Progressive Rock&Metal ma anche una panoramica su Jazz, Blues, Folk, Hard&Heavy, Psichedelia, Avanguardia, Alternative, Post Punk, Dark Rock.
Un blog sulle sfumature della Musica.
Mi ero già occupato di
Carmelo Caltagirone parlando del suo esordio The Iron Man e di Cosa loro,
please, terzo disco del chitarrista siciliano. In mezzo questo Gemini Man, che confermava l’attitudine
del musicista e la sua voglia di creare in piena solitudine, elementi che finiscono
per rendere anche questo lavoro un po' statico e, al netto di qualche attimo
più meritorio, poco brillante. Difatti le ritmiche piuttosto piatte e l’assenza
di arrangiamenti rifiniti affossano le cose discrete che sovente emergono, anche
perché portare avanti un discorso in piena autonomia non è affatto semplice. Si
comprende da un attento ascolto come l’autore voglia mantenere una propria
libertà individuale, ma questa rischia di divenire un macigno, mentre
probabilmente trovare feeling con altri musicisti e far nascere il giusto
interplay potrebbe giovare alle idee del siculo. (Luigi Cattaneo)
Uscito nel 2020 per
Lizard Records, Contro è l’esordio di Paolo Volpato, abile chitarrista
che con questa sua opera prima ha messo insieme fusion, avant prog e jazz rock,
un lavoro registrato in compagnia di Roberto Scala (synth), Adrian de Pascale
(batteria), Luca Vedova (basso), Michele Gava (contrabbasso), Michele Uliana
(clarinetto e sax) e Giacomo Li Volsi (piano), un parterre ricco e che ha
costruito un album molto interessante. Prevalentemente strumentale come da
tradizione del genere, il disco espone temi affascinanti e molto curati, con la
chitarra di Volpato ovviamente protagonista ma ben calata in un contesto
complessivo dove il lavoro collettivo pare più importante del singolo, aspetto
non di poco conto e su cui verte questo debutto. Appare evidente l’influenza di
Allan Holdsworth, soprattutto la sua carriera da solista, ma anche le
esperienze con Gong e Soft Machine devono aver segnato lo sviluppo
chitarristico di Volpato, un linguaggio che maneggia con grazia e una certa
raffinatezza, accostabile anche ad alcuni funamboli di casa Moonjune Records
come Tohpati, Mark Wingfield e Dusan Jevtovic. Nelle tensioni vede
coinvolto Alessandro Seravalle (Garden Wall, Genoma, Officina Seravalle), che con
la sua voce marchia il brano più sperimentale tra i presenti, in Preludio/Contro
invece Volpato introduce il primo dei chitarristi ospiti sul lavoro, Frank
Pilato, perfetto in questo episodio apripista. Marcello Contu firma un bel solo
nell’ottima Ossigeno, mentre troviamo Alessandro Giglioli in GLV,
altro momento strutturato sapientemente e decisamente godibile. In definitiva è
lecito parlare di un valido esordio, chi ama queste sonorità rimarrà sicuramente
soddisfatto dalle doti tecniche e di scrittura di Volpato. (Luigi Cattaneo)
La piccola chiesa all'interno di villa Albrizzi Marini è tutt'ora consacrata e all'interno ci viene svolta la funzione cristiana secondo il rito armeno.
Il video contiene tre brani (Scorrevole, Pie Jesu e Anabasis) intervallati da momenti improvvisativi e documenta parte del concerto per Buchla Music Easel.
Voce, metalli, liquidi, minerali e live electronics che Gabriele Gasparotti ha portato per l'Italia dallo scorso Maggio, in più di trenta date accompagnato dal violoncello di Benedetta Dazzi. Le riprese ed il montaggio sono ad opera del collettivo trevigiano Cordial Massacre.
Dopo essere stato a suonare in un cimitero e avere incontrato lo stato di profondissima quiete, ho capito che avrei dovuto realizzare un’intera serie di composizioni su questi luoghi. Penso la musica possa essere una forma di esicasmo che permette di immergersi nei livelli più sottili della realtà. Gabriele Gasparotti.
