lunedì 27 novembre 2017

STRUTTURA & FORMA, One of us (2017)


Gli Struttura & Forma hanno una vicenda analoga a quella di diverse band italiane dei ’70, che per svariati motivi non sono riuscite a lasciare incisioni discografiche della loro attività e finiscono per diventare con gli anni un bagliore nella mente di qualche appassionato che magari aveva assistito ad uno dei concerti dell’epoca. Franco Frassinetti (chitarra) e Giacomo Caliolo (chitarra), gli unici due membri originari della prima formazione, accompagnati da Marco Porritiello (batteria), Claudio Sisto (voce) e Stefano Gatti (basso) e dall’ospite Beppe Crovella degli Arti e Mestieri al mellotron, riescono solo ora a pubblicare One of us, un disco vintage e con virate hard dirette e potenti. L’epico strumentale Worms, registrato nel 1972, è un grandioso inizio ma non è da meno Symphony, con Crovella sempre grandissimo mattatore nei suoi passaggi e una scrittura complessiva raffinata e da subito godibile. Dopo la piacevole rivisitazione di Lucky man (che ci fa comprendere come gli Emerson Lake & Palmer e tutto il prog inglese siano stati di grande importanza per l’ensemble) arriva il primo vagito heavy prog con l’interessante Kepler. Se la title track va a lambire con gusto territori fusion, i due minuti strumentali di Kyoko’s groove sono tirati e di grande impatto. Indios dream conferma la grande capacità degli Struttura & Forma di proporre idee in linea con il progressive senza eccedere in sterili elucubrazioni virtuosistiche e sulla stessa lunghezza d’onda vi è Fasting soul, immediata e di notevole urto rock. Amsterdam è forse il momento meno riuscito di tutto il disco ma è solo un frangente, perché Acoustic waves è un delicato strumentale e Il digiuno dell’anima è un bel finale, unica traccia in italiano e variante gradevolissima del percorso intrapreso lungo il platter. Dopo Quanah Parker, Spettri e Posto Blocco 19 (giusto per citare qualche band), che hanno trovato la giusta consacrazione in anni recenti, ecco un ulteriore riprova della qualità del prog italiano e di come ci siano ancora piccole gemme da scoprire. L’augurio, scontato, è che i liguri non debbano attendere altri 45 anni per dare un nuovo segnale di vita … (Luigi Cattaneo)
 
Symphony (Video)
 

domenica 26 novembre 2017

TREWA, Beware the selvadic (2016)


Luca Briccola è uno di quei personaggi dell’underground italico che spesso raccoglie meno di quanto semina. Mogador, Trewa, Sarastro Blake, gruppi autori di ottimi album troppe volte conosciuti più dagli addetti ai lavori che purtroppo dagli appassionati. Sperando non sia il caso anche di questo Beware the selvadic, terzo disco targato Trewa (Luca Briccola alla chitarra, alle tastiere, al flauto, alla fisarmonica, al banjo e alle percussioni, Lucia Amelia Emmanueli alla voce, al flauto e al clarinetto, Claudio Galetti alla voce, Joseph Galvan al basso, Filippo Pedretti al violino e al glockenspiel e Mirko Soncini alla batteria) e contaminato da maggiori influenze heavy, a cui vanno affiancate le solite componenti folk e progressive (Pentangle, Jethro Tull, Opeth). Permangono quindi le sonorità tipiche dei comaschi, a cui però vengono aggiunte sfuriate hard che finiscono per rendere la proposta maggiormente greve e in alcune parti accostabile agli Eluveite. Si parte con Skaldic kin (ispirata alla medievale Cantiga n ° 166), un crossover ben riuscito di folk, dark e metal abbellito dal violoncello di Irina Solinas. A seguire Where the hawks wait ready (che invece si basa sul tradizionale irlandese Sweeney’s buttermilk), decisamente heavy seppure fanno capolino strumenti tradizionali come il whistles di Massimo Volontè e il bodhran di Riccardo Tabbì. Si vira verso il folk con la ballata The soldier’s scars, mentre il country di Cold frostly morning viene utilizzato per Awakening, brano dove troviamo anche i consueti fraseggi prog metal del sestetto. Pure The woodwose si avvale di tale dicotomia, con la struttura folk che viene irrobustita da ritmiche accelerate e grandiosi riff chitarristici, un pezzo epico tra i migliori del platter. Se White sails continua sulla stessa falsariga, Sublime selvadic guarda al medioevo catalano (riprendendo il tema Stella splendens) con le importanti partecipazioni di Tabbì, la voce di Richard Allen e l’arpa di Rossana Monico. The quiet lady segna il ritorno della Solinas e del folk marcato Trewa, così come Olaf the stoner si basa invece sul medievale norvegese Herr Olof e veleggia in territori prog folk metal. In A shimmering sword vi è di nuovo il bodhran di Tabbì ma soprattutto la cornamusa di Melissa Milani, che ovviamente finisce per dare quel profumo di Scozia alla composizione. Clayton riprende il klezmer Odessa Bulgarish contornandolo di sviluppi hard, prima del finale country di Horizons, suggello di una prova curiosa, estremamente eterogenea e di grande cultura. (Luigi Cattaneo)
 
