martedì 29 dicembre 2020

FRANCESCO PERISSI XO, Rossana (2020)

 

Nuovo e particolare concept album diviso in cinque fasi sull’elaborazione del lutto per Francesco Perissi XO (ex Qube), che con Rossana mostra tutto il suo background fatto di avanguardia, elettronica, dark e IDM, con lo sguardo che si posa su nomi come Autechre, Moderat e Bernard Parmegiani. Beauty è l’inizio atmosferico dell’album, una sorta di lunga introduzione vicina ad alcune pagine dei VNV Nation, anticipatrice del beat di Wordless, con il cantato di Francesco che viene subissato da suoni e rumori, effetti e distorsioni, emozionale chiusa del primo capitolo dedicato alla negazione.  Broken segna l’avvicinarsi della rabbia, il sound si fa ossessivo, pulsante, con una coda malsana in odore di Nine Inch Nails, che prosegue anche in Fxxk, uno dei pezzi più interessanti e completi del disco. La fase del patteggiamento si sviluppa dapprima con Cancer e poi in Venus, una sorta di suite elaborata tra ripetitivi espedienti elettronici e cura per la forma canzone, seppure rivisitata con una certa dose di personalità. La voce di Perissi ci conduce al momento della depressione per la perdita, una resa che diviene esplicita nelle suggestioni di Shine e Cherish, colonne sonore di un dolore che diviene tangibile, vivido, filmico. Si arriva al momento dell’accettazione con la magnetica Twins e con la conclusiva Soul, delicato epitaffio di un terzo disco intenso e profondo. (Luigi Cattaneo)

Venus (Video)



lunedì 28 dicembre 2020

KARMABLUE, Nè apparenze nè comete (2018)

 

Nati negli anni ‘90 a Roma, i Karmablue giungono al terzo disco dopo Erratico estatico del 2002, che univa rock e influenze etniche, e Acquadanze del 2006, che invece approfondiva la vena psichedelica della band. Dopo un periodo di pausa la voglia di fare musica porta il gruppo formato ora da Vera Perkins (voce), Giacomo Caruso (chitarra), Flavio Marini (chitarra), Simone Colaiacomo (basso e tastiere) e Paolo Marini (batteria) a registrare Né apparenze né comete, più progressivo e legato ai ’70 e distribuito dalla Lizard Records. Tante le idee che troviamo in questo gradevole disco del 2018, pieno di raffinati momenti e intrecci melodici molto curati, a partire da Guerra degli dei e Né apparenze né comete, che si distingue per un approccio decisamente prog e psichedelico, che sfuma nella seguente Sogni, chiusura un trittico iniziale fatto di atmosfere, cambi di tempo e un’apprezzabile attenzione per gli arrangiamenti. La band è compatta e coesa, lavora d’insieme, come nel caso dell’ottima Karma Blue e di Cristalli Parte III, che mostra un piglio dai tratti hard e che non dispiace affatto. Anche Solaris non disdegna parti fortemente elettriche, Astrimio ribadisce come Vera sia assolutamente fondamentale per lo sviluppo di certe sonorità, insieme al lavoro certosino delle due chitarre, prima di Mag-A-Lur, emozionale nel suo incedere al limite del post rock. Particolare la conclusiva Acrobati, che alterna momenti sognanti e space ad altri più aggressivi, con tanto di recitato francese che fa tanto Ange. Interessante e gradevolissimo ritorno questo dei Karmablue, accostabile a band come Verganti e Magnolia, con un piglio rock forse più marcato, che sfiora l’heavy e che rende la proposta corposa e interessante. (Luigi Cattaneo)

Sogni (Video)



domenica 27 dicembre 2020

BRIDGEND, Rajas (2020)

 

