domenica 31 luglio 2022

ROSELUXX, Grand Hotel Abisso (2021)

 

Terzo disco per i Roseluxx, band formata da Tiziana Lo Conte (voce ed elettronica, conosciuta per il suo passato nei Gronge e nei Goah), Claudio Moneta (chitarra, già con Goah e Monzon), Federico Scalas (basso, contrabbasso e violoncello) e Marco Della Rocca (batteria e percussioni, fondatore dei Memoria Zero e membro di Blackmondays, Sunomi e P.A.D.). Un lavoro questo Grand Hotel Abisso che arriva dopo l’esordio del 2014 (dove vi erano state le collaborazioni con Emidio Clementi e Stefano Pila dei Massimo Volume, Luca Mai degli Zu e Luca Miti) e Feritoia del 2017 (dove invece trovavamo Julia Kent, violoncellista di Antony & the Johnson, Fabrizio Tavernelli e Luca Venitucci degli Ardecore), uno sguardo critico sul declino inesorabile della nostra civiltà e del suo deprimente stato. La title track iniziale coinvolge da subito con un carico emotivo non indifferente, tra canzone d’autore e alternative, Carver gioca sul binomio tra strofe intimistiche e chorus che esplodono, mentre Suspiria sembra guardare al rock settantiano e all’horror del maestro Argento. Spoken word aggressivo e intriso di rassegnata desolazione quello di Netflixx, lirico l’omaggio a Tim Buckley in Canto alla sirena, prima di Ragazza a Roma, che guarda alle melodie tipiche di certi anni ’80, e Scelta di campo, gradevole esempio del groove in possesso della band. Ci avviciniamo al finale con Ruota delle meraviglie e Giorno crudo, che si muovono tra psichedelia, pulsioni dark, e atmosfere vintage, ma la chiusura vera è affidata alla sperimentale Variazione Eldorado, con i suoi suoni dilatati e spaziali, conclusione di un ritorno drammatico e al contempo graffiante. (Luigi Cattaneo)

Netflixx (Video)



domenica 24 luglio 2022

IL CAPRO, Zothiriana (2022)

 




Uscito in sole 100 copie per Wine and Fog Productions, Zothiriana è l’esordio di Il Capro, poco più di 40 minuti maligni e gotici, dove doom e heavy si intersecano richiamando alla mente Saint Vitus, Mercyful Fate, Trouble, Death SS e Mortuary Drape, un immaginario orrorifico dietro cui si cela Emiliano El Chivo, polistrumentista già attivo con My People’s Suicide, Nerapologia e Tipheret. Non mancano evidenti riferimenti occulti, che si sviluppano nelle congeniali trame di In goat we trust e Taurinia, tra i migliori brani di un album che ha tutto per appassionare gli amanti di certi suoni dark e oscuri di matrice ottantiana, un guardare al passato che in certi contesti diviene inevitabile e assolutamente legittimo. Riff vigorosi e ritmiche solide accompagnano il canto di El Chivo, che si muove come in un rituale arcano e tenebroso, fatto di suggestioni e fascino, un sabba dannato che non conosce pause e che trova voce nelle decadenti Lucifer’s smile e Grace and damnation. Per acquistare il disco potete scrivere a wineandfog@libero.it o visitare la pagina https://ilcapro.bandcamp.com/ . (Luigi Cattaneo)

domenica 17 luglio 2022

NIFTY SEA, Nifty Sea (2021)

 

Nati nel 2019 ad Ancona, i Nifty Sea sono un trio formato da Filippo Micucci (chitarra e voce), Tommaso Conti (basso) e Riccardo Frati (batteria), davvero molto interessante e con un potenziale, anche radiofonico, notevole. Difatti, se si pensa al successo di un gruppo come i Maneskin, diviene insopportabile pensare che Hype, Margot o I wish I could, non possano attraversare la barriera, sempre più fitta, tra underground e mainstream. Per fortuna ci sono realtà discografiche che ancora lavorano pensando alla qualità della proposta, e la Red Cat Records, di cui recensiamo le uscite da anni, è una di quelle, basti pensare ad alcune band che popolano il rooster dell’etichetta, come Finister, Upanishad o Estetica Noir (giusto per citarne qualcuna). L’alternative dei Nifty Sea si sposa con l’amore per il rock dei ’70 e con quello contemporaneo di Muse e Wolfmother, vive di qualche frangente più duro ma sempre estremamente curato melodicamente, forti di doti tecniche palesi e di una certa qualità di scrittura, caratteristiche che si palesano lungo le trame della ballad The one e nell’arrembante capolavoro di Change my desire. Tutto pare funzionare egregiamente, dalle ritmiche strutturate alla voce multiforme di Filippo, ottimo chitarrista sia nei riff che nei soli, che sovente si tingono di rock blues, cosa che accade pure in What should I do, altro episodio molto gradevole, all’interno di un esordio che stupisce per continuità e livello compositivo. Poco più di 45 minuti che nulla hanno da invidiare a band estere o decantate dai più, nella speranza che questa ennesima realtà del sottobosco nostrano possa avere sul serio le carte per giocarsi la partita. (Luigi Cattaneo)