The woodwose (Video)
 

venerdì 24 novembre 2017

TRAUMA FORWARD, Scars (2017)



Scars è il primo album dei toscani Trauma Forward, duo composto da Jacopo Bucciantini (batteria e voce) e Davide Lucioli (tastiere e voce) e coadiuvati da Francesco Zuppello (chitarra) e Michael De Palma (basso), un concept surreale fatto di immagini e suoni onirici e sperimentali, che parte dai famosi tagli di Fontana per raccontare di squarci e patimenti interiori, dove tutto risulta posticcio e ingannevole (a partire dall’interessante artwork del disco). Il platter è fatto di spunti acustici, schegge elettroniche e dark prog e già l’iniziale Into the labyrinth, con il suo tetro organo introduttivo è esemplificativa di un percorso in cui troviamo gli Jacula, i Goblin e un certo post rock impalpabile e sfuggente. Più soffusa la partenza di Red shadows, con l’interplay tra tastiere e chitarra che lungo il brano ricorda anche qualcosa dei Piano Room, prima del finale narrato con mestizia da Lucioli. In Sundown living puppet il protagonista è di nuovo Lucioli con le sue tastiere, sostenute dalle ritmiche di Bucciantini, mentre nella seguente Cloud in a bottle il quartetto crea un affascinante bozzetto astrale. Sometimes I feel vede di nuovo il duo all’opera, lasciando libero sfogo a fantasiose escursioni elettrodark, Waiting’s four Seasons è invece proiettata verso suoni liquidi, vellutati, quasi fragili nella loro essenza. La title track è un’alternanza di passaggi aggressivi e armoniosi, un contrasto tra elementi che poi è alla base del plot generato dai Trauma Forward e che trova conferma nelle trame acustiche di Sense of consciousness, vicina ad alcuni episodi degli eterei neofolk Corde Oblique. Foggy hills ritorna sul versante elettronico ma risulta più banale rispetto agli episodi precedenti, maggiormente interessante è invece la malsana indole di Behind the line, un heavy dark a tinte gotiche. A rusty piece of mind nelle parti elettroniche si avvicina all’EBM, per poi variare il contesto con l’agire della chitarra di Zuppello, prima della conclusiva Woman with parasol che finisce per fare il verso ad alcuni suoni tipicamente orientali! C’è una discreta varietà in questo debut, una costante ricerca sulle dinamiche che denota voglia di esplorare ma anche la capacità di non esagerare, di riuscire a comunicare qualcosa pur non utilizzando un linguaggio ortodosso, segnali tutt’altro che secondari per una band ancora giovane e con margini di crescita. (Luigi Cattaneo)
 
Into the labyrinth (Video)
 


 
 

 
 

mercoledì 22 novembre 2017

MACHINE MASS, Machine Mass plays Hendrix (2017)