Tornano i Bridgend e con loro Rajas (che dà anche il titolo a questo nuovo capitolo dei bolognesi), protagonista del precedente Rebis di cui avevamo parlato ai tempi della sua uscita. Andrea Zacchia (chitarra) ha modificato parecchio la line up, non più un trio ma un quartetto completato da Leonardo Rivola (tastiere), Matteo Esposito (basso e fretless) e Massimo Bambi (batteria) e anche in parte il sound, meno legato al post e più al progressive rock strumentale. Scelta azzeccata che fa di questo Rajas un prequel che conferma la capacità narrativa immaginifica della band, ma anche un’accresciuta scrittura complessiva, ancora più convincente rispetto al già valido debutto. Adulta nox apre l’album, mettendo subito in mostra una formazione collaudata, con Zacchia e Rivola a duettare ottimamente (il songwriting è affidato ad entrambi e ciò probabilmente ha beneficiato al progetto), così come non è da meno la nuova sezione ritmica, che si mette in mostra nella seguente Appena un respiro, altro momento tra i più significativi del racconto. Il lato A si conclude con la suite La quiete generale, tra prog d’annata e una spruzzata di modernità, quasi 10 minuti che scivolano nella seconda suite del disco, La fatica del singolo, altra traccia notevole che forma una parte centrale che farà la felicità dei fan di P.F.M., Le Orme, Genesis e dei contemporanei Accordo dei Contrari. Ci avviciniamo alla fine prima con Nocturnale, episodio tra i più strutturati del lavoro e poi con la conclusiva La luce ci divide, piccola gemma di psichedelia progressiva che sancisce la crescita di un gruppo da tenere in grandissima considerazione. (Luigi Cattaneo)

Full Album (Video)



giovedì 24 dicembre 2020

OTEME, Un saluto alle nuvole (2020)

 


Il nuovo album del progetto Oteme nasce da lontano, ha radici nel 2012, quando Stefano Giannotti, mente dell’ensemble, gira un documentario sull’Hospice di San Cataldo, un ultimo porto per i malati terminali. Alcuni stralci delle interviste fatte per l’occasione a infermieri, OSS, dottori e famigliari dei pazienti diventano spunto per Un saluto alle nuvole, dieci brani che continuano il percorso degli Oteme, ancora una volta in bilico tra musica da camera, R.I.O., avanguardia e canzone d’autore. La doppietta iniziale di Chiudere quella porta/E c’è qualcuno introduce al mondo narrato da Giannotti, fatto di esistenze a volte marginali, di consapevolezza della fine, raccontate con delicatezza tra momenti folk e tenui interventi fiatistici (Irene Benedetti e Valeria Marzocchi al flauto, Lorenzo Del Pecchia e Elia Bianucci al clarinetto). Un ricordo bello spinge maggiormente verso l’avant, con Emanuela Lari perfetta interprete delle suggestioni del pezzo ( leggeri ma azzeccati gli interventi di Antonio Caggiano al vibrafono), prima della particolarissima Dieci giorni, che si contraddistingue per l’ottimo lavoro ritmico della coppia formata da Vittorio Fioramonti (contrabbasso) e Riccardo Ienna (batteria) e della strumentale Gli angeli di San Cataldo (Bolero quarto), che si contraddistingue per la partecipazione al violino di Blaine L. Reininger dei Tuxedomoon. La vena sperimentale e colta degli Oteme prosegue con Quando la sera, brano dove le varie voci utilizzate creano un momento di pura magia, e Turni, lunghissima composizione che definisce al meglio il sound della band. Anche Una mamma disperata e Per i giorni a venire si muovono tra grandi intuizioni liriche e aperture strumentali notevoli, mentre la title track finale è un lieve attimo contemplativo di un lavoro malinconico ma necessario. L’opera ha vinto il bando Della morte e del morire indetto dall’Associazione Culturale Dello Scompiglio di Vorno. Per acquistare il disco (operazione consigliata vista l’importanza e la bellezza del booklet annesso) potete visitare il sito http://stefanogiannotti.com/it/ o http://oteme.com/it/ (Luigi Cattaneo)



martedì 22 dicembre 2020

VIC PETRELLA, Sperimentalist (2020)

 