Gabriele Gasparotti at Villa Albrizzi Marini (Video)
Nati a Bologna nel 2017,
i Tenebra sono un quartetto formato da Claudio Troise (basso), Emilio Torregiani
(chitarra, synth), Claudio Mesca Collina (batteria) e Silvia Feninno (voce,
tamburello), che in questi 5 anni ha proposto un heavy doom settantiano di
ottima fattura, a partire dall’autoprodotto Gen Nero, passando per l’ep What
we do is sacred fino all’attuale Moongazer. Graveyard, Witchcraft e Kadaver, ma anche i
nostrani Messa e Di’aul, queste alcune delle band accostabili alla proposta
degli emiliani, che guardano al genere sì citando anche gruppi seminali (Black
Sabbath su tutti) ma con una discreta dose di personalità. Il lavoro è pregno d’atmosfera
anni ‘70, con gli elementi occulti che ben si sposano con l’anima psichedelica
ed heavy dei Tenebra, che hanno dalla loro tutto per piacere agli appassionati
del genere, ossia idee, scrittura fluida e una voce davvero molto interessante,
sostenuta da una band che appare sempre più rodata. Moon maiden vede l’influenza
diretta invece degli Screaming Trees, indimenticabile gruppo del compianto Mark
Lanegan, complice anche la presenza, tutt’altro che scontata, di Gary Lee
Conner, chitarrista e fondatore proprio dell’act di Seattle. In Space child troviamo
l’ipnotico sax di Giorgio Trombino, mentre il mellotron e la slide di Bruno
Germano rendono molto evocativa Dark and distant sky, ma è nel suo
complesso che Moongazer funziona in toto, mostrando un percorso di crescita
non indifferente e la sensazione concreta che la band abbia un potenziale
davvero importante per sviluppi futuri. (Luigi Cattaneo)
Uscito nel 2020, III è
l’ultimo lavoro dei Corpo, seguito di I e II,usciti in
simultanea nel 2016 (ma registrati nel 1979) grazie all’interessamento della
Lizard Records. I fratelli Calignano, Francesco alla chitarra e all’effettistica,
Biagio al piano, ai synth, al basso e alla batteria (più una nutrita schiera di
ospiti), tornano quindi con un disco tanto breve quanto interessante,
prevalentemente strumentale e parecchio influenzato dai ’70, anni in cui i
salentini assorbivano l’aria che si respirava in tutta Italia, seppure quella
zona in quel periodo non ha lasciato molte tracce di sé in quest’ambito
musicale. In poco più di 30 minuti si dipanano brani come Rue bourbon a New
Orleans, Lecce o Il tempo è solo illusione, che mettono
insieme jazz, sinfonismo, folk psichedelico ed elettronica, mostrando una discreta
personalità e idee che si rapportano con il passare degli anni, senza rimanere
del tutto ancorate ad una stagione storica ma molto lontana dall’attualità.
Canterbury, jazz rock, echi kraut e stravaganze in odore di Picchio dal pozzo, un
crogiuolo di sensazioni e umori molto descrittivi, che fanno di III un
album molto più maturo rispetto ai precedenti, confermando quanto sia sempre
attivo e foriero di novità il nostro underground. (Luigi Cattaneo)
Primo album per i Brand
New Heroes (in precedenza vi era stato l’omonimo ep), quintetto toscano che ci
riporta indietro alla fine dei ’90, quando diverse band che si muovevano tra
rock, alternative, emo e punk trovarono successo su scala mondiale, grazie ad
un sound frizzante e trascinante. Non fa affatto eccezione questo Let it out,
edito dalla sempre più interessante Overdub Recordings, etichetta che sta
guardando al mondo del rock/metal italiano a 360 gradi e con risultati spesso
molto validi. Melodie pop dal sapore malinconico, chorus cantabili, rock
radiofonico e punk robusto si inseguono e si uniscono lungo le 10 trame di
questo lavoro, che vede nella title track, in Eleanor e Glass for two
alcuni dei momenti migliori della proposta. Per chi ha nostalgia del periodo in
cui Blink 182, Offspring e Green Day andavano in heavy rotation su MTV e radio
nazionali, i Brand New Heroes risulteranno perfetti e di sicuro interesse.
