Hustle & Bustle (2017)


Hustle & Bustle è il quarto disco del prolifico Sergio Caleca e del suo progetto habelard2, che solo qualche mese fa ci aveva deliziato con Maybe, l’album per ora più convincente di questo suo percorso da solista (il compositore è anche tastierista degli Ad Maiora). Rispetto al lavoro precedente, che era stato registrato insieme ad altri ottimi musicisti, Caleca ripropone lo schema di Qwerty e Il ritorno del gallo cedrone, episodi in cui si era destreggiato come one man band suonando tutti gli strumenti. Anche in questo come back il milanese forgia un’ora di prog strumentale di buona fattura in cui emerge il suo amore per Claudio Simonetti, P.F.M., Keith Emerson, i Genesis e la scena di Canterbury, influenze che traspaiono con estro e una certa raffinatezza estetica, donando all’opera un risultato complessivo godibile e che mostra la preparazione dell’autore. Si parte con Frère Jacques, brano in cui viene citato il canone francese Fra Martino Campanaro, abbellito dalle tastiere che riproducono sax, tromba e organo. Dolce è caratterizzata da una ritmica di basso su cui Caleca libra con le sue tastiere, così come non dissimile è il lavoro su Giada, in cui appare anche il suono del flauto. Progressive sinfonico di eccellenza in Alice, prima della lunga e ricercata Folk e Martello e di Tragico nr.2 in cui riappare la chitarra elettrica. Celtic dream, lo dice il titolo, è un omaggio all’Irlanda dettato dalle sonorità tipiche di quelle terre, qui riprodotti con le immancabili tastiere. DeboleFortePiano vede invece il nobile strumento di 88 tasti protagonista, 22 corde ha nella chitarra acustica l’elemento sorpresa tenuto sinora nascosto, mentre Cinc ghei pusè ma rus è più vicina al jazz rock e si mantiene su buoni livelli. Gli anni ’70 si palesano ancora con più forza in Seventies e non sono da meno le escursioni prog della title track e il nobile sinfonismo di Finalino, che chiude questo ritorno stimolante e ancora una volta appetibile dagli amanti di certi suoni. (Luigi Cattaneo)
 
Qui di seguito il link per ascoltare e acquistare l'album
 

sabato 16 dicembre 2017

MONNALISA, In principio (2017)


La band si forma nel 2009 con il nome di Monnalisa Smile, monicker che viene accorciato in quello attuale dopo aver assemblato omaggi ad alcuni giganti del rock come Deep Purple, Led Zeppelin, Queen e Rainbow, gruppi da cui hanno attinto anche in fase di songwriting. Fonti d’ispirazione a cui hanno aggiunto il loro amore per il progressive rock e l’heavy di Porcupine Tree, Rush, Dream Theater e King Crimson, mantenendo però forte l’identità italiana decidendo di cantare nella nostra lingua, una scelta stilistica che mi ha ricordato i Diamante e i Bornidol. In principio è quindi il loro primo full lenght, registrato negli Opal Arts Studio di Fabio Serra (leader dei Rosenkreutz) e mostra una band con idee già chiare e una scrittura che abbina heavy, prog e una grossa dose di melodia, con chorus immediati e di grande effetto che completano un quadro decisamente gradevole. Edoardo Pavoni (batteria), Manuele Pavoni (basso), Filippo Romeo (chitarra), Giovanni Olivieri (voce, tastiere e chitarra acustica) firmano con In principio un lavoro dove emergono tutte le loro influenze, già a partire dall’iniziale Specchio, un pezzo vibrante e con un break centrale strumentale di chiara ispirazione hard prog davvero avvincente. Il segreto dell’alchimista continua sulla stessa falsariga della precedente, con l’autorità heavy dei riff di Romeo e melodie progressive dettate soprattutto dalle tastiere di Olivieri, bravo interprete anche dal punto di vista vocale. Catene invisibili pone l’accento sul versante hard rock, con le tastiere che creano tappeti su cui la band non concede un attimo di respiro, mostrando di saperci fare anche quando c’è da aumentare potenza e aggressività. I quasi sette minuti di Infinite possibilità sono forse l’apice progressivo dei veronesi, che costruiscono un bozzetto meno immediato ma decisamente valido, soprattutto per certi ricami raffinati e curati. Ottima la strumentale Oltre, così come la lunga Viaggio di un sognatore, che con le due song precedenti va a formare un trittico progressivo di tutto rispetto. Chiude Ricordi, episodio dai tratti più tipicamente rock e piacevole conclusione di un disco fresco e molto dinamico. (Luigi Cattaneo)
 
Oltre (Video)
 

venerdì 15 dicembre 2017

BASTA! , Elemento Antropico (2017)