Breve ep d’esordio per Vic Petrella, autore in bilico tra post elettronico e psichedelia, che con Sperimentalist sigla un debutto curioso ma riuscito. La malinconica apertura di Red zone, legata alla pandemia e alle restrizioni di questi mesi, colpisce da subito per impatto e azzeccate melodie, con tanto di voce di Giuseppe Conte a profetizzare un futuro in cui torneremo ad abbracciarci. Under the stars si fa leggermente più cupa, Historia Magista Vitae punge con ritmiche elettro ben calibrate, mentre la conclusiva Nature conferma l’attitudine del foggiano nell’unire elementi diversi, tra cui partiture sinfoniche apprezzabili. Probabilmente non così sperimentale come il titolo suggerisce, ma Petrella ha sviluppato una propria ricerca personale, introspettiva e interessante, tra parti recitate e altre cantate, alternanza che funziona e che fa di questo primo episodio un gradevole antipasto prima di qualcosa di più sostanzioso. (Luigi Cattaneo)

Red Zone (Video)



domenica 20 dicembre 2020

ANDREA SALINI, Roses (2020)

 

A distanza di tre anni da Lampo Gamma torna Andrea Salini, con un altro breve lavoro (30 minuti circa) dedicato all’universo femminile. Roses vede oltre a Salini, impegnato alla voce e alla chitarra, la partecipazione di Simone Gianlorenzi (chitarra, lap steel, dobro, mandolino e basso) e John Macaluso (micidiale batterista che negli anni abbiamo trovato al servizio di Yngwie Malmsteen, Ark, Labyrinth e Symphony X, giusto per citare qualche band). Il rock di Andrea guarda in più direzioni, ha la capacità di sviluppare le molteplici influenze all’interno di un percorso organico, che punta sull’impatto e sulla forma canzone, complici anche i bravissimi musicisti che hanno collaborato all’opera. Into the storm ricorda nell’attacco iniziale gli Audioslave, per poi scivolare in un blues rock molto interessante, mentre Irina nel suo incedere punkeggiante si avvicina a qualche episodio dei Green Day di American Idiot. Rock ‘n’ roll dreamer guarda invece al country folk, impreziosita dal delicato piano di Silvia Leonetti e dal fine lavoro di Gianlorenzi alla slide, Verum Rosa è una breve poesia narrata da Mariangela Gritta Grainer, momento spirituale spazzato via dalla title track in odore di rock americano. Starfighter è un valido brano strumentale, melodico e ispirato, Take you back è accostabile al Ben Harper degli esordi, con fraseggi reggae lievi e misurati a cui hanno contribuito il basso di Pino Saracini e le percussioni di Carlo Di Francesco, prima della catchy Love song e della conclusiva strumentale The name of the rose, dove ritroviamo il piano della Leonetti, protagonista di un finale che suggella un album variegato ma ottimamente calibrato. (Luigi Cattaneo)

Roses (Video)


     

sabato 19 dicembre 2020

RAINBOW BRIDGE, Unlock (2020)

 

Tornano i Rainbow Bridge, meraviglioso trio formato da Giuseppe Piazzolla (chitarra), Paolo Ormas (batteria) e Fabio Chiarazzo (basso) che abbiamo avuto modo di conoscere con Dirty Sunday del 2017 e Lama dell’anno successivo, due lavori che, ispirati dal genio di Jimi Hendrix, mettevano insieme rock blues, psichedelia e desert rock. La band torna a guardare a quanto fatto nel primo disco, con una registrazione effettuata il 16 giugno 2020 senza overdubs, una scelta che esalta il lato più istintivo dei pugliesi e che personalmente apprezzo maggiormente. Per la prima volta dopo anni ci siamo dovuti fermare. Durante il lockdown abbiamo pensato che quando tutto fosse finito la prima cosa che avremmo fatto sarebbe stata tornare in studio. Unlock è il risultato di queste jam piene di speranza e rinnovata energia. L’irruenza spontanea che emergeva meno in Lama trova qui nuova vita e forma, con citazioni del classico stile rock blues settantiano, quello di Hendrix ma anche dei Taste di Rory Gallagher in Marvin Berry e Marley, mentre l’hard, la psichedelia e la solita punta di stoner trovano modo di emergere nelle lunghe Speero the hero e The girl that I would meet this summer. La tirata chiusura di Jack sound conclude magnificamente questo terzo capitolo dei Rainbow Bridge, che visto il periodo di classifiche può tranquillamente rientrare nel novero dei dischi più interessanti dell’anno. (Luigi Cattaneo)

