giovedì 28 febbraio 2019

AKROTERION, Decay of Civilization (2018)



Avevo lasciato gli Akroterion come progetto di BP Gjallar, una one man band che aveva pubblicato nel 2016 Commander of wild spirits, un album registrato in solitaria intriso di decadenza e parti che oscillavano tra black metal e neofolk. Decay of civilation è invece registrato in trio (BP Gjallar alla voce, alla chitarra, al basso e ai synth, H.Skrat alla voce e Francisco Verano alla batteria) e oltre al Black Metal di matrice nordica (Satyricon, Mayhem) troviamo una partitura con elementi thrash slayeriani e persino punk hardcore. Initiatory death è la mazzata iniziale, una cupa bordata black che riporta ai primi ’90, quelli di A Blaze in the Northern Sky dei Darkthrone o In the Nightside eclipse degli Emperor, senza dimenticare la lezione epica dei Bathory. Blood libel si muove in una direzione leggermente differente, con una parte cantata clean che si amalgama con il contesto estremo della trama e, più in generale, una certa attenzione per melodie piuttosto azzeccate. Red dawn under a chemical sky torna a parlare il linguaggio più puro del black metal, mentre Soul corruption tradisce l’amore per il doom di Paul Chain e Candlemass. Brains tratteggia scenari r’n’r punk e si distanzia parecchio da quanto proposto sinora, ricordando persino i Motorhead del sommo Lemmy, oltre che qualche episodio degli Impaled Nazarene, che con gli Akroterion condividono alcune caratteristiche. La title track torna trionfalmente su territori black, prima del gioiellino The gift of lady death, che con il suo incedere dark e folk rammenta per mood i genovesi Ianva, un lato nascosto del gruppo che potrebbe, perché no, essere sviluppato maggiormente in un prossimo futuro. L’edizione limitata in 150 copie (ancora sotto l’egida dell’Andromeda Relix) obbliga l’acquisto immediato agli amanti di certe sonorità. (Luigi Cattaneo)
Album Teaser
 

OLD ROCK CITY ORCHESTRA, The Magic Park of Dark Roses (2018)

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Arrivano al terzo disco gli Old Rock City Orchestra, trio formato da Cinzia Catalucci (voce, tastiere e percussioni), Raffaele Spanetta (chitarra, basso, voce e tastiere) e Michele Capriolo (batteria), dedito ad un rock progressivo tinto di dark, mai troppo ostico all’ascolto e attento ad una forma canzone, sì strutturata, ma molto comunicativa. The magic park of dark roses è veramente un grande ritorno per gli umbri, in continua crescita e sempre più consapevoli dei loro mezzi, che sospingono un percorso tanto vintage quanto affascinante. Già l’iniziale title track mette in chiaro qual è la direzione del power trio, con quel lato oscuro che ben si sposa con una costruzione generale tipica del prog. Abraxas evoca umori di una stagione remota, The fall è la dark song perfetta, a cui contribuisce, e non poco, il violino di Laurence Cocchiara. Violino che ritroviamo anche nella successiva Visions, contrappuntato dal flauto di Chiara Dragoni, un interplay esemplare che ci conduce alla parte centrale dell’opera, con A night in the forest e The coachman cantate da Spanetta e rappresentative del potenziale del gruppo di Orvieto. A spell of heart and soul entwined accentua il lato sinfonico, Thinkin’ ‘bout Fantasy e Soul Blues pongono l’accento su un riuscito crossover tra hard rock, progressive e blues, mentre la conclusiva Golden dawn è una magnifica sezione strumentale che certifica la forza delle idee di questo mirabile come back. (Luigi Cattaneo)
Album Teaser
 

sabato 23 febbraio 2019

RAINBOW BRIDGE, Lama (2018)