Celebrare alcuni personaggi chiave del novecento musicale e dell’immaginario collettivo come Pink Floyd, Zappa e in questo caso Jimi Hendrix presuppone avere quantomeno una discreta dose di follia, quella che ha spinto i Machine Mass a tributare il genio di Seattle. Ci vuole anche talento ovviamente ma di quello sono indubbiamente forniti Antoine Guenet (tastiere, synth e piano acustico) dei Wrong Object e degli Univers Zero, Michelle Delville (chitarra), anche lui proveniente dai Wrong Object e presente anche nel sestetto di Alex Maguire e nei douBt e Tony Bianco (batteria e percussioni), elemento che ha suonato con Elton Dean e Dave Liebman. Il trio è una combinazione vincente di psichedelia, rock progressivo settantiano e jazz canterburiano, elementi che vengono instillati in brani immortali come Purple Haze, Spanish Castle Magic o Fire, di cui rimane l’archetipo oltre che alcune dinamiche originali. La band non segue giustamente il canovaccio hendrixiano ma vola libera, fresca, premia l’istinto con passaggi al limite del free, suggella gli arrangiamenti con vibranti tessiture di synth e tastiere che completano una revisione in cui convive lo spirito di Jimi con l’autonomia di interpreti esperti e sicuri. Un’operazione rischiosa ma affascinante, proprio per la ferrea volontà di limitare convenzioni e inibire steccati (come da tradizione Moonjune Records), di non muoversi lungo una sola linea retta ma di inerpicarsi in un labirinto di prospettive, ripensando il percorso di Hendrix con acume e rispetto. Machine Mass plays Hendrix è un grande omaggio, brillante e avventuroso, consigliato agli estimatori della sua musica, che è sempre stata senza catene e schemi precostruiti. (Luigi Cattaneo)
 
You got me floatin (Video)
 

domenica 19 novembre 2017

ALESSIO SECONDINI MORELLI'S, Hyper-Urania (2017)


Alessio Secondini Morelli, già chitarrista con gli Anno Mundi e con Freddy e The Kruegers, presenta un nuovo progetto musicale, Hyper-Urania, band che affonda le proprie radici con fierezza nel glorioso Heavy Metal ottantiano, quello di Queensryche, Crimson Glory, Iron Maiden e Saxon, quindi una miscela di potenza e melodia intramontabile anche per le nuove generazioni di metalhead. L’ep vede la presenza di diversi musicisti del folto underground romano (il mini è stato realizzato negli studi Bottega del suono di Roma), tutti molto affini alle idee di Morelli, che ha composto brani immediati, passionali, epici e pieni di sano vigore heavy. Si parte subito forte con la classicità di Arkam, un pezzo che premia la natura istintuale del progetto, vigorosa e col giusto appeal anni ’80, quello del metal americano fatto di soli e chorus decisi, qui esaltati dalla voce di Federica Garenna (Sailing to Nowhere, She Devil) e da una grintosa sezione ritmica (Emiliano Eme Laglia al basso e Daniele Zangara alla batteria, colonne su cui poggiano quasi tutte le tracce). Lord of the flies è un heavy rock piuttosto tirato che guarda ancora agli ’80 e vede la presenza del bravo Freddy Rising (Acting Out, Martiria, Bible Black) alla voce, mentre il breve strumentale Fuga in mi minore del Canto delle Valchirie anticipa Scarlet Queen, ripresa dal primo disco degli Anno Mundi e decisamente NWOBHM (con di nuovo Freddy alla voce). Chiudono l’ep la cover dei Blue Oyster Cult Veteran of the psichi wars in cui troviamo ben tre cantanti, ossia Freddy, la Garenna e Francesco Lattes (New Disorder, The Falls) e l’outro strumentale Steven Shark basata sul tapping. Alessio non ha intenzione di inventare nulla e quello che fa è frutto di una sincera passione, la stessa che lo ha portato ad un primo passo sicuramente gradevole e che getta le basi per qualcosa di più corposo. (Luigi Cattaneo)
 
Lord of the flies (Video)
 

sabato 18 novembre 2017

QUARTO VUOTO, Illusioni (2017)


