sabato 26 novembre 2016

NICOLAS MEIER, Infinity (2016)


Ottimo ritorno per il talentuoso Nicolas Meier dopo Chasing tales del 2015 in coppia con Pete Oxley e conferma del valore assoluto di questo chitarrista. D’altronde suonare con Jeff Beck è indubbiamente un bel banco di prova e il buon Nicolas è ormai un musicista esperto e navigato, capace di muoversi in contesti molto diversi tra loro (vedi la metal band Seven7). Nel caso di Infinity, Meier sceglie la via del trio (con due fenomeni come Vinnie Colaiuta alla batteria e Jimmy Haslip al basso), sviluppando più che in altre circostanze un sound vicino alla fusion ma che non disdegna affatto incursioni prepotenti nel rock, anche attraverso una strumentazione personale e variegata (tra cui anche il glissentar, la synth guitar e il baglana). Si evince una certa volontà nel non fermarsi all’interno di un genere solo (cosa che per altro Meier non ha mai fatto) e gli spunti jazz e prog si devono leggere proprio in quest’ottica. Ne è esempio lampante l’iniziale The eye of Horus (con Richard Jones al violino), tra influenze mediorientali, rock e fusion, mentre la seguente e splendida Still beautiful (ancora con Jones) ci riporta alle melodie eteree di Chasing tales. Meier d’altronde continua il suo percorso in cui non ci si sofferma solo sulle spiccate capacità individuali ma si cerca di curare anche l’aspetto emotivo della composizione, con una certa attenzione per scrittura e arrangiamento elegante. La fusion è difatti solo la base di partenza ma non costringe il trio ad inerpicarsi lungo sentieri obbligatoriamente tortuosi e magari interessanti solo per chi è avvezzo a certi virtuosismi e nell’ottica di Meier è il collante per sviluppare soluzioni adatte a più palati (le belle Rose on water con il fine lavoro di Lizzie Ball al violino e Serene). Il tocco di Meier si fa impetuoso in Legend (dedicata proprio a Jeff Beck), così come il trio mostra irruenza anche in Flying spirits (ancora con un ispirato Richard Jones), due brani che sono esplicativi per comprendere quanto possa essere variegata la musica del chitarrista. Il terzo dei violini presenti è quello di Sally Jo, che incontriamo in Riversides e nella particolare Yemin. Di alto livello la chiusura di JB Top, un omaggio a Billy Gibbons e agli ZZ Top (da segnalare anche la partecipazione di Gregor Carle alla chitarra), degno finale di un album poliedrico che può catturare la curiosità tanto dei jazzisti che dei fan del progressive. (Luigi Cattaneo)

Riversides (Official Video)

giovedì 24 novembre 2016

HAUTVILLE, Mater Dolorosa (2016)


Dopo tre anni da Le Moire ritornano gli Hautville con Mater Dolorosa, otto brani intrisi di folk progressivo con tanti inserti classicheggianti (un po’ come i campani Corde Oblique) che denotano una profonda conoscenza della materia. La cura per il dettaglio, per gli arrangiamenti raffinati e per testi ricercati fanno la differenza e oltre alla bontà esecutiva del trio (Simona Bonavita alla voce, Francesco Dinnella al basso e alle tastiere e Leonardo Lonigro alla chitarra folk ed elettrica) vanno menzionati i tanti special guest presenti, che risultano essenziali per la riuscita del lavoro (Giulio Amico Padula alla tromba, David Bisetti alle percussioni e ai timpani, Daniela Caschetto al violoncello, Rebecca Dallolio al violino, l’ex Pierrot Lunaire Arturo Stalteri al piano e William Matteuzzi alla voce). La vena malinconica che attraversa il platter ammalia e dona un incanto intrigante al racconto, che si sviluppa proprio cercando di avvincere l’ascoltatore attraverso brani solo all’apparenza di facile lettura ma in realtà molto pregni di elementi. Il fascino di certe argomentazioni va di pari passo con atmosfere disincantate e malinconiche, caratteristiche che troviamo già nell’elegante opening track Dis pater, con la Dallolio a ricamare in modo sicuro sopra un substrato folkeggiante di gran spessore. La dea Artemide viene tributata nel brano successivo, una ballata dai toni epici che ben delineano la sua figura, mentre accelera ritmicamente Pietà e costanza, soprattutto grazie al percussionismo di Bisetti e al lavoro di Lonigro, più deciso che mai. Nella prima parte spicca Le ombre, un folk cantautorale delicato e tenue, con la Bonavita artefice di una prova magistrale, prima dell’intervento del tenore Matteuzzi nella title track, pezzo dove partecipa anche Stalteri, che insieme a Caschetto dona un imprinting molto classico alla composizione. La sposa torna sui sentieri abituali del trio e l’interplay tra chitarra e violino tratteggia scenari amari e inquieti, replicati dalla potenza espressiva di Per non sentire niente, convincente anche grazie alla prova di Padula. Il finale di Il castello è incentrato sul tocco di Stalteri, che chiude con un sigillo fiabesco un album poetico e affascinante. (Luigi Cattaneo)