Tornano i Rainbow Bridge, trio di Barletta di cui avevamo già parlato in occasione del precedente Dirty Sunday, un ottimo album strumentale, molto hendrixiano e registrato in un’unita take, che avevo amato sin dal primo ascolto. Giuseppe JimiRay Piazzolla (chitarra e voce), Fabio Chiarazzo (basso) e Paolo Ormas (batteria), con il nuovo Lama inseriscono una parte cantata che non sposta molto le coordinate del gruppo, sempre impegnato a portare avanti con dedizione un rock blues che non ha paura di tingersi di psichedelia e desert rock, ma che a volte sembra un po’ frenare l’irruenza spontanea che avevo trovato nell’album precedente, complice anche una maggiore strutturazione in sede di scrittura, o almeno questa è l’impressione che emerge. L’alone vintage della proposta è sempre ben presente, giustamente direi, perché i ragazzi sanno come ricreare certe atmosfere con passione e sentimento e pezzi come Day after day, che si sviscera per ben otto interessantissimi minuti o l’hard blues di Words, sono lì a dimostrarlo. Hendrix c’è sempre, così come ci sono i Cream, sporcati dalle distorsioni allucinate di Piazzolla (la validissima title track), così come The storm is over, che prosegue nel discorso intrapreso dalla band e ci catapulta a certe atmosfere che il tempo non ha ancora scalfito del tutto, quelle di Woodstock e Isola di Wight. Ma i Rainbow Bridge sono essenzialmente una jam band e lo dimostrano con la conclusiva No more I’ll be back, un viaggio di dodici minuti pieni di fuoco, una colata di elettricità che colpisce sin dalle prime note e che finisce per sigillare in bellezza questo come back del trio pugliese. Da segnalare che sulla loro pagina https://therainbowbridge.bandcamp.com è possibile acquistare e ascoltare tutta la loro discografia (operazione consigliatissima), oltre che un alternate take di Words e l’inedita Are u exp jam, una jam che incrocia Hendrix e i Beatles con la solita efficacia. (Luigi Cattaneo)

venerdì 22 febbraio 2019

IL SEGNO DEL COMANDO, L'incanto dello zero (2018)


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L’incanto dello zero è l’atteso ritorno di Il Segno del Comando, gruppo oramai storico del prog italiano, attivo da metà anni ’90 sotto la guida di Diego Banchero, bassista e compositore anche di Il Ballo delle Castagne ed Egida Aurea, tutti progetti interessantissimi sospinti dalle varie inclinazioni musicali del ligure, qui sostenute da Riccardo Morello (voce), Roberto Lucanato (chitarra), Davide Bruzzi (chitarra e tastiere), Beppi Menozzi (tastiere) e Fernando Cherchi (batteria). Per questo nuovo lavoro l’ispirazione del concept è dovuta a Lo zero incantatore, libro di Cristian Raimondi, che finisce di fatto per sostituire Gustav Meyrink, autore alla base dei due precedenti dischi. Addentrandomi nella narrazione dell’opera non ho potuto non rimanere nuovamente colpito dalla grande coesione tra parte testuale e scelta dei suoni, caratteristica topoi del progetto che ho ritrovato sin da Il calice dell’oblio, dark song perfetta per evocare le atmosfere dell’oscuro racconto. Pur con i tributi ai vari Goblin, Balletto di Bronzo e Biglietto per l’inferno, quello che si nota dalle produzioni della band è la personalità spiccata, un trademark che permette di avere un sound proprio, riconoscibile, che è giusto possa fare scuola e, perché no, divenire esempio e punto di riferimento per chi si avvicina al genere. La grande quercia è uno strumentale che vede la partecipazione di Marina Larcher, che già abbiamo avuto modo di apprezzare proprio negli Egida Aurea e nel Ballo delle Castagne, Sulla via della veglia ci cala in pieno nelle gotiche atmosfere dello sceneggiato da cui trae il nome il gruppo, tanto è forte l’aurea cinematografica imposta, mentre Al cospetto dell’inatteso, con Maethelyiah alla voce e Paul Nash alla chitarra (dagli storici The Danse Society), è l’ennesimo esempio di perfetto dark progressivo. Lo scontro, scritta dal grande Luca Scherani (tastierista, tra gli altri, di La Coscienza di Zeno), è un bel break strumentale che anticipa la malinconica ballata Nel labirinto spirituale, spazzata via dalla forza heavy prog di Le 4 A, che fa coppia con l’ispirata Il mio nome è menzogna, tra i vertici dell’album. In Metamorfosi tornano pulsioni darkwave grazie a Maethelyiah e Nash, prima del finale per basso solo di Aseità, che chiude l’ennesimo centro targato Black Widow Records. (Luigi Cattaneo)
Il mio nome è menzogna (Video)
 