Primo full lenght per i Basta! dopo il validissimo ep Oggetto di studio del 2012, un percorso che prosegue laddove si era fermato, all’insegna del rock progressivo strumentale (fanno eccezione alcune parti del concept narrate dalla voce di Riccardo Sati), scelta che avevano abbracciato anche nel precedente lavoro e che risulta ancora una volta congeniale alla singolare formazione (Damiano Bondi alla diamonica e alle tastiere, Roberto Molisse alla batteria e alle percussioni, Saverio Sisti alla chitarra, Giacomo Soldani al basso e Andrea Tinacci al clarinetto e al sax). I toscani fanno ovviamente dell’interplay tra diamonica, tastiere e fiati un punto di forza ma è l’insieme ad essere convincente, capace di oscillare tra i nomi tutelari di un certo italico prog settantiano e istanze di hard a stelle e strisce. Tra ritmiche dispari e fraseggi elettrici, i Basta! guardano indietro tenendo ben a mente il presente del genere, forti delle loro doti comunicative e di una tecnica di base non indifferente (basti ascoltare Il muro di Ritmini Strambetty o Zirkus). Capaci di essere delicati ma decisi, mostrano come l’unità di intenti sia un pregio imprescindibile, balzando lungo decenni di rock progressivo con la classe e la sicurezza dei veterani e tutto ciò traspare in episodi notevoli come Entro l’antro e L’uomo cannone. Tutto l’album, pur nella sua particolarità, è molto fluido, sia quando spinge il piede sull’acceleratore sposando ritmiche hard (l’interessante verve di Schiacciasassi), sia quando indugia in momenti di passaggio (Intro, con Fabio Zuffanti alla voce), confermando quanto di buono e interessante era emerso nel precedente platter. Rispetto al recente passato l’approccio appare meno folle, più ragionato e consapevole, elementi che hanno determinato un disco maturo e che mette in luce un potenziale ulteriore, segno che la band ha tutte le carte in regola per rimanere a lungo nel panorama prog attuale. (Luigi Cattaneo)
 
Il muro di Ritmini Strambetty (Video)
 
 
 

lunedì 11 dicembre 2017

LIQUID SHADES, Reaching for freedom (2017)


Nati circa dieci anni fa, i Liquid Shades si sono sempre proposti come una band devota al rock progressivo (italiano e non) dei settanta, cercando con rispetto e laddove possibile di ampliare il loro spettro sonoro. Dopo un silenzio di tre anni (risale al 2014 il precedente ep), eccoli con il primo full lenght, Reaching for freedom, esordio sulla lunga distanza che non fa altro che confermare il buono stato di salute del prog italiano (seppure in questo caso cantato quasi sempre in inglese). Marco Gemmetto (chitarra e voce), Diego Insalaco (chitarra e tromba), Lorenzo Checchinato (sax alto e corno francese), Emanuele Vassalli (piano, organo e synth), Guglielmo Campi (batteria), Matteo Tosi (voce e basso) e Donato Di Lucchio (flauto) hanno creato un album lontano da questi tempi schizzati che ogni cosa ingoiano, dove tutto viene assaporato per un attimo, esaltato e poi dimenticato per far posto a qualche altro fenomeno da intrattenimento (o da baraccone). Qui invece c’è studio, c’è la capacità di articolare ma con anima e di creare un’opera che rispecchia certi valori, che va ascoltata con cura, senza fretta … Outro: A new beginning è la partenza perfetta per guidarci tra le atmosfere cangianti del platter, con richiami ai Pink Floyd e significativi intarsi progressivi che la band conosce ed esplica egregiamente. La title track mostra come sia importante per la band il lavoro d’equipe, raffinato ed elegante, mentre Wandering in the unconscious è una sorta di suite divisa in due parti e va a tratteggiare le varie influenze dei ferraresi, mostrando però personalità e grande attenzione per una scrittura ricca di elementi e piccole finezze esecutive. Fade to horizon è un altro ottimo pezzo, accattivante e capace di oscillare tra aromi classici e spinte rock, To glimpse the oneiric shades è un viaggio fantastico nella memoria del progressive mondiale, una song in cui i sette confermano di essere musicisti davvero di spessore. A dream of illusion si avvicina di più alla forma della ballata, peraltro molto gradevole, prima del fragoroso finale di Tempo di andare, unico brano cantato in italiano e riuscito mix tra il lirismo della P.F.M., i crescendo del Banco del Mutuo Soccorso e la forza d’insieme che ha contraddistinto gruppi più contemporanei come Periferia del Mondo o i recenti Macroscream. Reaching for freedom è un lavoro rilevante, carico di soluzioni fantasiose e pieno di idee, una summa del percorso sin qui svolto che merita la giusta attenzione da parte di pubblico e critica. Per maggiori informazioni e per acquistare il disco (cosa ovviamente consigliata!) potete visitare il sito www.liquidshades.it (Luigi Cattaneo)
 