Per non sentire niente (Video)

lunedì 21 novembre 2016

DWIKI DHARMAWAN, Pasar Klever (2016)


Dopo So far, so close di cui ci siamo occupati pochi mesi fa, torna uno dei fuoriclasse della scena indonesiana, il tastierista Dwiki Dharmawan e lo fa con un doppio piuttosto ambizioso, Pasar Klewer. Per l’occasione Dwiki si è dedicato al solo piano acustico, in una forma trio (con Yaron Stavi al basso e Asaf Sirkis alla batteria) a cui si aggiungono di pezzo in pezzo diversi musicisti di svariata estrazione e dal tocco profondamente mutevole, pescando a piene mani sia dalla tradizione asiatica che da quella occidentale. Un crossover appassionante tra culture e stili, capace di abbracciare la fusion, il jazz rock e il progressive, come da sempre ci ha abituato la Moonjune di Leonardo Pavkovic, produttore insieme a Dharmawan di questo lavoro registrato a Londra. Il trio si muove benissimo e mostra un grande affiatamento, base fondamentale su cui si inseriscono alla perfezione gli ospiti presenti nel disco, tra cui spiccano in particolare Mark Wingfield (chitarrista jazz ma dal taglio sperimentale), Nicolas Meier (chitarrista nel team di Jeff Beck) e Gilad Atzmon (maestoso al sax e al clarinetto). Tutti gli special guest hanno però dato il loro importante contributo per la realizzazione di uno dei dischi più belli degli ultimi anni dell’etichetta di New York, ottimo esempio di come coniugare tradizioni locali e jazz, senza dimenticare la lezione di leggende come Soft Machine o Henry Cow. Dwiki non fa altro che confermarsi come uno dei maggiori talenti della sua generazione anche a livello compositivo (basti ascoltare la fantasiosa Frog dance, in cui va sottolineato lo splendido lavoro di Meier all’acustica e Atzmon al sax o Spirit of peace con Meier stavolta al glissentar e Atzmon al clarinetto). Ed è un vero peccato che dopo più di trent’anni di carriera qui in Europa non sia ancora conosciuta come dovrebbe la sua figura, importantissima per capire gli sviluppi culturali di una popolazione affascinante e che ha molto da dire anche in campo musicale (vedi i trasversali Simak Dialog o il guitar hero Dewa Budjana, giusto per citarne un paio). Il tastierista continua con Pasar Klever il suo lungo percorso alla ricerca di espressioni musicali contemporanee ma che abbiano uno sguardo sul passato; da qui l’utilizzo di percussioni (le Gamelan e le Kendang di Aris Daryono) che incontrano strumenti a fiato e chitarre (con il voluto dualismo tra Wingfield e Meier, due musicisti dal differente background). Difatti l’album di distingue proprio per la mescolanza tra segni distintivi di matrice popolare e altri di natura europea, elementi dell’arcipelago indonesiano che vengono filtrati da chi appartiene ad altre culture (tra questi anche l’italiano Boris Savoldelli alla voce nella corale London in June in cui partecipa di nuovo Meier al glissentar e nella rivisitazione di A forest di Robert Wyatt, dove compare invece Wingfield). Le radici di Dwiki e l’amore per il jazz vivono nella lunga title track, esempio lungimirante di come suoni che rimandano a virtuosi che rispondono al nome di Chick Corea o McCoy Tyner possano incontrarsi con le distorsioni di Wingfield. E non sono da meno Tjampuhan, 13 minuti di fusion progressiva in cui Atzmon al sax si destreggia benissimo come al solito e Li llir, un traditional arrangiato divinamente da Dharmawan. L’interplay del trio si amalgama con il fraseggio di tutti gli interpreti chiamati in causa, merito anche delle doti di scrittura già riconosciute al leader e seguite a ruota da quelle della sezione ritmica, che firmano insieme al tastierista la già citata London in June, mentre Sirkis è l’autore unico di Life it self, pensata per la chitarra satura del buon Wingfield. Pasar Klever è un progetto grandioso, magistralmente costruito nelle sue parti così variegate e piene di energia, un risultato di cui Dwiki deve andare fiero e che merita di essere apprezzato anche qui dai suoi confini nazionali. (Luigi Cattaneo)