 

domenica 17 febbraio 2019

HELL'S GUARDIAN, As Above So Below (2018)


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Arrivano da Brescia gli Hell’s Guardian, un quartetto formato da Cesare Damiolini (voce e chitarra), Freddie Formis (chitarra), Claudio Cor (basso) e Dylan Formis (batteria), che con As above so below tornano in pista dopo un ep e un primo full di qualche anno fa. Il loro death metal, melodico ed epico, è accostabile a realtà come Amorphis, Sabaton, Dark Tranquillity e Atlas Pain, e proprio da questi ultimi arriva Samuele Faulisi, che si è occupato delle belle orchestrazioni del disco, ottime per creare atmosfera e grandeur melodrammatico, in un ritorno discografico con parecchi spunti degni di nota. Un crossover di influenze che risultano ben mescolate tra loro e che contraddistinguono un sound carico di pathos e felici intuizioni melodiche, con le già citate orchestrazioni di Faulisi ago della bilancia tra furia del death e ragionate parti clean. Dopo una breve introduzione è Crystal door a spianare la strada al lavoro, brano in cui troviamo Fabrizio Romani degli Infinity alla chitarra e Mirella Isaincu al violino. Il violino caratterizza anche Jester smile, mentre My guide my hunger vede duettare le voci di Marco Pastorino (Temperance) e Adrienne Cowan (Seven Spires, Winds of Plague). Colpisce la presenza di Ark Nattlig Ulv degli Ulvedharr, che presta la sua vocalità maligna nella buonissima Colorful dreams, ma è tutta l’opera a convincere, complice anche una produzione attenta che esalta le dinamiche degli ottimi bresciani. (Luigi Cattaneo)
Lake of blood (Video)
 

sabato 16 febbraio 2019

INYAN, A bitter relief (2018)



Nati nel 2001 per volontà di Simone Cosentini (voce e chitarra), gli Inyan diventano ben presto un trio, con l’entrata dapprima di Mirko Bombelli (batteria) e poi di Federico Colombo (basso). L’assetto non viene più modificato e i legnanesi pubblicano un ep (All your time is wasted) che permette loro di suonare in giro per il nord Italia, prima di un altro ep (Inside the shell) e soprattutto di questo interessantissimo A bitter relief, primo full dopo esperienze estere (un piccolo tour tra Belgio e Olanda). Lo stoner è la casa sicura dei milanesi, che non disdegnano incursioni in territori più heavy, quello grezzo, sporco, sparato in faccia senza grandi compromessi, se non quello di avere un songwriting capace di coinvolgere con la bella alternanza di frangenti hard e altri decisamente melodici. Se l’opener Ain’t no place mette subito l’ascoltatore sui binari prediletti, la successiva Not afraid già mostra le influenze settantiane e sabbathiane della band, prima di Meltin’ Pot, dominata da un ripetuto riff stoneriano di Cosentini. Back to life appare più come un momento di passaggio, mentre Don’t even matter crea un bel ponte con gli anni ’90 ed è tra i brani migliori. L’ottima In this world anticipa The way you wished, il piccolo capolavoro della band, una lunga traccia intrisa di stoner, psichedelia e atmosfera. La conclusiva My Valentine torna su sentieri maggiormente heavy rock, mostrando quella consistenza di fondo che si evince dall’ascolto del lavoro. A bitter relief si pone vicino agli ultimi lavori di Holyphant e Meteor Chasma, segno che un certo tipo di suono, fiero e potente, trova ancora validi esponenti anche nell’underground italiano. (Luigi Cattaneo)
A bitter relief (Full Album)
 