Primo full lenght per i Quarto Vuoto, che dopo la dipartita del cantante e violinista Federico Lorenzon scelgono di pubblicare un album interamente strumentale e vicino alla psichedelia floydiana e al progressive dei King Crimson. I trevigiani concepiscono con Illusioni un lavoro molto strutturato, con passaggi atmosferici, dark e qualche spunto avanguardistico che ben si amalgama con certi sviluppi sonori. Sontuosa la vena psichedelica di Nei colori del buio, con Mattia Scomparin (tastiere e piano) protagonista nel creare suggestivi tappeti che finiscono per imparentarsi con l’ambient ricercato di Brian Eno e il tanto discusso The endless river dei Pink Floyd. Coscienza sopita mette in mostra la coppia ritmica formata da Edoardo Ceron (basso) e Nicola D’amico (batteria) e il dinamismo di Luca Volonnino (chitarra), per un brano che sintetizza l’amore per il progressive e la psichedelica, mentre Impasse è uno dei momenti migliori, con Giulio Dalla Mora al sax tenore che ben si cala nelle dinamiche dei Quarto Vuoto, qui forse all’apice della loro pur breve carriera. Difatti la composizione è una lunga e articolata cavalcata sospinta da pulsioni dark prog, vagiti space e Kraut in odore di Cluster e sussulti psichedelici in cui è importante il lavoro d’insieme. A dire il vero anche la seguente Apofis si muove sulla stessa scia (presenza di Dalla Mora compresa), dove forse viene accentuata la componente rock del quartetto, prima di Due ° Io, un bel incontro/scontro tra forza e delicati spunti psichedelici e la conclusiva e raffinata Tornerò, impreziosita dal violino acustico di Mauro Spinazzè, indubbiamente un bellissimo finale per un lavoro di grande pregio e che celebra la crescita esponenziale della band veneta, molto più interessanti e affascinanti rispetto al pur piacevole ep d’esodio del 2014. (Luigi Cattaneo)
 
Apofis (Video)
 

giovedì 16 novembre 2017

INARMONICS, A thing of beauty (2017)

Risultati immagini per inarmonics

A thing of beauty è il debut degli Inarmonics, un crossover intelligente tra influenze black, indie rock e fraseggi strumentali che puntano molto su groove e impatto. Registrato interamente in presa diretta come un disco del passato, l’album contiene più anime, una contaminazione tra stili che risulta da subito gradevole e cerca di non limitare la voglia di toccare generi differenti. Anche la voce di Gianluca Gabrielli riesce a spaziare seguendo il mood delle varie tracce, apparendo più soul quando il contesto lo esige o volutamente drammatica nelle parti maggiormente tirate o oscure, merito anche di bravi musicisti come Massimiliano Manocchia (chitarra), Giampaolo Simonini (basso) e Manuel Prota (batteria). L’iniziale Disma mostra subito le sfumature del loro sound, con qualche spunto prog che non dispiace affatto, mentre la title track ha un gusto decisamente più vicino alla black music, con elevati dosi di appeal che potrebbero far funzionare il pezzo anche nelle radio nazionali. Bello il tribalismo di In the park, nervoso e turbolento, aspetto che ci conduce al dinamismo di Funkarabian Scat, uno strumentale che unisce il funky rock e il Medio Oriente. Tale splendore lascia il posto a History, più indie ma comunque convincente, ma è solo un passaggio, perché Farabutto è un nuovo favoloso e vibrante strumentale che mette in mostra doti tecniche e un notevole interplay tra il quartetto. Toni da ballata con Gone too fast, prima del finale di More wine, carico di buone vibrazioni (in alcuni momenti mi ha fatto pensare al periodo più ispirato di Ben Harper) e ottima conclusione di un disco volutamente senza un’unica direzione, capace di lambire più ambiti grazie a idee e coraggio. (Luigi Cattaneo)

Di seguito il link per ascoltare l'album per intero https://itunes.apple.com/it/album/a-thing-of-beauty/1227674427?i=1227675345

lunedì 13 novembre 2017

DARK AVENGER, The Beloved Bones : Hell (2017)