Full Album (Video)



domenica 13 dicembre 2020

ALECO, L'ultima generazione felice (2020)

 

Alessandro Carletti Orsini, volto della Music Force (etichetta discografica ma anche studio di produzione musicale), scende in campo personalmente e con lo pseudonimo di Aleco da vita a L’ultima generazione felice, disco in bilico tra facile pop e gustose divagazioni cantautorali. L’alter ego Sabina è la protagonista delle dieci storie narrate, che vanno a formare un racconto che, pur tra alti e bassi, mostra la passione di Alessandro e lascia trasparire come probabilmente si possa fare di più. Molto gradevole la title track iniziale, che profuma di anni ’80 e vede la partecipazione di Sofia Dessì alla voce, Arrivo per cena vira su un cantautorato che ricorda alcuni episodi di Francesco De Gregori rivisto in chiave maggiormente pop, vestito che sembra quello più interessante per il progetto, mentre Quel pizzico è un delicato momento arrangiato ottimamente da Andy Micarelli (che ha suonato tutti gli strumenti presenti sull’album e ha scritto i brani insieme ad Aleco). Ma che bella l’estate cambia decisamente pelle, un brano pop poco convincente che ospita Chiara Falasca, che con il suo rap non risolleva le sorti del pezzo. Anche Almost jazz è molto leggera ma il lavoro di Micarelli è apprezzabile, prima della breve Alessandro smettila, che non aggiunge molto a quanto detto sinora, e di E così nacque Roma, che invece è una piccola sorpresa, in bilico tra Antonello Venditti, Aldo Donati e Lando Fiorini. Tutti i tuoi sbagli è un’indovinata dedica alla figlia (con piccola citazione di Battiato), Tutto finisce così è un piccolo frangente che introduce alla conclusiva Una panchina di montagna, bel finale con tanto di grandeur sinfonico in coda, a suggellare forse la composizione più compiuta di un disco altalenante, dove Alessandro sembra non volersi prendere troppo sul serio, quando invece credo che abbia le carte in regola per farlo, all’interno di un percorso di pop cantautorale che pare prediligere e che sono curioso di capire come si possa sviluppare in futuro. (Luigi Cattaneo)

Intervista di presentazione (Video)


 

sabato 12 dicembre 2020

FRANK GET, False flag (2019)

 

Attivo da circa quarant’anni nel panorama rock blues nazionale, Frank Get arriva a questo quindicesimo disco con la ferrea volontà di analizzare alcune verità storiche del suo territorio di nascita (Trieste), complice anche la pubblicazione del libro Ti racconto la mia terra. Storie curiose musicate con grande classe da un trio davvero rodato (oltre al leader impegnato alla voce, alla chitarra, al banjo, al mandolino, al piano e all’Hammond, troviamo Marco Mattietti alla batteria e Tea Tidić al basso), attento nel creare una coesione pressoché perfetta tra testi e melodie, esaltazione profonda di personaggi vissuti nel triestino e nelle zone limitrofe. La rivolta operaia di San Giacomo del 1920 viene raccontata con carica rock in The great reception, verve che si colora di zampilli bluesy in Johnny’s bunch e di grande folk in Freedom republic (abbellita dall’uso di viola e violino). Il blues fa capolino in Anton the brewer, prima della ballata agrodolce di Marbourg hills (dove è presente il violoncello di Elisa Frausin), che narra delle vicende dei nonni di Frank, emigrati, non senza difficoltà, dalla Slovenia. Puro rock blues nell’intrigante What’s the patriot, mentre in Trip to the moon (con il bravissimo Anthony Basso alla chitarra) riecheggia il Mark Knopfler dei suoi tanti dischi in solitaria, così come incanta l’intensa Last day of summer. La slide e il violoncello colorano Joy, la conclusiva bonus Climbin ‘up this mountain è il finale corale con una serie di grandi ospiti, buonissimo epitaffio di un lavoro fantasioso e di notevole livello. (Luigi Cattaneo)