giovedì 14 febbraio 2019

The Watch & Sintesi del viaggio di Es, Il comunicato del concerto


 
Sabato 2 marzo, presso la Sala Centofiori (via Gorky 16 Bologna), si terrà il concerto di The Watch (che presenteranno repertorio dei Genesis dal 1970 al 1975) e Sintesi del viaggio di Es, band formata da ex componenti dei Sithonia, che presenteranno il loro primo album Il sole alle spalle (di cui abbiamo parlato proprio da queste pagine qualche mese fa).
 
Per maggiori informazioni potete visitare la pagina Facebook dell'evento https://www.facebook.com/events/513387939160679/

sabato 9 febbraio 2019

GIANLUCA D'ALESSIO, Sunrise Markets (2018)


Chitarrista dell’orchestra Rai, Gianluca D’Alessio ha collaborato con artisti come Simone Cristicchi, Michele Zarrillo e Claudio Baglioni (giusto per citarne qualcuno) e Sunset Markets è il suo esordio da solista. Ispirato alla vita londinese, dove il disco è stato concepito (con tanto di distribuzione Burning Shed), è la sintesi del pensiero di un professionista serio e preparato, che finalmente mette tutto il suo talento in un’opera propria. Il risultato è di altissimo livello, con 35 minuti quasi interamente strumentali dove troviamo come ospiti in alcuni brani anche il bassista John Giblin (Paul McCartney, Phil Collins, Peter Gabriel, Simple Minds) e il batterista Gavin Harrison (Porcupine Tree, King Crimson). Partenza sparata con The crow, power trio classico con D’Alessio davvero a proprio agio, mentre la già citata sezione ritmica ha modo di esprimersi nella stupenda Song 6, in cui troviamo anche Massimo Idà alle tastiere. La title track, di nuovo in trio, vede Fabio Fraschini sostituire Giblin ma il risultato è comunque eccezionale, mentre Cactus rallenta e si tinge di blues, mostrando le diverse possibilità di evoluzione della musica di Gianluca. Con Tutankhamon il chitarrista spinge di nuovo il piede sull’acceleratore, con tanto di solo di basso fusion ad opera di Patrizio Sacco e un chorus dal sapore prog di grande effetto. Veramente un brano magnifico. Roots è forse l’episodio più particolare, una delicata ballata sospinta dagli arpeggi di Gianluca e dalle percussioni soffuse di Daniele Leucci, ma è solo un passaggio, perché già Rockfeller Plaza sconfina in territori più marcatamente jazz rock, un ulteriore dimensione della musica contenuta in questo debutto. Drawing borders è l’unica traccia cantata (dal bravo Riccardo Rinaudo), un breve e isolato passaggio che anticipa la conclusiva e progressiva Red knight, altro buonissimo momento che mostra la grazia, la passione e la capacità di creare soluzioni strutturate ma sempre molto comunicative e intrise di pathos. (Luigi Cattaneo)
Tutankhamon (Video)

ROVERART, Labyrinth (2018)

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Primo album per i Roverart, band piacentina che per questo esordio ha puntato molto su un lavoro d’equipe, in cui emergono le doti di Lorenzo Moretto, che con le sue tastiere e il consueto flauto progressivo ha donato melodie settantiane immortali, la chitarra dai frangenti hard di Dario Moretto (abile anche al mandolino), la vocalità aspra e drammatica di Marco Vincini e una coppia ritmica, formata da Denis Cassi al basso e Giuseppe De Guida alla batteria, che ha saputo dare il giusto risalto a composizioni strutturate e attente all’aspetto melodico. Peccato che la band e questo disco siano ad ora del tutto ignorati da critica e pubblico di settore, perché qui abbiamo idee e scrittura, sintesi dell’amore per il vecchio prog inglese, che si traduce nella forza espressiva della title track e di Landscape ma anche nelle atmosfere classicheggianti di Wizard’s wake. Un susseguirsi di passaggi raffinati e cariche rock che trova in Spinning round e Days of Yore, tra i Genesis, i Van Der Graaf Generator e Le Orme di Truck of fire, tra le cose migliori di Labyrinth, un debutto che non deve passare inosservato, soprattutto nella cerchia, ancora cospicua, di chi ama questo tipo di sonorità. (Luigi Cattaneo)
Spinning round (Video)
 