Pregevole ritorno per i brasiliani Dark Avenger, un gruppo che con gli anni si è molto migliorato e ha creato una base di fan anche qui in Italia che non avranno difficoltà nel riconoscere The beloved bones : Hell come uno dei dischi più riusciti dell’act carioca. Il nuovo platter conferma ovviamente la carica heavy insita nei verdeoro, con squillanti trame epic e fraseggi che finiscono per lambire il thrash metal tecnico, un percorso forgiato da aggressività e pathos. I Dark Avenger hanno dalla loro un’attenzione immensa per la melodia, che diviene elemento focale pure nei frangenti più duri, segno delle raffinate doti di songwriting sempre più sviluppate dell’ensemble. Il mood inquieto e malinconico con cui sono stati costruiti parecchi brani si sposa con la potenza della coppia di chitarristi Glauber Oliveira e Hugo Santiago e una sezione ritmica corposa e precisa formata dal basso di Gustavo Magalhaes e dalla batteria di Anderson Soares (segnalato però come musicista esterno alla band), musicisti egregi su cui si muove sontuosamente la voce di Mario Linhares. Si parte in quarta con The beloved bones, che si apre con un ipnotico intro di violino di Mayline Violinist, che ben presto viene spazzato via da un tremendo riff thrash metal che indirizza la trama verso lidi cari ai Nevermore, con frangenti davvero molto violenti. Smile back to me conferma l’aurea cupa e diabolica e la pesantezza del thrash, condita però da sfumature epiche coinvolgenti. Non dispiace nemmeno il grandeur gotico di King for a moment in cui vengono delineati alcuni topoi del gruppo, che oscilla tra epic, sfuriate heavy e sensibilità melodica. This loathsome carcass è ancora fosca e greve ma lascia intravedere uno spiraglio di luce, qui tradotto per mezzo di note che riescono a sedurre chi ascolta. È solo un attimo, perché i brasiliani non hanno nessuna intenzione di porre freno al loro spirito bellico e i riff sostenuti di Parasite sono lì a dimostrarlo. Breaking up again inizia come una delicata e inusuale ballata, per poi aggredire con ferocia l’inerme spettatore di questa furia (in)controllata. Un po’ di prog irrompe in Empowerment, soprattutto per una certa enfasi, la maestosa melodia portante e una riuscita parte strumentale, mentre Nihil mind appare più diretta e immediata, pur essendo tutt’altro che scontata. Purple letter non cambia registro ma si arricchisce della presenza di Marcella Dourado alla voce, un duetto godibile e sinuoso, prima di ben due ballate, Sola mors liberat, con il piano di Vinicius Maluly e la bonus track When shadows falls, poste insieme a concludere un disco ricchissimo di idee e vera manna per tutti gli amanti dell’hard & heavy. (Luigi Cattaneo)
 
The beloved bones (Video)
 

sabato 11 novembre 2017

DANTE ROBERTO, The circle (2017)