Pasar Klewer (Live at the Bali world music festival)

sabato 19 novembre 2016

SUITE SOLAIRE, Rideremo (2016)


Dopo l’ep L’equilibrista del 2010, Rideremo è il primo Lp dei Suite Solaire (Paolo Baragioli voce e flauto traverso, Raffaele Giordano alla chitarra, Salvatore Matrone al basso, alle tastiere e ai synth e Riccardo Panigati alla batteria), 11 brani dove il gruppo di Novara racconta il tema della fuga intesa come salvezza da un reale opprimente, che diviene inconciliabile con i propri ideali. Pur non essendo propriamente un concept i pezzi hanno questo filo conduttore e il titolo del disco richiama proprio la condizione ricercata da chi scappa, ossia un futuro in cui tornare a sorridere e vivere. Il sound e i relativi arrangiamenti del platter sono votati alla ricerca della facile melodia, con uno sguardo anche al cantautorato, soprattutto grazie a testi che raccontano efficacemente le problematiche del quotidiano e mostrano una certa attenzione per il tema trattato. Il disco risulta comunicativo (ne sono esempio Un mondo di ghiaccio o la malinconica Cristina), attento nel parlare dell’epoca difficile in cui stiamo vivendo (il pop rock di Il meglio è già passato) e della disperata ricerca di appigli materiali o spirituali del tutto illusori (la mesta Nero giorno d’inverno). I personaggi che si delineano sono costretti a venire a patti con un presente che non ha nulla di spensierato (Jhonny) e decidono di ritirarsi in attesa di tempi migliori (Salviamoci). Il taglio anglosassone si miscela con forme di casa nostra, con gli U2 sullo sfondo ma le tipiche melodie della penisola nel cuore, con brani che sono sì facilmente memorizzabili ma mai sfacciatamente pensati per diventare una hit single o melensi come alcuni interpreti dell’italico pop (in questo mi hanno ricordato gli Oen). Non mancano riferimenti vintage, soprattutto quando si accende il flauto traverso, vera chicca distintiva e che può ricondurci ai Delirium più immediati. Rideremo è un primo passo piacevole che consegna al pop italiano un gruppo giovane, fresco e con margini di crescita. (Luigi Cattaneo)

Cristina (Video)

venerdì 18 novembre 2016

FINAL SOLUTION, Through the looking glass (2016)