Change my desire (Live)



sabato 16 luglio 2022

MARK WINGFIELD/JANE CHAPMAN/ADRIANO ADEWALE, Zoji (2020)

 



Uscito nel 2020 per MoonJune Records, Zoji è uno dei dischi più particolari dell’etichetta e di Mark Wingfield (chitarra e soundscapes), che firma praticamente tutti i brani del lavoro, pubblicato insieme a Jane Chapman (clavicembalo) e Adriano Adewale (percussioni e voce). Come è prevedibile da una formazione del genere, il clavicembalo diviene l’elemento che caratterizza la proposta, seppure chiaramente Wingfield si muove con la solita personalità, con Adewale che puntella ritmicamente l’interplay tra i due, risultando misurato ma propositivo. Ne viene fuori un album colto, dove aleggia un’anima classica, che attraversa il tempo, partendo dal 700 di Pasquali’s dream e Prèlude non mesurè, per arrivare al contemporaneo di Persian snow leopard e Parallel time, profondi esempi dell’arte del chitarrista inglese. Il processo compositivo in cui si è imbattuto Wingfield ha portato alla creazione di un trio sui generis, una prospettiva fatta di immaginazione, creatività e intuizioni, idee che hanno trovato sbocco all’interno di un percorso che ha sviluppato energie nuove e sperimentali, un campo in cui Mark si è spesso mosso con grande acume. Non fanno eccezioni brani come City story o Seven faces of silence, dove emerge tutta l’inventiva di un disco che sviluppa temi e suggestioni lontanissimi dall’essere facilmente collocabili all’interno di un solo contesto, ma proprio questo affascina e stranisce, lasciando la voglia di esplorare e comprendere a fondo il messaggio di Zoji. (Luigi Cattaneo)


giovedì 14 luglio 2022

NICOLAS MEIER WORLD GROUP, Magnificent (2021)

 

Uscito insieme a Stories e Live in un unico ed elegante cofanetto, Magnificent è l’ultimo disco in studio registrato dal World Group capitanato da Nicolas Meier, chitarrista di cui abbiamo spesso parlato da queste pagine e di cui mi sono personalmente affezionato album dopo album, per via della sua sensibilità compositiva e di un’eleganza strutturale che lo contraddistingue da sempre. Insieme a Nicolas troviamo Kevin Glasgow (basso), Richard Jones (violino) e Demi Garcia Sabat (percussioni), quartetto che si muove agile tra influenze etniche, jazz e rock, con l’iniziale Mesudiye (uno dei distretti della provincia di Ordu, in Turchia) particolarmente evocativa e sospinta dall’interplay tra il leader e Jones, che si appoggiano su una base ritmica affascinante. Bellissima anche Semur’s bridge, intensa e tenue, mentre più vivace è Hip, con tanto di ottimo solo da parte di Meier. La cultura del chitarrista è profonda, ed emerge chiara in Stories from the garden, altro momento pieno di grazia, in cui vi è un solido lavoro di squadra, che fa la fortuna anche delle seguenti Sous le ciel de Fribourg e Villa Olivio, che hanno la capacità di trasportarti altrove in maniera del tutto naturale, con una semplicità disarmante pur all’interno di un contesto virtuosistico percepibile in ogni singola nota. Le conclusive The pond e Under an olive tree confermano la natura immaginifica della musica di Meier, che forse con Magnificent ha raggiunto il suo apice di scrittura e sentimento. (Luigi Cattaneo)