venerdì 8 febbraio 2019

QUADRI PROGRESSIVI, Fabrizio De Andrè


L'artista milanese Lorena Trapani ha omaggiato il grande Fabrizio De Andrè con un lavoro china e acrilico 35x25.
Tutti i lavori di Lorena li trovate su questo blog e li potete richiedere inviando una mail all'indirizzo progressivamenteblog@yahoo.it

martedì 5 febbraio 2019

STERBUS, Real Estate/Fake Inverno (2018)


Mi ero personalmente occupato del progetto Sterbus diversi anni fa, prima con Eva Anger e poi con Smash the sun alight, due ep che lasciavano trasparire doti ancora da affinare e che con il nuovo Real estate/Fake inverno sembrano giunte a piena maturazione. Emanuele Sterbini (voce, chitarra, basso e synth) non è più solo e fa coppia con la brava Dominique D’Avanzo (voce, clarinetto e flauto), in un doppio album che ospita ben 26 musicisti, un organico sontuoso che dona profondità a trame ispirate e piene di idee, concepite anche per esaltare la figura di Bob Leith, batterista dei Cardiacs presente in quasi tutta l’opera. Il nome tutelare è sempre quello d’altronde, i Cardiacs e l’elaborazione del crossover in musica, dove le stratificazioni e i tempi dispari del prog finiscono per esaltare brani melodiosi, tutti legati alla forma canzone, come Home planet gone, con il piano di Riccardo Piergiovanni che si sposa perfettamente con i flauti magici della D’Avanzo e di Andrea Salvi o Trapeze, in cui ai tasti bianchi e neri troviamo invece Noel Storey. Razor legs è un magnifico interplay tra i fiati di Claudio Cavallaro (clarinetto) e Carlo Schneider (sax alto), mentre l’organo, il piano e il mellotron di Piergiovanni in Stoner Kebab profumano tanto di progressive, seppure sempre nell’ottica alternative di Sterbus. Leith è praticamente il terzo elemento della band e presta la sua voce in Blackducks on parade, contornato dai fiati stavolta ad appannaggio di Dominique (clarinetto e flauto) e Sauro Berti (clarinetto basso), confermando la tendenza ad unire fraseggi rock con delicati passaggi acustici. La contrapposizione di elementi è la cifra stilista che sottolinea il modo di agire di Emanuele, nelle atmosfere, nei suoni scelti, nel porre il duo all’interno di un affollato panorama di strumentisti, che divengono il motore per sospingere le influenze del romano (non solo i Cardiacs ma anche Zappa, gli XTC e i King Crimson) verso soluzioni ardite ma pop nel senso nobile del termine. (Luigi Cattaneo)
Maybe Baby (Video)
 

lunedì 4 febbraio 2019

WARM SWEATERS FOR SUSAN, Warm Sweaters for Susan (2018)