Nati nel 2011, i Final Solution si sono presto creati un solido repertorio a base di death metal melodico, omaggiando grandi realtà del genere come At the gates e In flames. Un buon modo per farsi le ossa, soprattutto dal punto di vista tecnico, che li ha portati nel tempo a comporre pezzi propri senza dimenticare la potente lezione di certi maestri svedesi. A questo però va aggiunto anche un cambiamento stilistico, che li ha portati ad abbracciare una corrente più progressiva, complice anche Mario Manenti, vocalist subentrato in formazione ad inizio 2016 (completano la line up Fabio Pedrali alla chitarra e membro fondatore della band, Alessandro Martinelli alla chitarra, Gabriele Savoldi al basso e Gianluca Borlotti alla batteria). Through the looking glass è quindi la prima fatica dei bresciani, 30 minuti circa in bilico tra furia djent/math e trovate prog ad ampio respiro, bordate al limite del thrash e fraseggi di grande gusto melodico. Il quintetto ha indubbie capacità, risulta attento al dettaglio e ha una discreta versatilità che li porta anche in territori più classici o power prog, sempre conditi da velocità d’esecuzione e freschezza. Risulta semplice farsi coinvolgere dall’iniziale Sick of you, seguito di un intro dark e decisamente adatta per chiarire come uno dei punti di forza del gruppo sia la coesione tra le due chitarre e l’avere una sezione ritmica molto compatta. Di incredibile potenza thrash Demon inside, che però non disdegna un chorus d’impatto e un ottimo interplay melodico tra Pedrali e Martinelli, mentre la seguente Empty walls ha un mood progressivo dovuto probabilmente anche al tasso tecnico messo in campo dall’ensemble. The show is on conferma la vena prog, aspetto che rende il platter ancora più carico di umori, prima di Dogs of war in cui i Final Solution continuano a proporre una miscellanea di soluzioni energiche e intensamente liriche, con la conclusione di Grey magnifico epitaffio di un esordio decisamente interessante e a tratti avvincente. (Luigi Cattaneo)

Sick of you (Video)

domenica 13 novembre 2016

LURKING FEAR, Grim tales in the dead of night (2016)


Ep d’esordio per i Lurking Fear, un trio di Figline Valdarno nato 5 anni fa dall’amore per l’heavy di Mirko Pancrazzi (chitarra), Fabiano Fabbrucci (basso e voce) e Stefano Pizzichi (batteria). I brani di Grim tales in the dead of night rimandano al metal settantiano e alla NWOBHM dei primi ’80, con un suono che è distillato di Mercyful Fate, Iron Maiden e Angel Witch. I testi invece si rifanno ai classici della letteratura horror di inizio 900 (come Edgar Allan Poe) e in generale a tutto ciò che è macabro e grottesco, elementi ideali per irrobustire il sound con citazioni anche del King Diamond solista e dei primi Death SS. Un bel tuffo nel passato, un periodo d’oro per questo tipo di musica che ancora oggi fa proseliti e che i toscani omaggiano in ogni nota del lavoro, senza preoccuparsi di essere originali o moderni e proponendo uno stile ben radicato nella cultura heavy. 5 pezzi dove i Lurking Fear non concedono fronzoli, risultano diretti e battaglieri, con i riff di Pancrazzi essenziali e solidi e ritmiche volte a sorreggere un cantato aggressivo e in linea con il mood della produzione. Poco più di 30 minuti in cui il substrato hard si amalgama con frangenti più melodici pur senza concedere nulla al leitmotiv dell’intero disco, che non prevede grosse variazioni sul tema (aspetto su cui magari si potrà lavorare in futuro). Chi cerca novità rimarrà deluso. I toscani sembrano usciti proprio da un’altra era storica e sono fieri di apparire così, risultando credibili appassionati di un genere immortale e sempre stimolante. Buonissimo l’attacco di Watching eye, convincente pezzo iniziale che lascia spazio a Lady of Usher, brano in cui emerge anche la buona tecnica del trio. The strain ha al suo interno interessanti parti strumentali, mentre in I am e nella conclusiva Flesh and soul fanno capolino echi sabbatiani. Grim tales in the dead of night è un primo passo gradevole, sicuramente migliorabile sotto qualche aspetto ma che non può non incuriosire gli amanti dell’heavy primordiale che tanta importanza ha rivestito nella crescita del movimento. (Luigi Cattaneo)

Watching eye (Video)

sabato 12 novembre 2016

THAUMA CINCINNATO, L'essere e l'auriga (2016)