Album Teaser



martedì 12 luglio 2022

ANDREA PELLICONE VAN GOGH PROJECT, Something you should know (2020)


Avevamo parlato di Andrea Pellicone in occasione di Crixstrix Suite del 2019, un album registrato in solitaria che presentava un’artista che aveva da poco iniziato il proprio percorso individuale, continuato poi l’anno seguente con questo Something you should know, un lavoro dedicato alla tragedia del ponte Morandi e decisamente più arrabbiato rispetto al predecessore. Il concept appare molto sentito, come è giusto che sia, e ciò emerge con prepotenza nella delicata e decisa Song for Caterina, negli spunti hard e psichedelici di Rising to light e in Ballando sulle nuvole, dove vengono omaggiate le vittime del disastro con un certo trasporto. Ovviamente in un disco del genere il messaggio diviene focale, anche più dell’aspetto musicale, non sempre perfettamente a fuoco, soprattutto nei suoni di batteria e negli arrangiamenti, che se maggiormente curati, avrebbero potuto donare maggiore qualità al pur interessante risultato complessivo. Mi sento però di citare almeno altri due brani, il progressive al limite dell’hard di My sea is screaming, inquieta e frastornante, e la suite Romantic dream, in cui Andrea cita Schubert e Camille Saint Saens. Di seguito il link per ascoltare e acquistare i due album sinora pubblicati da Pellicone, https://andreapelliconevangoghproject.bandcamp.com/ (Luigi Cattaneo)






lunedì 11 luglio 2022

NO MORE CODE, Alienation (2021)

 

Arrivano all’esordio i No More Code, quartetto formato da Alex Accardi (voce), Andrea Mastromonaco (chitarra), Erik Piccolo (basso), Marco Le Rose (chitarra) e Andrea Lussana (batteria), che fa dell’energia e della vitalità il punto di partenza di un lavoro tanto immediato quanto ben congegnato, perché i ragazzi pur muovendosi nell’ottica di un punk rock influenzato da Green Day, Blink 182 e The Offspring, sanno suonare e sanno comporre, cosa che emerge tra i solchi di questo Alienation. Tra ritmiche compatte, riff melodici e sprazzi di Red Hot Chili Peppers, la band prodotta da Pietro Foresti sciorina pezzi come Animal, Kill the guitar e Lobotomy, brani dove emerge tutta la vitalità dei giovani musicisti, che firmano un debutto piacevole e senza troppi fronzoli. Di seguito il link per acquistare il disco https://www.vrec.it/prodotto/nomorecode/ (Luigi Cattaneo)

Shadow of your trails (Video)



mercoledì 6 luglio 2022

DEWA BUDJANA, Naurora (2021)

 

Uscito nel 2021, Naurora è uno dei migliori lavori di Dewa Budjana, uno degli artisti più prolifici in casa Moonjune Records, autore che nel corso degli anni ha collaborato con musicisti di assoluto valore e ha prodotto dischi sempre sopra la media. Questo ultimo episodio della sua carriera riesce nell’intento di risultare fresco, godibile e scorrevole pur muovendosi all’interno di strutture animate di jazz rock, fusion e progressive, dove la natura complessa della materia trattata non diviene ostacolo al feeling generale ma valore aggiunto di una serie di tracce ispiratissime. La classe del chitarrista indonesiano emerge anche dalla capacità di coinvolgere tutti i partecipanti alle registrazioni, a partire dalla title track, dove troviamo l’eccellente Carlitos Del Puerto al basso, Simon Phillips alla batteria e Joey Alexander al piano acustico, protagonista quest’ultimo di un break centrale lodevole per qualità e controllo. Budjana come sempre propone parti complicate ma intrise di melodie, passaggi sonori che ritroviamo nella seguente Swarna Jingga, dove l’interplay tra il leader e Mateus Asato, anche lui alla chitarra, viene sostenuto dall’enorme sezione ritmica formata da Dave Wrekl alla batteria e Jimmy Johnson al basso. Lo stile di Dewa, sempre in bilico tra fraseggi asiatici e partiture di carattere europeo, ha portato negli anni la sua musica ad amalgamare tecnica fusion e ricerca di chorus emozionali, come nel caso della malinconica e a tratti struggente Kmalasana, che profuma di etnico, evoca suggestioni in rapida sequenza e le propone con la maestria dei grandi compositori. Crossover di intuizioni che ritroviamo anche in Sabana Shanti, dove stavolta al basso è presente Ben Williams e soprattutto il meraviglioso sax di Paul McCandless, per uno dei brani più espressivi degli ultimi anni di carriera di Budjana, mentre la conclusiva Blue mansion si tinge di jazz rock con il pianoforte di Gary Husband, finale di un album dove il leader ha dato prova di essere, non solo un grande chitarrista, ma anche un magnifico compositore, a cavallo tra spirito free e costruzione rigorosa, un bilanciamento perfetto di sensazioni e umori, calibrato da anni di esperienza e da una sensibilità innata, che nemmeno la pandemia ha fermato, visto che pur di farlo uscire il disco è stato registrato in remoto, con i vari musicisti che non si sono mai incontrati. Un piccolo miracolo, visto l’enorme pathos che emerge dai 40 minuti di Naurora, ennesimo centro di Budjana e dell’etichetta di Leonardo Pavkovic. (Luigi Cattaneo)