Esordio discografico per Dante Roberto, docente presso il Conservatorio Paisiello di Taranto e con una cultura classica di notevole spessore, che qui riversa in un album progressive a tutto tondo dove le sue tastiere sono ben sostenute da Salvatore Amati al basso, Alessandro Napolitano alla batteria e da un trio di chitarre formato da Luca Nappo, Salvatore Russo e Alex Milella, che Dante utilizza singolarmente in base al mood del pezzo. The circle è un disco che gli amanti di un certo prog, vintage e settantiano, non possono lasciarsi sfuggire, un concept strumentale che lega quella mitica stagione di New Trolls e Le Orme con quella attuale di Alex Carpani o The Rome Pro(G)ject, il tutto suonato e arrangiato con estrema sapienza. Il platter si presenta subito bene con Dante suite, composizione divisa in tre parti in cui viene presentata la visione d’insieme di questa band, con Roberto soave nel fraseggio pianistico, Russo e Nappo dinamici nel dare un’impronta quasi hard a certi passaggi e una sezione ritmica che dona il giusto supporto in termini di potenza ed eleganza. Non mancano ovviamente i sinfonismi tipici del genere, a cui vengono contrapposte dolenti note acustiche e virtuosismi che, a dire il vero, non ho trovato fuori luogo ma dosati con sapienza da interpreti che guidano con maestria i loro strumenti. All change cita Emerson Lake & Palmer e Quatermass, per poi sfoderare passaggi al limite della fusion, mostrando la capacità dell’ensemble di variare lo spartito anche nella singola traccia. Stupenda Tra fuoco e fiamme, dieci minuti sintesi dei suoni di Dante, tra spirali classicheggianti e parti più dure, fughe tastieristiche e soli di chitarra (in questo caso di un notevole Nappo). Open your heart è una tenue ballata che si sviluppa sulle intuizioni del leader, davvero una grande e sensibile song, un momento di passaggio prima di Lisea (eroica vestale tarantina), un altro ottimo viaggio sospeso egregiamente sull’interplay tra parti di spessore tecnico e un livello di lirismo non comune. Funky disco, lo dice il titolo, è più leggiadra ma non per questo frivola, segno delle enormi possibilità del gruppo. Finale affidato alla curiosa Toccata, che inizia come il solito omaggio alla fusione tra classica e rock per poi aprirsi verso suoni latini inaspettati! The circle è un bellissimo esordio e ha tutte le carte in regola per suscitare emozioni sia nei fan del prog rock più canonico che in quello robusto di Dream Theater e affini. (Luigi Cattaneo)
 
Lisea (Video)
 

lunedì 6 novembre 2017

CIRCUS NEBULA, Circus Nebula (2017)


Nati nel lontano 1988 a Forlì, i Circus Nebula arrivano solo ora al debut grazie alla sempre lodevole attività della Andromeda Relix e confermano quanto fatto vedere in quasi 30 anni di attività, con strutture e riff di matrice hard che si sposano con l’immediatezza furente del r’n’r sessantiano e la psichedelia che incontra la passione per il cinema horror e i b-movies. Marco Bonavita (voce anche di Amphetamine e Nasty Tendency), Alex Celli (ex chitarrista dei bravi Buttered Beacon Biscuits), Bobby Joker (batterista già presente nei Diatriba), Michele Gavelli (tastiere, in comproprietà con i Blastema) e Frank Leone (già Nasty Tendency e ora con il grande Michael Vescera) sono il quintetto che ha dato vita ad un esordio dove, a fianco dei cavalli di battaglia di sempre, troviamo inaspettati inediti di spessore. Così tanta perseveranza riempie i solchi di questa opera prima, diretta conseguenza di demo, apparizioni su compilation e live aperti per Paul Chain, Death SS e Dogs D’Amour, una forza propulsiva contagiosa che parte in quarta con Sex garden, potente ma molto melodica. Il singolo Ectoplasm è puro hard rock, mentre più darkeggiante è Here come the medicine man, prima della briosa verve di Rollin thunder, un rock ‘n’ roll diretto e assolutamente convincente. Dopo un inizio così scoppiettante il quintetto propone una valida ballata, Vacuum dreamer, per poi tornare con fermezza al roccioso rock di Welcome to the Circus Nebula. Ci si sposta sul versante heavy con la ferrea 2 loud 4 the crowd e da lì in poi i romagnoli non staccano più il piede dall’acceleratore, regalandoci la profonda Electric twilight, la dura Head-Down, la grinta live e quasi punk di Mr. Pennywise e il finale scoppiettante di Spleen. Trent’anni di attesa fieramente ripagati fanno di questo Circus Nebula un disco genuino e verace, pieno di passione per un genere immortale di cui c’è bisogno e sempre ce ne sarà. (Luigi Cattaneo)
 
Album Promo Teaser
 

sabato 4 novembre 2017

LE JARDIN DES BRUITS, Assoluzione (2017)