Ritornano i Cincinnato, uno dei tanti nomi che animava la scena italiana dei ’70 e che dopo il valido disco d’esordio sparì come buona parte di quei gruppi giovani e curiosi. I fondatori Giacomo Urbanelli (voce, piano e tastiere) e Gianni Fantuzzi (chitarra) sono della partita, accompagnati da Franco Erenti (tastiere) e Paolo Burattini (basso e chitarra acustica), oltre che da Graziano Rampazzo che si occupa delle parti di batteria e Ilaria Guerra impegnata al canto. Il termine Thauma fa intendere che i Cincinnato non sono più esattamente quelli di 40 anni fa e se è vero che lo stile è rimasto ancorato al jazz, è pur vero che si è arricchito di umori pop che non sempre convincono lungo la durata del platter. I Thauma Cincinnato prediligono un lavoro d’equipe, con pezzi strutturati come nella migliore tradizione progressiva ma più fruibili rispetto al passato, con la matrice “colta” che incontra quella popolare e lascia intendere come il gruppo voglia essere maggiormente comunicativo se paragonato ai suoi esordi. Un impeto ravvisabile in questo come back fortemente voluto e su cui i quattro hanno lavorato negli ultimi anni, una continuità più di intenti che di genere visto il modus operandi legato alla forma canzone, seppur sui generis. L’essere e l’auriga è quindi un disco molto diverso rispetto al primo, una scelta che ha portato i lombardi a sviluppare partiture che uniscono jazz, classica e soul, condite di testi che rappresentano un’altra piccola novità (in Cincinnato solo L’ebete aveva una parte cantata). Proprio questo aspetto fa capire come i nuovi Cincinnato non vogliano relegarsi in un imbuto progressivo autolesionistico ma abbiano preferito proporre quello che sono diventati, con buona pace di chi bramava un capitolo secondo simile al precedente (e io, lo ammetto, ero tra questi). Inutile quindi fare paragoni tra un album che rappresentava appieno un Italia che non c’è più e questo L’essere e l’auriga, legato all’oggi e dove i musicisti, senza farsi condizionare dalle attese del pubblico, hanno deciso di raccontare la loro visione del presente, che non può essere quella di chi nel 1974 ragionava per istinto e passione. Il platter scorre via piacevole, è suonato indubbiamente bene, con qualche momento sopra gli altri come Colori di noi (che vede la partecipazione di Luciano Cirino al piano), La peste (bello il lavoro del trombettista Maurizio Vaccaluzzo) e la lunga Città oceano ma forse manca il guizzo strabiliante, quello che ti fa innamorare di un pezzo o di un disco intero. L’album è acquistabile privatamente e si può richiedere tramite la loro pagina facebook o al seguente link https://soundcloud.com/thauma-cincinnato che permette anche l’ascolto dell’intero lavoro. (Luigi Cattaneo) 

mercoledì 9 novembre 2016

ACQUA LIBERA, Acqua Libera (2016)


Nell’aprile del 2013 Fabio Bizzarri (chitarra già dei Vicolo Margana e dei Sesto Senso, una band di inizio ’70), Jonathan Caradonna (tastierista dei Profusion), Franco Caroni (bassista dei Livello 7 nel lontano 1974 e successivamente nel Juice Group prima e nel Juice Quartet poi) e Marco Tosi (batterista con un passato nei Vicolo Margana e attualmente impegnato nella band del grande Franco Baggiani) danno vita agli Acqua Libera con l’intento di riprendere e lavorare sui brani dei gruppi precedenti (Livello 7 e Juice in particolare) e di crearne di nuovi. Ne nasce un album strumentale pieno di grande progressive, infarcito di jazz rock e fusion e senz’altro meritevole di ascolto per quanti amano P.F.M. e Duello Madre ma anche i contemporanei Red Zen o Eclat. Una sorta di gruppo prettamente senese che è riuscito a riesumare tracce che si sarebbero perse del tutto con il passare del tempo ma che ha deciso di puntare, giustamente, anche su materiale nuovo, lavorato con grande classe e sensibilità da musicisti navigati e di spessore. Sarebbe stato un peccato non far emergere quanto di buono composto decenni prima e trasportare la passione per questa musica su disco ripaga indubbiamente gli artisti dei tanti sforzi fatti. La doppietta iniziale formata da Tempi moderni e Nautilus è un gran bel biglietto da visita in chiave prog rock, mentre Alla luce della luna è legata strutturalmente alla fusion e risulta delicata e dai colori più tenui. Mr. Lou torna a movimentare il platter, con la band che disegna intarsi dinamici e vigorosi, un po’ quello che succede in Marcina, brano scritto da Caroni e che evidenzia il suo talento anche come compositore. Sans tambour ni musique torna a far vibrare le corde del progressive rock in maniera decisa ed energica e fa il paio con Quo vadis, esuberante nel suo andamento brioso e vitale. La chiusa di Prog mood conferma lo splendido lavoro d’insieme e le abilità tecniche del quartetto toscano, artefici di un lavoro molto gradevole che unisce sapientemente prog e fusion con spirito e passione. (Luigi Cattaneo)