Ep d’esordio per i Warm Sweaters for Susan (Mimmo Gemmano alla voce e alla chitarra, Luca D’Andria alla chitarra, Gianluca Maggio al basso e Gabriele Caramagno alla batteria), 25 minuti a base di indie rock con echi wave, che seppure con qualche caduta di tono e una produzione rivedibile, lasciano intravedere buone idee e un discreto potenziale, che vanno però sviluppati maggiormente per incidere sul serio. C’è da dire che i pezzi scorrono via gradevolmente, ricordando la lezione del post punk inglese ma anche la leggerezza di inizio anni 2000 targata The Strokes e The Libertines, periodo in cui quella scena rock sfornava band in sequenza, che si distinguevano spesso per suoni che flirtavano con il garage e la dark wave ottantiana. Un revival che forse ha finito per influenzare anche i tarantini, perché già l’iniziale That’s the way my passion strirs crea atmosfere conosciute e che rimandano alle varie correnti alternative del rock. Anche Gravity, con il suo incedere darkeggiante, convince nell’arco di sette minuti piuttosto tirati, mentre Teach me to walk soffre parecchio di una registrazione al limite del lo-fi e di una costruzione generale alquanto debole. Meglio The quick brown fox jumps over the lazy dog, che ricorda qualcosa degli U2 degli anni ’80, prima di Satellites, finale leggerino e che conferma l’impressione di trovarci dinnanzi ad un’opera prima che avrebbe beneficiato di produzione e arrangiamenti maggiormente curati. Quartetto comunque da tenere d’occhio e con ampi margini di crescita. (Luigi Cattaneo)
Gravity (Video)
 

venerdì 1 febbraio 2019

EARTHSET, L'uomo meccanico

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Gli Earthset presentano la sonorizzazione del film muto “L’Uomo Meccanico”.

La sonorizzazione è nata all’interno del Progetto Soundtracks 2018, finanziato dal Centro Musica di Modena e col partenariato della Regione Emilia Romagna e del Museo del Cinema di Torino. Direttori artistici del progetto sono stati Corrado Nuccini (Giardini di Mirò) e Stefano Boni (Direttore del museo del Cinema di Torino).
Scopo del progetto era selezionare sei artisti o gruppi musicali attivi in regione che fossero interessati ad approfondire un percorso volto ad apprendere e sviluppare l’incontro tra musica ed immagine, con specifico riferimento ai film muti dei primi del ‘900.
La direzione artistica del progetto alla fine del corso ha assegnato alla band bolognese Earthset (compagine alternative rock composta da Luigi Varanese, Costantino Mazzoccoli, Emanuele Orsini ed Ezio Romano) ed al ravennate Luca Maria Baldinilacomposizione di una sonorizzazione per il film “L’Uomo Meccanico”. Il lavoro si è svolto sotto la direzione edil tutoraggio di Nicola Manzan (Bologna Violenta) e Tiziano Bianchi.

IL FILM
"L'Uomo Meccanico" è un film muto prodotto dalla Milano Film nel 1921. Autore e interprete della pellicola è il francese André Deed (noto in Italia come Cretinetti). Il film era parte di una trilogia che lo stesso Deed intendeva realizzare, ma il progetto fu interrotto bruscamente dal fallimento della Milano Film e l'unico film realizzato di questo progetto fu proprio "L'Uomo Meccanico".
Poiché si è perso il film "Il Mostro di Frankenstein" del 1914, "L'uomo Meccanico" è il primo film di fantascienza/horror prodotto in Italia ad oggi disponibile, seppur in versione mutilata.
La pellicola, infatti, era andata perduta e solo negli anni '90 la Cineteca di Bologna è riuscita a restaurare l'ultima bobina rimasta al mondo rinvenuta nella Cinemateca Brasileira di San Paolo.
“L’Uomo Meccanico” è per questo poco conosciuto, sebbene rappresenti una tappa molto importante del cinema italiano. Si tratta, della prima pellicola italiana ed una delle prime al mondo ad affrontare il tema dell'automa ed a mostrare la scena dello scontro tra un mostro meccanico buono ed uno cattivo, anticipando di gran lunga temi sviluppati dalla fantascienza posteriore (nonchè un certo immaginario mecha-giapponese).