Naurora (Video)



lunedì 4 luglio 2022

SATOYAMA, Sinkin Islands (2022)

 

Bellissimo ritorno per i Satoyama, quartetto che da diversi anni porta avanti un discorso all’insegna di un jazz che non ha paura di travalicare i confini per caricarsi di partiture ambient, classiche, post ed elettroniche, il tutto tenuto insieme da gusto e ricerca suoi suoni, elaborati davvero nel minimo dettaglio. Luca Benedetto (tromba, tastiere, elettronica), Christian Russano (chitarra, elettronica), Marco Bellafiore (contrabbasso, elettronica) e Gabriele Luttino (batteria, glockenspiel, percussioni, elettronica) sono i fantasiosi artefici di questo Sinking Islands, uscito per Auand ad aprile 2022, un lavoro immaginifico e filmico, una sorta di soundtrack narrativa che racconta dell’innalzamento del mare e del destino tragico che rischia di accomunare luoghi lontani tra loro. Si sviluppano da questo incipit trame nebbiose, cariche di pathos, dense e drammatiche, che parlano dei cambiamenti climatici in atto ovunque, con le iniziali Nauru e Tuvalu che si caricano di visioni e suggestioni, anche grazie ad un tessuto elettronico perfettamente calato all’interno di un sound che vive sull’interplay magistrale dei torinesi. In Palau le note della tromba di Benedetto commuovono, particolarmente percussiva è invece Venice, mentre Kiribati si sviluppa partendo da un’idea al glockenpsiel, su cui si intrecciano poi le ritmiche di Bellafiore e Luttino, in un crescendo avvolgente. Benedetto ancora protagonista nella malinconia di Maratua, aspetto che emerge anche in Suva, dove elettronica e contrabbasso svolgono una funzione di appoggio su cui si esprime tutto l’ensemble. Elettronica che lambisce la seguente Solomon, prima del finale di Niue, conclusione grandiosa di un disco che personalmente si candida come uno degli album di punta di questo 2022. (Luigi Cattaneo)

Nauru (Video)



domenica 3 luglio 2022

AGA, Dream on (2020)

 


Uscito nel 2020, Dream on segnava il ritorno sul mercato discografico di Alessandro “Gomma” Antolini, che usa l’acronimo AGA per i suoi lavori, improntati su un synth pop elettronico elegante e con parti cantautorali. Un ep scritto in lingua italiana per esprimere al meglio tutto ciò che circonda l’autore, una sorta di concept che utilizza con intelligenza lo spettro elettronico a disposizione per creare immagini e tele oniriche, sin dall’iniziale title track, che introduce le idee che verranno in seguito sviluppate da Alessandro. Fine l’esposizione di Respiro, archi ed elettropop sospingono Questa non è, prima del crescendo di Lui & Lei e della danzabile Come stai. Si palesano punte di new romantic in Se non c’è, mentre il finale di Essere o non essere è l’interessante conclusione di poco più di venti minuti senz’altro piacevoli. (Luigi Cattaneo)