Alla luce della luna (Video)

sabato 5 novembre 2016

KOTIOMKIN, Squartami tutta - Black Emanuelle goes to hell (2016)


Avevamo lasciato gli abruzzesi Kotiomkin alle prese con un eroe d’altri tempi (Maciste nell’inferno dei morti viventi del 2014) e li ritroviamo immersi in un viaggio in lande sperdute in compagnia della celebre Emanuelle. Squartami tutta – Black Emanuelle goes to hell racconta della setta del Dio Kito e del suo capo, l’albino O’Hara, e di come il commissario Frank Baiocchi (detto Prunella Ballor) decida di coinvolgere la famosa fotoreporter Emanuelle con l’intento di farla infiltrare tra gli adepti del culto, in quello che diventerà un viaggio allucinato tra rituali esoterici, orge e droghe che porteranno la disinibita giornalista sino alle porte dell’inferno. La dedica a Joe D’amato (nome d’arte di Aristide Massaccesi) chiarisce l’amore del trio (Enzo Zeder al basso, Davide Di Biagio alla chitarra e Gianni Narcisi alla batteria) per le soundtrack, qui proposta in chiave stoner e imbevuta di vintage, psichedelia e vanità progressive, lasciando a brevi narrazioni tratte dal film il compito di aprire o chiudere il pezzo, una scelta a tratti esaltante e che ha creato un filo conduttore senza l’uso di testi. Difatti gli otto strumentali presenti non hanno affatto bisogno di parti cantate per trasportare efficacemente negli scenari del film, sia nei momenti più tirati (Emanuelle: fotoreporter disinibita) che in quelli maggiormente narrativi (la malvagia El queso del diablo). L’amore per gli anni ’70 si palesa in ottimi pezzi come Orgia rituale o Prunella Ballor, che riportano in auge un certo cinema di genere, i cosiddetti b-movies riscoperti in anni recenti da tanti appassionati. Rispetto però ad ensemble come L’albero del veleno o gli Anima Morte, i Kotiomkin hanno un background che si fonda sullo stoner e sul doom, infarcito quindi di riff potenti e cadenzati, ritmiche solide e una certa predisposizione per pellicole cult e rare prodotte dal nostro paese. Da qui nasce un platter di spessore che risulta avvincente e interessante per tutta la sua durata e non fa altro che confermare la bontà del progetto dei tre marchigiani, lasciando una certa curiosità su che cosa potrebbero omaggiare nel prossimo disco. (Luigi Cattaneo)

Black Emanuelle goes to hell (Video)

mercoledì 2 novembre 2016

FESTIVAL ROCK PROGRESSIVE

Il FESTIVAL ROCK PROGRESSIVE si terrà venerdì 2 dicembre al Teatro ASTRA di San Donà di Piave (VE).

Il Festival è stato organizzato dai Quanah Parker in collaborazione con l'Associazione Musicale e Culturale "G. Tartini" di Monastier di Treviso e Meolo (VE) e sarà presentato dal discografico Vannuccio Zanella​ della prestigiosa etichetta M.P. & Records. 

L'idea è quella di dare una panoramica di passato, presente e futuro del Progressive Italiano, presentando un nome storico come Tony Pagliuca, che suonerà qualcosa di nuovo e qualcosa delle Orme, due band attuali con alcuni album all'attivo, ossia i Quanah Parker e gli Antilabè e un gruppo di giovanissimi affascinati dal progressive, gli Uneven Mood.