(Luigi Cattaneo)
Incontro di anime, di
intenti e di sogni quello tra Mark Wingfield (chitarra, soundscapes) e Gary
Husband (acoustic piano), musicisti spesso impegnati in produzioni Moonjune
Records di cui abbiamo parlato tante volte dalle pagine del blog in questi 10
anni di attività del sito. Chi conosce Wingfield sa cosa aspettarsi, un
musicista che sfida sempre se stesso e spinge oltre le potenzialità dello
strumento, trovando in Husband un partner perfetto per guardare con
consapevolezza ad una ricerca ardita sull’improvvisazione, frutto di sessions
piene di entusiasmo e di feeling. Registrato in Spagna, a La Casa Murada, Tor
& Vale è formato da 5 evocative tracce composte da Wingfield e altre
tre totalmente free, come la sontuosa title track di 16 minuti, vero manifesto
di un album dove il duo ha dato libero sfogo creativo, senza badare a porsi steccati
e paletti, esplorando in piena autonomia un approccio non convenzionale, come
sovente è capitato ai due brillanti interpreti. Un percorso fatto di
intuizioni, anche estemporanee e del tutto istintive, figlie tanto della fusion
quanto della psichedelia, elementi che vanno a sviluppare un disco misterioso e
ipnotico. (Luigi Cattaneo)
Secondo disco per i Five
Hundred Horse Power, band vicentina formata da 5 amici appassionati di heavy
metal da sempre, che hanno riversato in Cluster tutto il loro amore per
questo genere così ampio e variegato. Si passa così in meno di mezz’ora dalla gradevole
ballata elettrica Burning memories, alla potente e aggressiva Absolute
power, che non disdegna parabole thrash metal (con l’ottimo lavoro della
coppia di chitarristi, Diego e Enrico), prima di Rage ’22, che ha un contorno
moderno e d’impatto. Il crescendo drammatico di Sweet death vede
protagonista la voce di Giordano, Fake as shit guarda invece a quanto
succedeva nel crossover americano di fine ’90 inizio 2000, mentre Burn your
soul e Look me and fuck me sono composizioni in cui emerge ancora di
più la compattezza della sezione ritmica formata da Eppe alla batteria e
Damiano al basso. La band si diverte a citare Death SS, Marilyn Manson, Judas
Priest e Motorhead, un calderone magari non sempre del tutto a fuoco ma
assolutamente genuino e godibile. (Luigi Cattaneo)
È sempre bello ritrovare
personaggi che hanno contraddistinto la stagione d’oro del progressive
italiano, anche dalle retrovie come Roberto Carlotto, in arte Hunka Munka,
tastierista che nel 1972 pubblicò Dedicato
a Giovanna G., album riscoperto
negli anni dai tanti appassionati del genere. Il sapiente uso delle tastiere,
di cui Carlotto era un grande esponente, colorava un disco dai forti accenti di
pop orchestrale, accostabile agli Aphrodite’s Child di Demis Roussos e
Vangelis, un lavoro molto ancorato alla decade di uscita ma che mantiene un
proprio fascino anche a distanza di tempo. Dopo le collaborazioni con DiK Dik nei
’70 e Analogy dal 2011 al 2016, il musicista varesino torna ora con Foreste interstellari, uscito nel 2021
per Black Widow Records e registrato insieme a Joey Mauro (tastiere), Gianluca
Quinto (chitarra), Andrea Arcangeli (basso), Andreas Eckert (basso),