Reaching for freedom (Video)
 

sabato 9 dicembre 2017

VICTIM OF ILLUSION, Invisible light (2017)


Nati nel 2010 dalla volontà di Piero Giaccone (chitarra e synth) e Paolo Gurlino (voce), i Victim of illusion non hanno mai nascosto influenze importanti come Porcupine Tree e Riverside, ponendosi in quella corrente progressiva in cui rock e metal vanno a braccetto senza problemi. Completa la line up Luca Imerito (basso), a cui va aggiunta la collaborazione per questo nuovo disco di Michele Santoleri (batteria), platter che si aggiunge all’ep What senses blow away (2011) e Oxideyes (2014). Invisible light è un prodotto dal taglio internazionale, accomunabile a quello di altre band italiane come Nosound e Methodica, anche loro vicine per stile alle trame complesse e cariche di creatività dei torinesi, segno tangibile che l’Italia ha oramai appreso e interiorizzato anche un certo progressive di matrice heavy e la lezione dei vari Dream Theater, Fates Warning e Queensryche, nonché di Tool e Porcupine Tree. L’album è molto raffinato, anche nei momenti più pesanti si denotano classe e cura per l’arrangiamento, con una buona dose di attenzione per la forma canzone, sempre ispirata e molto melodica. Difficile trovare qualche momento di stanca negli otto pezzi presenti, che pur non brillando per originalità si contraddistinguono per eleganza, tecnica e un gusto dark che sottolinea passaggi drammatici e pieni di anima. Il substrato hard è evidente ma viene amalgamato da strutture che lasciano spazio a fraseggi tenui e soavi e da un interplay che risalta il gioco d’insieme. Difatti lo splendido lavoro di Giaccone è rifinito e accompagnato da una sezione ritmica affidabile, su cui è libero di giostrare Gurlino, perfetto cantore di un disco di cui bisognerebbe essere patriotticamente orgogliosi. (Luigi Cattaneo)
 
Invisible light (Official teaser)
 

domenica 3 dicembre 2017

MALCLANGO, Malclango (2017)


La combinazione di tre elementi che provengono da altrettante oscure band capitoline (Juggernaut, Donkey Breeder e Inferno Sci-Fi Grind ‘n’ Roll) ha dato vita a questa creatura formata da due bassisti e un batterista, i Malclango. La particolare formazione triangolare ricorda la propensione all’impatto di altri gruppi come LVTVM, Shellac o Salmagündi, con l’aggiunta della pesantezza di un certo math destrutturato e l’incombenza plumbea delle mandi madri. Un prodotto del genere esce per la Subsound Records, etichetta regina di un sound fosco e greve, che sa essere ponderoso ma sempre comunicativo pur stando lontano da stereotipi o facili ruffianerie. Nel caso specifico il trio suona con innata potenza, specifica coordinate doomy avvolgenti e carica stoner coinvolgente, tutte caratteristiche che ci accompagnano lungo 30 minuti senza sosta alcuna. Le atmosfere sulfuree del plot si alimentano ovviamente di ritmiche complesse, spezzate da una voce narrante inquieta che crea un filo tra i vari episodi, liberi di vagare tra asperità noise e sperimentazioni psichedeliche. Un trip surreale che nasce dalla voglia di suonare senza seguire una linea di demarcazione, alla ricerca di sorprese e sbalordimenti trasversali. Un trio del genere fa ovviamente del groove una delle caratteristiche principali (se non la principale), elemento che sottolinea brani importanti come Patatrac o Nimbus, che non faticheranno ad entrare nei cuori di chi ama band come Morkobot e OvO. (Luigi Cattaneo)
 
Nimbus (Video)
 

sabato 2 dicembre 2017

SALMAGUNDI, Life of Braen (2017)