Climbin ‘up this mountain (Video)



venerdì 11 dicembre 2020

MOTHER ISLAND, Motel Rooms (2020)

Terzo disco per i Mother Island, quintetto formato da Anita Formilan alla voce, Nicolò De Franceschi e Nicola Tamiozzo alle chitarre, Giacomo Totti al basso e Jody Berton alla batteria e parecchio influenzato dalla psichedelia anni ’60 con influssi west coast. Omaggio e rivisitazione delle surreali visioni dei Jefferson Airplane colorano questo Motel rooms, testato in un tour americano prima di entrare in studio di registrazione (ma d’altronde avevano già diviso il palco con Mark Lanegan, The Pretty Things e Kula Shaker). Con la California ancora ben presente, la band ha composto un lavoro fresco e molto gradevole, a partire dal singolo And we’re shining. I vicentini iniettano nel loro sound pillole di Beatles nella doppietta iniziale Till the morning comes / Eyes of shadow, mentre tracce di Doors echeggiano in Summer glow. La stagione psichedelica viene tributata anche in We all seem to fall to pieces alone, Demons e Song for a healer mostrano tutta la consapevolezza del songwriting raggiunto, prima del r’n’r di Santa Cruz e della trascinante Dead rat, molto filmica. Il brano conclusivo, Lustful lovers, è la summa di un percorso sempre più maturo e cosciente. (Luigi Cattaneo)

And we're shining (Video)




mercoledì 9 dicembre 2020

ALESSANDRO SPARACIA, Endless (2019)

 

Terzo disco per Alessandro Sparacia, polistrumentista che con il nuovo Endless si divide tra chitarra, piano, tastiere, basso e voce, one man band solitario che si è prodigato in un concept sull’amore con uno sguardo sull’universo dei Dream Theater ma anche su quello neoclassico di Yngwie Malmsteen. Lo strumentale introduttivo, Vibration, ci conduce in maniera evocativa nelle vicende del racconto (il ricco booklet ben spiega l’iter narrativo), che si dipana nell’emozionale e progressiva Passion, tra i pezzi migliori del disco. Di notevole intensità anche Madness, che unisce fraseggi atmosferici e parti più tirate, in cui la chitarra si eleva a grande protagonista. Rage è uno dei brani più heavy prog dell’album (con tanto di citazione di Bhrams), Courage mostra una certa cura melodica nei soli (Petrucci docet), prima della title track, che avrebbe probabilmente giovato di una voce più piena. La delicata Tender embrace è l’outro che chiude un lavoro che può incuriosire non solo i chitarristi, proprio perché Sparacia è stato ben attento nell’incastonare i passaggi virtuosi e hard all’interno di strutture immediate e dotate di pathos. (Luigi Cattaneo)

Rage (Video)



sabato 5 dicembre 2020

HOGZILLA, Hogzilla (2020)

 