Tony Vivona (basso, farfisa, chitarra e pianoforte, già con Dea, Radioattivi e Verde Matematico, giusto per citare qualche suo progetto) e Simone Tilli (cantante attivo con Lirico, Carnera e Deadburger, tra gli altri) sono il duo dietro il monicker Le Jardin des Bruits e Assoluzione è il loro primo lavoro, registrato insieme ad una serie di musicisti perfettamente calati nel contesto indie rock proposto. I riff distorti su cui sono stati creati i brani sono la colonna portante di un album introspettivo in cui emerge l’amore non solo per il rock americano ma anche per quello italiano dei ’90, così come per l’indie, l’alternative, la new wave e il cantautorato. Pur non essendo un concept la tematica religiosa è il filo conduttore del platter e i personaggi tracciati finiscono per subire una certa condizione e la musica che sottolinea gli eventi risulta immediata ma stratificata, soprattutto nella scelta degli arrangiamenti, una somma di più elementi e suoni non sempre del tutto a fuoco ma sicuramente interessanti. Le idee che si sviluppano attorno ad un’elaborata forma canzone si manifestano già nell’iniziale Ovunque e comunque, dove le rose rosse citate non sono quelle del Massimo Ranieri targato 1969 ma presentano spine dolorose, che Vivona (impegnato qui anche all’organo Farfisa) e compagnia gettano in faccia all’ascoltatore. Seguono la dolente Salvami e la bella ballata Scatola di stelle, impreziosita da un trio d’archi formato da Jamie Marie Lazzara (violino), Giulia Nuti (viola) e Pedru Gabriel Horvat (violoncello). Non mi ha convinto del tutto Gesù di maggio, che ho trovato con meno mordente delle precedenti, seppure è solo un attimo, perché già la successiva malinconia di Wrongsong riporta tutto su standard più alti, anche grazie alla voce di Elisa Lepri che ben si sposa con quella di Tilli e al tocco di Gianni Fini alla slide guitar, uno strumento sempre ricco di fascino. Ottima la title track, dove Tilli diviene grande narratore con uno spoken word efficace e dai toni plumbei, così come di rilievo è Impressioni di novembre in cui la band si diverte a citare la P.F.M. e ripropone la vena classicheggiante della Nuti e di Horvat atta a creare un curioso interplay con il taglio indie della composizione. Più banale Mentre fuori il giorno muore, mentre tentano la carta sperimentale con Le Jardin des Bruits, episodio a sé in cui è stato utilizzato un contrabbasso elettrificato per sviluppare un plot ritmico su cui innescare la viola e il violoncello. Chiude il disco l’amara conclusione di Come sempre (in cui compare il clarinetto di Matteo Bianchini), perfetto finale di un esordio assolutamente piacevole. (Luigi Cattaneo)
 
Ovunque e comunque (Official Video)
 

giovedì 2 novembre 2017

VERDUGO, We are our own demon (2016)


Nati come duo country blues, i bergamaschi Verdugo sono attualmente un trio (Claudio Albergoni  alla chitarra, al pianoforte e alla voce, Federica Lovatello alla voce e alle percussioni e Daniele Milesi alla batteria) con parecchie sfumature folk rock, bluegrass e alternative country di matrice americana. We are our own demon è il loro primo full lenght e ha tutte le carte in regola per piacere ad un pubblico trasversale e non per forza legato ad un solo genere musicale. Uncut è un ottimo inizio, più rock di quanto ci si possa attendere, con Albergoni molto espressivo e la Lovatello bravissima nell’inserirsi come seconda voce nel chorus. A ruota troviamo la notevole title track, dominata da un riff potente ai limiti del grunge e da un mood greve in cui fa la sua parte anche Milesi, puntuale metronomo del trio, mentre più solare è Hummingbird, in cui viene fuori maggiormente la vena folk rock del gruppo. Mark on the wall è giocata sull’interplay tra le due voci, che tratteggiano uno scenario alt country piuttosto gradevole, Long coming home è invece una ballata dal sapore antico, un momento posto saggiamente a metà album e che mostra un’altra anima del trio. Wedding gown prosegue sulla stessa falsariga confermando come la band non abbia difficoltà nello scrivere ballate legate all’immaginario stelle e strisce, una sensazione che non svanisce nemmeno con The sun rises over all, seppur più tirata e potente. Godspeed you (blank old world) sorprende nuovamente per l’aggressività di cui è intrisa e lascia intravedere anche la possibilità di nuovi orizzonti creativi da esplorare nel futuro, perché si tratta di uno dei pezzi più interessanti del platter. Buonissimo anche il finale di Demon of empty streets, un indie rock ispirato e maturo, degna conclusione di un debut assolutamente rilevante e con dei tratti distintivi chiari che mostrano un ensemble con una proposta affascinante e brillante. (Luigi Cattaneo)
 