Definirlo il progetto progressive di Enzo Zeder, bassista dei Kotiomkin e degli Egon Swharz, è riduttivo. Chi conosce l’autore conosce anche la sua trasversalità e l’amore per certe strutture oblique, diretta conseguenza sì del suo interesse per il prog (ma quello inconfondibile dei Cardiacs), abbinato però alla voglia di dire qualcosa cercando di allontanarsi dai clichè sinfonici o jazz rock. E allora ecco qua un quartetto formato da due solidi bassi (Enzo P. Zeder e Francesco Pacifici), un batterista (Mattia Maiorani) e un eccentrico cantante (Franco Serrini, impegnato anche ai sintetizzatori), che con Life of braen (stampato in edizione limitata a 222 copie in digipak serigrafato e numerato a mano) mi fanno pensare più che altro ad una new wave dissacrante ispirata ai The Residents, così come agli Earth di Dylan Carlson e allo stoner doom dei gruppi madre di Zeder, sempre ottimo interprete di sonorità spesse e cupe. Il nuovo progetto si allontana ancora di più dagli standard, proponendo un crossover di influenze per nulla canonico, che finisce per dare vita ad un esordio dai tratti meno definiti ma estremamente curioso. La furia ritmica non può che rimandare anche ai Primus e ai Colonel Claypool’s Bucket of Bernie Brains e a certo post punk ottantiano, condito da un alone melodico che dona respiro a brani che rischierebbero di mostrare solo l’ala più potente del platter. Sullo sfondo fanno capolino anche le note dolenti di Tom Waits e di Nick Cave e dei suoi stralunati Grinderman, personaggi che completano un quadro di non facile assimilazione che può essere apprezzato solo dopo diversi ascolti, quando si coglie il senso dietro un disco volutamente schizoide e libero, nato da un quartetto pericolosamente “sconvolto”. (Luigi Cattaneo)
 
Viridian face with a crimson tongue (Video)
 

CONCERTI DEL MESE, Dicembre 2017

Sabato 2
·C. Simonetti's Goblin a Ferrara
·PFM a Varese
·Il Segno del Comando a Scandicci (FI)
·Sezione Frenante/Quanah Parker/Opus Avantra a S. Donà di Piave (VE)
·Thank You Scientist+Profusion a Firenze
·Dropshard a Monza
·UT New Trolls a S. Stino di Livenza (VE)
·Napoli Centrale a Sorrento (NA)
·Lethe a Paderno Dugnano (MI)
·PoiL a Bologna

Domenica 3
·C. Simonetti's Goblin a S. Donà (VE)
·Thank You Scientist a Brescia
·Napoli Centrale a Sorrento (NA)
·PoiL ad Ancona
·Kalisantrope a Rescaldina (MI)

Giovedì 7
·Lincoln Quartet a Sacile (PN)
·Ufomammut a Ravenna

Venerdì 8
·C.Simonetti Goblin a Frattamaggiore (NA)
·The Trip a Torino
·Monkey Diet a Bologna
·Ufomammut a Trieste
·The Coastliners a Roma
·Aldo Tagliapietra a Murano (VE)

Sabato 9
·Lincoln Quartet a Lugagnano (VR)
·The Watch a Veruno (NO)
·Locanda Delle Fate ad Asti
·Ufomammut a Brescia
·Martin Barre a Mendrisio (Svizzera)
·L'Ira del Baccano a Roma

Domenica 10
·Mad Fellaz a S. Zenone d/Ezzelini (TV)

Martedì 12
·Napoli Centrale a Napoli

Mercoledì 13
·Syncage a Verona

Giovedì 14
·The Winstons a Bologna

Venerdì 15
·Dusk e-B@nd a Rimini
·Lachesis a Cassano d'Adda (MI)


Sabato 16
·Camembert+Diode alla Casa di Alex di Milano
·Arturo Stàlteri a Torino
·Unreal City + Kalisantrope a Rozzano (MI)
·Lo Zoo di Berlino a Latina
·Tazebao a Vignola (MO)
·Real Dream a Genova
·Glincolti a Santi Angeli (TV)
·Aliante+Quarto Vuoto alla Lovat di Villorba (TV)
·Le Orme a Pordenone
·Aldo Tagliapietra a Marghera (VE)
·Dark Ages a Brescia
·Tacita Intesa a Bibbiena (AR)

Domenica 17
·Jus Primae Noctis a Genova
·Flower Flesh a Savona

Martedì 19
·Höstsonaten a Chiavari (GE)

Mercoledì 20
·Glincolti a Savignano sul Rubicone (FC)
·Malibran a Belpasso (CT)

Sabato 23
·Aldo Tagliapietra a Lugagnano (VR)
·Senza Nome a Marino (Roma)
·FixForb a Castenedolo (BS)

Martedì 26
·Malus Antler a S. Zenone d/Ezzelini (TV)

Mercoledì 27
·The Watch a Lugagnano (VR)

Giovedì 28
·The Squonk a Talsano (TA)

Venerdì 29
·Biglietto per l'Inferno a Lugagnano (VR)
·PFM a Bari
·Supper's Ready a Laives (BZ)
·Avalon Legend a Orbassano (TO)

Sabato 30
·Monkey Diet a Bologna
·PFM a Castrovillari (CS)
·Ozone Park a Sestu (CA)