LA SONORIZZAZIONE
La sonorizzazione musicale del progetto è affidata alla scrittura tra il noise rumoristico ed il post rock degli Earthset.
Se gli strumenti utilizzati, infatti, inscrivono il progetto in un filone comunque riconducibile al rock, gli inserti armonici dodecafonici, esatonali e dissonanti, la massiccia presenza di effetti rumoristici, l’incedere di loops ipnotici, la dilatazione temporale di atmosfere contaminano il campo e ricordano certe forme di ricerca sonora della musica classica contemporanea.
Non si tratta di un caso, ma della scelta ponderata della band, che per questo progetto ha voluto approfondire lo studio delle avanguardie storiche dei primi del '900 (in particolare la scuola di Vienna, Stravinskij e Debussy) e della più recente produzione classica contemporanea internazionale e nazionale (tra i vari riferimenti, Missy Mazzoli e Luca Francesconi).
Una delle frasi musicali che ricorre lungo tutta la sonorizzazione è proprio una successione di dodici suoni-fonemi (dodecafonia) che in una tabella di corrispondenze tra note e lettere, secondo una tecnica elaborata da Alban Berg, corrisponde al binomio UOMO MACCHINA.

IL TOUR
Il tour della sonorizzazione impegnerà la band bolognese per tutta la prima metà del 2019.
In
alcune date segnalate sarà presente anche Luca Maria Baldini. In questo caso, la sonorizzazione vedrà il dialogo tra la parte elettronica (suonata da Baldini) e la parte riservata all'Uomo Meccanico (suonata dagli Earthset).
Ai loops ed ai ritmi su cui Baldini tesse da sua rete di atmosfere e desing sonoro, si contrappone la scrittura tra il noise rumoristico ed il post rock degli Earthset, creando un intreccio unico e disorientante.


CONCERTI DEL MESE, Febbraio 2019

Venerdì 1
·Uriah Heep a Lagundo (BZ)
·Carl Palmer a Ranica (BG)
·Disequazione a Trieste

Sabato 2
·Carl Palmer a Biasca (Cantone Ticino)
·Uriah Heep a Cesena
·Massimo Giuntoli a La Spezia
·Le Orme a Genova
·Alviti & Papotto a Roma
·Rinunci a Satana? ad Arcore (MB)

Domenica 3
·Uriah Heep a Trezzo s/Adda (MI)
·Legends of Prog Rock a Padova
·Mad Fellaz a Romano d'Ezzelino (VI)

Lunedì 4
·Roberto Cacciapaglia a Ivrea (TO)

Martedì 5
·Legends of Prog Rock a Forlì
·Roberto Cacciapaglia a Biella

Mercoledì 6
·Legends of Prog Rock a Roma


Giovedì 7
·Kiko Loureiro al Legend di Milano

Venerdì 8
·Balletto di Bronzo a Torino
·Carl Palmer a Melfi (PZ)

Sabato 9
·Balletto di Bronzo alla casa di Alex di Milano
·Estro a Roma
·Real Dream a Genova
·Carl Palmer a Mola di Bari (BA)

Martedì 12
·Lingalad ad Alzano Lombardo (BG)
·Carl Palmer a Bologna

Mercoledì 13
·Steven Wilson a Bologna

Giovedì 14
·Steven Wilson a Bergamo
·Roberto Cacciapaglia a Bologna

Venerdì 15
·Estro a Orvieto (TR)
·The Forty Days a Genova
·O.R.k. a Ravenna
·Juri Camisasca a Bologna


Sabato 16
·O.R.k. a Lugagnano (VR)
·Estro a Firenze
·Get'em Out a Desio (MB)
·Sintesi del Viaggio di Es a Zero Branco (TV)

Domenica 17
·Memorial per Marcello Vento a Roma
·Arturo Stàlteri a Pontassieve (FI)

Giovedì 21
·Pineapple Thief + Eveline's Dust a Firenze
·O.R.k. a Bari

Venerdì 22
·Pineapple Thief + O.R.K. a Roma
·Estro ad Assisi (PG)
·Aldo Tagliapietra a Provaglio d'Iseo (BS)

Sabato 23
·Pineapple Thief + O.R.K. a Milano
·Basta + Segno del Comando a Terranuova B. (AR)

Domenica 24
·Massimo Giuntoli a Milano


·Ranestrane + R. Romano Land a Roma
·Indiana Supermarket a Roma