Hummingbird (Video)
 

mercoledì 1 novembre 2017

CONCERTI DEL MESE, Novembre 2017

Mercoledì 1
·Claudia Quintet a Roma

Giovedì 2
·Claudia Quintet a Siena

Venerdì 3
·Mad Fellaz a Quinto di Treviso (TV)
·Motorpsycho a Parma
·Lingalad a Lucca
·Methodica a Trieste
·Diraxy a Milano
·Periferia Del Mondo a Roma

Sabato 4
·Kraftwerk a Torino
·Panther & C.+Eveline's Dust a Milano
·Glincolti a Treviso
·Kubin a Lainate (MI)
·Motorpsycho a Livorno
·Prog 61 a Livorno
·Lachesis a Cassano d'Adda (MI)
·Estro a Cecchina (Roma)

Domenica 5
·Kraftwerk a Torino
·Motorpsycho a Trezzo s/Adda (MI)
·Secret Tales a Milano

Lunedì 6
·Kraftwerk a Torino
·Motorpsycho a Roncade (TV)

Martedì 7
·Kraftwerk a Torino

Mercoledì 8
·The Musical Box a Napoli

Giovedì 9
·The Musical Box a Torino
·Peter Hammill a Roma

Venerdì 10
·The Musical Box a Padova
·Unreal City a Lugagnano (VR)
·Peter Hammill a Napoli
·Elevate a Busche (BL)

Sabato 11
·N. M. Brock+Monkey Diet a Lugagnano (VR)
·Peter Hammill a Terni
·Phoenix Again + altri a Genova
·M.Giuntoli "Vox populi" a Paderno D.(MI)
·Lingalad a Pistoia
·Malibran a Catania

Domenica 12
·The Musical Box a Roma
·M. Giuntoli "Vox populi" a Lainate (MI)

Lunedì 13
·Leprous a Segrate (MI)
·Peter Hammill a Chiari (BS)

Martedì 14
·C. Simonetti's Goblin a Napoli
·PFM a Torino
·Peter Hammill a Milano
·Liquid Shades a Ferrara

Mercoledì 15
·Peter Hammill a Tolmezzo (UD)
·PFM a Genova


 Venerdì 17
·Peter Hammill a Livorno
·Massimo Giuntoli "Hobo" a Milano
·Liquid Shades a Imola (BO)
·The Watch a Roma

·Lingomania a Castellanza

Sabato 18
·Blank Manuskript a Lugagnano (VR)
·C. Simonetti's Goblin a Parma
·Rêverie a Milano Teatro Parenti ore 12:30
·Inter Nos a Portogruaro (VE)

Domenica 19
·Crippled Black Phoenix a Milano
·Aldo Tagliapietra a Mestre (VE)

Mercoledì 22
·Ulver a Milano

Giovedì 23
·Ulver a Roma
·PFM a Trento
·Il Paradiso degli Orchi a Rezzato (BS)

Venerdì 24
·Claudio Simonetti's Goblin a Pisa
·Ulver a Ravenna
·Tazebao a Parma
·Ufomammut a Molfetta (BA)
·Soul Secret a Bologna
·Roberto Cacciapaglia a Palermo

Sabato 25
·Giorgio "Fico" Piazza a Lugagnano (VR)
·Dancing Knights a Roma
·Prog 61 ad Asciano (PI)
·Get'em Out a Trofarello (TO)
·Möbius Strip + Quartech a Roma

Domenica 26
·Paradiso degli Orchi+Cellar Noise al Legend di Milano

Lunedì 27
·Mastodon+Russian Circles a Trezzo (MI)

Mercoledì 29
·Roberto Cacciapaglia a Milano

Giovedì 30
·Napoli Centrale a Torino