 

martedì 1 novembre 2016

CONCERTI DEL MESE, Novembre 2016

Venerdì 4
·Massimo Giuntoli “Hobo” a Piacenza
·São Paulo Underground a Mestre (VE)
·Solchi Sperimentali Fest a Bologna

Sabato 5
·King Crimson a Milano
·Arturo Stàlteri a Ghilarza (OR)
·Black Mountain a Segrate (MI)
·GC Project a Burolo (TO)
·Dark Ages a Mantova
·Jumbo+CAP al Teatro Lirico di Magenta (MI)

Domenica 6
·King Crimson a Milano
·U-Gene a Lainate ore 17 (MI)
·Linea Nazca ad Aiello del Friuli (UD)

Lunedì 7
·Genesis Piano Project a Perugia

Martedì 8
·King Crimson a Firenze
·Genesis Piano Project a Roma

Mercoledì 9
·King Crimson a Firenze
·Genesis Piano Project a Paderno D. (MI)

Giovedì 10
·Il Paradiso Degli Orchi a Brescia
·Sycamore Age ad Avellino
·Arturo Stàlteri a Roma

Venerdì 11
·King Crimson a Roma
·Sycamore Age a Messina
·Oberon a Palermo
·Il Rumore Bianco ad Arbizzano (VR)

Sabato 12
·Banco a Brescia
·King Crimson a Roma
·Sycamore Age a Roma
·Rêverie a Torino
·Steve Hackett a Catanzaro
·Dark Ages a S. Lazzaro di Savena (BO)
·Malibran a Belpasso (CT)

Domenica 13
·Orphaned Land a Borgo Priolo (PV)
·Amy X Neuburg a Lainate ore 17 (MI)
·Proteo a Mantova
·Delta a Travedona-Monate (VA)

Lunedì 14
·King Crimson a Torino
·Opeth a Milano
·Orphaned Land a Firenze
·Claudio Simonetti’s Goblin a Napoli
·The Musical Box a Trento

Martedì 15
·King Crimson a Torino
·Storia New Trolls a Napoli



Mercoledì 16
·Napoli Centrale a Napoli
·Marble House a Bologna

Giovedì 17
·King Crimson a Montecarlo (Monaco)
·M.Giuntoli “Piano Poetry” a Paderno D. (MI)

Venerdì 18
·Claudio Simonetti's Goblin a Parma
·King Crimson a Montecarlo (Monaco)
·Mike Stern Trio a Milano
·Acqua Libera a Siena
·Toni Pagliuca Trio a Camposanpiero (PD)
·Prometheo a Bari

Sabato 19
·Alex Carpani a S. Giovanni in Pers. (BO)
·Il Rumore Bianco+Promenade a Milano
·Massimo Giuntoli “Hobo” a Trieste
·Ingranaggi della Valle a Genova
·Court+Mirrormaze a Busto Arsizio (VA)
·Mike Stern Trio a Milano
·Saint Just ad Ascoli Piceno

Domenica 20
·Massimo Giuntoli “Hobo” ad Arcade (TV)
·Mike Stern a Mogoro (OR)
·Notturno Concertante a Altavilla I. (AV)

Martedì 22
·Jaga Jazzist a Milano

Mercoledì 23
·Jaga Jazzist a Roma
·Gianni Nocenzi a Roma

Giovedì 24
·Three Days Prog a Moncalieri (TO)
·Liberae Phonocratia a Vicenza
·Jaga Jazzist a Nichelino (TO)
·Acoustic Strawbs a Gandino (BG)
·Bol & Snah a Ranica (BG)

Venerdì 25
·Three Days Prog a Moncalieri (TO)
·Jaga Jazzist a Ravenna
·Acoustic Strawbs a Piacenza
·Lingalad a Ostiano (CR)
·Tuxedomoon a Trieste
·Twinscapes a Lugagnano (VR)
·Prog61 a S. Giovanni alla Vena (PI)
·Garybaldi+CAP feat. Alvaro Fella a Roma
·Bol & Snah a Napoli
·Arturo Stàlteri a Treviso
·Promenade a Genova

Sabato 26
·Three Days Prog a Moncalieri (TO)
·Archive a Milano
·Jaga Jazzist a Brescia
·Tuxedomoon a Bologna
·Twinscapes+Alex Carpani a Veruno (NO)
·Face Value Band+The Monkey Shock a Roma
·Don Airey a Torrebelvicino (VI)

Domenica 27
·Jaga Jazzist a Genova
·Hobo a Milano

Martedì 29
·Osanna+NCCP a Milano
·Tuxedomoon a Milano