Marcantonio Quinto (batteria), Alice Castagnoli (voce) e Tony Minerba (voce), un’ottima
line up per un come back davvero molto gradevole. Il progressive rock sinfonico
incontra sì il pop come 50 anni fa (Amanti
come noi, vicinissima ai Procol Harum) ma anche qualche soffio hard (Brucerai), sviluppa trame strumentali
interessanti (I cancelli di Andromeda),
rimanda a canoni consueti ma esemplari (Idee
maledette) e motivi per synth (L’uomo
dei trenini), facendo emerge una buona coesione d’insieme e la voglia di riprendere
un discorso interrotto purtroppo troppi anni fa. (Luigi Cattaneo)
Secondo album per Melanie
Mau (voce) e Martin Schnella (chitarra e voce), coadiuvati per questo Invoke the ghosts da Mathias Ruck
(voce), Lars Lehmann (basso) e Simon Schröder (percussioni, bodhràn, batteria,
voce). Poco conosciuti qui in Italia, il duo unisce spunti folk, strutture
progressive e dettami hard, denotando una grossa capacità di scrittura,
abbinata alla cura certosina di arrangiamenti perfetti, con le parti acustiche
ben amalgamate nel contesto complessivo del racconto sviluppato. Storie e
leggende evocate con una certa perizia tecnica, che non fa a pugni con il lato
emozionale della proposta, ricca di pathos in diversi frangenti (Where’s my name e Of witches and a pure heart tra le mie prefertite). I riff di
Schnella e le compatte ritmiche percussive sostengono le armonie vocali della
Mau, che si muove agile sia quando la band costruisce trame prog, sia quando
colora di folk celtico le composizioni, come nel caso di Soulmate, che si contraddistingue anche per un’ottima sezione
strumentale e la presenza al violino di Steve Unruh (Unitopia, The Samurai of
prog). Per acquistare o ascoltare il disco potete visitare la pagina https://melaniemaumartinschnella.bandcamp.com/album/invoke-the-ghosts (Luigi Cattaneo)
Nati nel 2017, gli
Hyndaco (Lorenzo Vitali alla voce, Francesco Lucchi alla chitarra, Andrea
Ugolini ai synth e alle tastiere, Lorenzo Ricci al basso e Beppe Gravina alla
batteria) partono dallo psych di fine ’60 per sviluppare un progetto infarcito
di dream pop e indie. Il risultato è un sound multiforme e sfumato, che
ritroviamo ora in Starship Tubbies, ep che si fa carico di rileggere
certe atmosfere vintage con il contemporaneo alternative, a partire da Rosalipstick,
singolo apripista del lavoro. Si prosegue con Atlantika e Lubber,
variopinti momenti in cui si percepisce il bel lavoro d’insieme del gruppo di
Cesena, tra synth sognanti, pulsante rock e fraseggi strumentali. La brillante
title track e la conclusiva Foxtrot, con il suo crescendo epico,suggellano
un disco tanto breve (nemmeno 20 minuti) quanto affascinante. (Luigi Cattaneo)
Nati nel 2017 sui banchi
di un liceo fiorentino, gli Agape sono un quintetto formato da Alice Taddei
alla voce, Elia Giorgi e Gabriele Coppola alle chitarre, Alessia Lodde al basso
e Filippo Di Martino alla batteria, che con questo Mind pollution (Red
Cat Records)abbracciano l’hard di AC/DC e The Runaways, e più in
generale lo sguardo sembra volgere agli anni ’70, pur non sottraendosi nel
cercare qualche soluzione maggiormente accostabile all’alternative rock moderno.