Destino strano quello degli Hogzilla, ma comune a tante band che si ritrovano a scrivere, ad avere idee, magari anche ad incidere dischi che non vedranno mai la luce. La storia, soprattutto del progressive italiano, presenta diversi gruppi che hanno pubblicato lavori, anche di valore, decenni dopo la registrazione o la composizione dei brani (basti pensare ai Sigmund Freud, ai Sezione Frenante o ai Corpo). Nel caso del gruppo formato da Mario Marinucci alla voce, Vittorio Leone alla chitarra, Enzo P. Zeder alla batteria, Mirko Iobbi al basso, ci troviamo dinnanzi però ad un quartetto di matrice stoner, che nel 2013 registrò a Parma questo esordio inedito, pubblicato ora dalla Zeder dischi di Enzo (www.zeder.it), che da queste pagine conosciamo per i suoi progetti con Salmagündi, Kotiomkin ed Egon Swharz (dove invece suona il basso). Il debutto degli Hogzilla è un concentrato di stoner, sludge e bizzarra psichedelia dai lievi contorni progressivi, un viaggio distorto che rimanda agli Eyehategod, ai Melvins e ai Bongzilla, un flusso massiccio e imperioso che nei momenti più melodici ricorda anche il piglio dei Crowbar. La partenza di Assembled alive! mostra da subito la solidità delle ritmiche, i riff taglienti di Leone e la voce profonda e cavernosa di Marinucci, quadro d’insieme che si riflette anche nell’aggressiva carica heavy di Cold sinner e nella tensione compatta e opprimente di Through the closed doors, con i Black Sabbath sullo sfondo. L’assalto del trittico iniziale non si stempera nemmeno in Threshold of discomfort, che tra grezza furia e arpeggi doomy ci porta con le sue malsane atmosfere allo strumentale Touch the apricot e a The warden, brano tra i più interessanti del disco per quel suo alternare passaggi sospesi ad altri tipicamente stoneriani. Anche Alone laughing man vive su questa dicotomia, Ooze si riallaccia con prepotenza allo stoner sludge più robusto ed epico, mentre il finale di Annihilator of hopes è l’annichilente vagito conclusivo, che nella versione cd riserva due bonus, la potente Calamity e la particolare Blues for the outstanding hogs, che mostra come davvero la band avesse parecchie cartucce a disposizione. Fortunatamente potete recuperare questo oscuro gioellino acquistandolo su https://hogzilla.bandcamp.com/ (Luigi Cattaneo)


martedì 1 dicembre 2020

ARCAMIRI, Quel che non dici (2020)

 

Uscito nell’ottobre del 2019, Quel che non dici degli ArcaMiri viene ora stampato con una bonus track finale, secondo lavoro dopo l’ep Contatto del 2018. Totalmente autoprodotto, l’album è un coraggioso concentrato di progressive, R.I.O. e avant prog, una spirale sapientemente costruita e di non facilissima lettura ma che sa conquistare ascolto dopo ascolto. Il quartetto formato da Simona Minniti (voce e synth), Ivan Ricciardi (pianoforte e synth), Peppe Capodieci (basso) e Vincenzo Arisco (batteria e percussioni) ha un’innata voglia di esplorare soluzioni, di realizzare strutture corpose e intricate su cui vibrare brevi fraseggi melodici, come un taglio sulla tela di fontaniana memoria, fenditure concettuali che si esprimono attraverso i testi poetici e la vocalità operistica della brillante cantante. I siracusani arrivano a questo secondo appuntamento discografico forti di una propria personalità, frutto di un approccio free alla materia, ossia senza vincoli, un lavoro di squadra che ha portato a composizioni libere ma sapientemente edificate. Ed è quello che fanno i siciliani all’interno di 7 brani dove non mancano sorprese, come il trittico formato dalla title track, da Inquietudo e Ballata (di una vecchia puttana), che mette insieme tutte le influenze della band, accuratamente dosate per formare una sorta di suite marcatamente progressiva, un trip che non disdegna scenari dark e postille avanguardistiche. Piove e Dentro una goccia sono l’anello di congiunzione tra gli spunti classici dei contemporanei Quanah Parker (seppur con una lunga storia alle spalle) e i settantiani Opus Avantra di Donella Del Monaco e Alfredo Tisocco. Non da meno L’adesso e la bonus Migrazioni, che mostra un gruppo ispirato e davvero molto interessante. (Luigi Cattaneo)

Quel che non dici (Video)