COOP METAL BEER 2022

Torna dopo uno stop forzato causa restrizioni dovute alla pandemia il Coop Metal Beer, organizzato dalla Cooperativa Rinascita di Abbiategrasso, e lo ha fatto con una sesta edizione che ha ospitato sei band di sei generi diversi, una Satanic Edition, come è stata definita dagli organizzatori, variegata e molto interessante, soprattutto per chi riesce tranquillamente a passare dal brutal death metal al progressive nell’arco di pochi minuti. Idea a mio modo di vedere apprezzabilissima, che si materializza con l’arrivo sul palco degli Abbinormal, furioso act grindcore guidato da Max Maestrelli (chitarra), che apre uno squarcio nero nell’afa milanese, donando al pubblico accorso un set fatto di sangue, legnate e fulminanti schegge annichilenti, mitigate solo da rallentamenti doomy e da qualche oscuro passaggio tastieristico di Eric Vieni, indemoniato vocalist del quartetto. Con nonchalance si passa a due buonissime proposte legate al progressive metal, i Wine Guardian, usciti l’anno scorso con l’ottimo Timescape (di cui parlammo da queste pagine), e qui proposto per buona parte del live, e i validi Cyrax, curioso e largo ensemble che va a chiudere una prima parte di serata sin qui molto interessante. Si torna su territori più estremi con gli Hell’s Guardian, artefici di un bel melodic death debitore di Children of Bodom e In Flames, con un set che mostra una certa capacità di stare sul palco e conferma quanto di buono era emerso dall’ascolto dell’ultimo As above so below (anche questo recensito ai tempi della sua uscita). Si cambia nuovamente genere con i Satori Junk, che infiammano con il loro lisergico trip psichedelico, fatto di stoner e doom, una danza rituale che ci porta all’ultima band in scaletta, i Chronosfear, freschi di pubblicazione di The astral gates Pt.1: A secret revealed, da cui il quintetto pesca a piene mani (senza dimenticare l’esordio del 2018) per trasportarci in una dimensione epic/power che tanto profuma di fine anni ’90. Un plauso sincero va fatto non solo alle band, tutte godibilissime, ma anche all’organizzazione, che ha permesso una serata di cui si aveva bisogno, e che ha visto riuniti sopra e sotto il palco musicisti e ascoltatori, guidati solo dalla passione sincera e dalla voglia di tornare a momenti di pura condivisione. (Luigi Cattaneo)



sabato 2 luglio 2022

ACCORDO DEI CONTRARI, UR- (2021)

 

Una storia lunga oramai 20 anni quella degli Accordo dei Contrari, band bolognese che da Kinesis del 2007 non sbaglia un colpo e continua a proporre una miscela di jazz rock, fusion e progressive assolutamente fresca e godibile, con Giovanni Parmeggiani (piano, organo e tastiere) che ha architettato un lavoro (il quinto) complesso e ricco di sfumature, coadiuvato da Marco Marzo Maracas (chitarra), Stefano Radaelli (sax) e Cristian Franchi (batteria). Il quartetto è perfettamente collaudato e l’intesa esplode qui in una registrazione live in studio svoltasi in soli 4 giorni, tra tempi irregolari, soli di intensa bellezza, parti cariche di pathos e passaggi di estrema difficoltà tecnica, mitigati da una cura per l’aspetto melodico non indifferente. Membro aggiunto, nonché valore, è Alessandro Bonetti con il suo violino, che troviamo in buona parte del disco, all’interno di un tessuto perfettamente composto, scorrevole e fluido pur nella sua costruzione dettagliata, una sfida stimolante che gli emiliani hanno vinto sin dalle iniziali note di Tergeste, lungo brano apripista di questo UR-. Questo primo album pubblicato per un’etichetta estera (l’americana Cuneiform), presenta al pubblico suggestioni lontane, quelle di una band che ha spesso guardato ad ensemble come la Mahavishnu Orchestra ma anche alla tradizione strumentale del nostrano jazz rock italiano, fatto di pulsioni rarefatte e raffinatezza compositiva. Sentori che emergono nelle seguenti Così respirano gli incendi del tempo e Più limpida e chiara di ogni impressione vissuta (pt. III), mentre la natura filmica e visionaria che ha sempre contraddistinto la musica di ADC contraddistingue la title track (con Patrizia Urbani alla voce e Sergio Papajanni al basso) e Secolo breve, tra minimal e hard prog. Chiude l’album Contrari ad ogni accordo (dove appare il violoncello di Francesco Guerri), manifesto delle intenzioni del gruppo e splendida conclusione di un ritorno ambizioso e sofisticato. (Luigi Cattaneo)

Secolo breve (Video)