Nulla di nuovo sotto il sole, ma sentire i riff pesanti e grevi delle due
chitarre, le atmosfere cupe e sature che si alternano con altre decisamente più
positive, lascia trasparire tutta la passione dei toscani per il rock,
riversata in 30 minuti che si lasciano ascoltare con una certa naturalezza, pur
senza cercare la facile melodia e il chorus da canticchiare per forza. La rabbia
e la giusta grinta non mancano agli Agape, basti ascoltare brani come Mind
the gap o Gaia and Theia, dirette e senza particolari orpelli, pezzi
simbolo di un lavoro gradevolissimo e che mostra un gruppo con tutte le carte
in regola per sviluppare ulteriormente il proprio sound. (Luigi Cattaneo)
Nati da un’idea di Simone
Ricci (chitarrista già dei Kisses from Mars), gli Yesterday Will be Great
raggiungono la line up definitiva con l’arrivo di Daniele Mambelli (batteria) e
Giuseppe De Domenico (basso), new entry di questo album. Da sempre affascinati
dal post rock di Mogwai e Sigur Ròs, arrivano con questo Weather is
fantastic al primo full della carriera, un lavoro strumentale registrato
con la supervisione di Nicola Manzan (Bologna Violenta, Ronin) dove la parte
immaginifica risulta preponderante, una caratteristica che era già emersa nell’ep
del 2019 Y e che trova una dimensione concreta nella compatta Points,
oltre che nella successiva Overblues, suggestivo episodio che mostra le
varie anime dei romagnoli. L’idea delle registrazioni in presa diretta ci è
stata fornita da Manzan ed è stata illuminante: ci siamo liberati dell’eventuale
freddezza in favore di una maggiore umanità. L’idea ci ha convinto a tal punto
che abbiamo in seguito deciso di fare pochissima post-produzione dei brani, per
lasciare lo “sporco” del suonato. Nascono così le atmosfere di Little
blue flower e Trees/Giant, contraddistinte da melodie ipnotiche e
oscuri fraseggi, prima di The diamond’s issue e The moon song,
che chiudono il disco calcando la mano su strutture tipiche della wave, a cui
la band abbina interessanti sviluppi psichedelici e showgaze, tutt’altro che
secondari e da ben considerare per le future produzioni. (Luigi Cattaneo)
Esordio da solista per
Francesco Lurgo (ex FLeUR), che con Sleep together folded like origami si
cimenta in un album elettronico imparentato con il post e l’ambient, un disco
fortemente immaginifico, tanto da far pensare ad una vera e propria soundtrack.
Un’opera fatta di atmosfere sospese, oniriche, che nasce durante l’isolamento
da lockdown rimanendone influenzato, ma in cui troviamo anche l’amore per gli
Stars of the Lid di Adam Wiltzie e per Ben Frost (autore della colonna sonora di
Dark). Il lavoro in solitaria ha portato Lurgo a creare senza
condizionamenti, seguendo solo il suo libero flusso di idee, con lo sviluppo
elettronico che incontra le chitarre e le tastiere da lui suonate, oltre che la
viola di Erika Giansanti, elementi costituenti di un sound etereo e dai tratti
minimal. Un approccio sintetico è inevitabile per lavorare ad un certo tipo
di sonorità: nella mia testa ogni suono si associa sempre a colori e
rappresentazioni visive che influenzano le successive scelte compositive e di
sound design. Penso che la mia attività di musicista e il mio lavoro di
montatore e film maker siano in sinergia. Con queste parole l’autore spiega
in sintesi la genesi di un disco che oscilla tra delicate suggestioni e
pulsioni distorte, aperture melodiche e timbriche sporche. (Luigi Cattaneo)
Quarto album per i
Fankaz, band oramai sulla scena da diversi anni e alfieri di un suono che si
muove con disinvoltura tra emocore, punk rock e hardcore. Anche In hindsight
non fa eccezione, una colata sparatissima che abbina velocità e linee
melodiche tipiche di certe band di fine ’90 inizio 2000, come Thrice, Dead
Poetic e The Black Maria. La tecnica non manca ai ferraresi formati da Ricki
(chitarra, voce), Mora (basso, voce), Pole (batteria) e Ambro (chitarra,voce), così
come le idee, molto legate all’estetica del genere, un campo in cui il
quartetto si muove con passione e professionalità. Manca probabilmente
l’effetto sorpresa, quel qualcosa che ti fa emergere realmente rispetto ad
altre band, ma ciò non toglie che pezzi come Solace o Scars siano
assolutamente indicativi della qualità del gruppo. Nota finale per le ottime Modern
days, con Alessandro Gavazzi dei Thousand Oaks, e Watch me fail,registrata
in compagnia di Etienne Dionne dei Mute. (Luigi Cattaneo)