giovedì 31 dicembre 2015

JOHN DALLAS, Wild life (2015)


Arriva da Bologna questo progetto di Luca Stanzani, ben improntato sulla sua passione per l’hard rock di Bon Jovi, Dokken, Van Halen, Def Leppard, Hardcore Superstar e Deep Purple, anche se l’amore per i ’70 emerge meno lungo le tracce di Wild life. L’impianto street rock è evidente, la matrice hard forte ma sempre ispirata melodicamente, così come appare scolpita l’influenza del rock a stelle e strisce e una certa capacità di creare anthems tipicamente adatti ai live. Le composizioni sono piene di groove e molto catchy, di grande impatto, dinamiche e surrogate da ottime idee, sempre facilmente memorizzabili e con dei chorus immediati. Il sound riesce ad essere attuale pur avendo uno sguardo sull’hard degli ’80 e ’90, con Luca, aka John Dallas, vero protagonista con la sua voce particolare e giunta dopo tanta esperienza a giusta maturazione. L’album è esempio lampante della vivacità del bolognese, di come la volontà e l’attitudine possano portare a certi risultati, di come si possa parlare di rock anche in Italia, seppur traendo spunto da leggende americane. Poco più di 30 minuti in cui si sviluppano momenti easy listening, suadenti, ricchi di pathos e accarezzati dal passo tipico dell’hard rock, un’aggressività tenuta sempre a freno a favore di sprazzi melodici di grande suggestione. Difficile trovare un brano meno interessante, tutti risultano essere ficcanti e piuttosto incisivi, anche le ballate dal sapore folk, aspetto che potrebbe essere meglio sviluppato in futuro. Opera prima di buonissimo livello, realmente sentita nello spirito di un musicista a suo agio soprattutto on the road. (Luigi Cattaneo)

Wild life (Video)

lunedì 28 dicembre 2015

CHAOS PLAGUE, Existence Through Annihilation (2015)


Esordio assoluto per la metal band Chaos Plague, che firma con questo Existence Through Annihilation un opera prima di grande qualità dopo l’ep del 2013 e alcuni cambi di formazione (attualmente la line up è composta dalla coppia di chitarristi Luciano Duca e Davide Luraghi, Daniele Belotti alla voce, Matteo Salvestrini al basso e Stefano Tarsitano alla batteria). Dopo l’intro di A fair vendetta si parte forte con Coil e subito emerge la vena jazz di Salvestrini, all’interno di un brano potente ma ragionato, dove non mancano linee vocali pulite che si alternano al tipico growl del genere, i bei soli di Luraghi e Duca, precisi e strutturati con sapienza e diversi sorprendenti cambi di atmosfera. Grandioso death metal progressivo in Collision of entities, 8 minuti sontuosi, con tanto di intermezzo centrale strumentale ben riuscito, a cui segue Trascendental liberation, pezzo in parte accostabile ai Cynic, con un incipit melodico che poi sparisce sotto i colpi del death, arricchito dal duello solistico tra Duca e Salvestrini. Chiralis mi ha invece ricordato gli immortali Death di Chuck Schuldiner, con fraseggi articolati, melodia, furore e tecnica, prima del progressive strumentale e intricato di Inner, visions of external disillusions. Fall of reason è più diretta, figlia di un approccio death metal maggiormente classico, mentre Ubermensch path con i suoi 9 minuti è il simbolo del suono Chaos Plague, tra passaggi jazzati, sfuriate death, uso della doppia voce e intermezzi atmosferici in cui emerge la padronanza dei cinque, un elemento che potrebbe assumere anche contorni preponderanti in futuro. I Pestilence di Spheres si affacciano in I, annihilation, la conclusiva Sinner’s regret ha invece dei passaggi al limite del grind di Demonic dei Testament, per poi sfumare in appendici fusion Atheist style! Unico neo una produzione che forse non rende giusta grazia al disco e che se maggiormente curata avrebbe potuto dare una spinta in più a brani davvero di pregevole fattura. Per gli amanti del genere un album da non perdere. (Luigi Cattaneo)

Collision of entities (Video)

giovedì 24 dicembre 2015

FAUST & MALCHUT ORCHESTRA, The Logical door (2015)


Gruppo interessante questo guidato da Fausto Bisantis (piano, Wurlitzer, Fender Rhodes, organo, synth, mellotron e miditron) e completato da Stefano Loiacono (basso, chitarra ed effetti) e Antonio Pintimalli (batteria e percussioni), un trio coraggioso e indubbiamente curioso. Progressive rock settantiano, psichedelia e sinfonismo colorano il nuovo e terzo album The Logical Door (dedicato al geniale Nikola Testa), ispirato tanto dal Balletto di bronzo quanto dai corrieri cosmici tedeschi, elementi che si fondono e lasciano trasparire buone doti tecniche e alcune idee davvero azzeccate. Tutto è piuttosto vintage ma non per questo già sentito o stucchevole e soprattutto la prima parte dell’opera risulta ben costruita e zeppa di spunti progressivi e psichedelici di valore, che emergono in special modo nei quasi 8 minuti di Several furry vegetables in the garden ofyetzirah e nella title track. I tre paiono ben calati nel contesto narrato, cercano suoni e situazioni anche diverse tra loro (come nello space molto dilatato di Ahora Mazda o nel funky di Sharade funk!), agiscono da jam band ma sempre guidati dalla mano di Bisantis, mastermind assoluto del progetto. Il toccare più stili porta il disco ad essere un crossover di linguaggi magari non sempre ben definiti ed omogenei ma di sicuro fascino, un melting pot di soluzioni che rivolgono lo sguardo a quanto succedeva oltre quarant’anni fa, cercando laddove possibile di rinfrescarlo con una certa dose di personalità. Manca un cantante di ruolo che possa esaltare le dinamiche del power trio e anche la produzione inficia in parte il suono della band, aspetti su cui magari si potrà lavorare ulteriormente in futuro per definire maggiormente dettagli che possono fare la differenza. (Luigi Cattaneo)

The Logical door (Video)

mercoledì 23 dicembre 2015

LINGALAD, Confini armonici (2015)


Dopo ben 5 anni di assenza dalle scene tornano i Lingalad con il nuovo Confini armonici, un disco ispirato dai libri Il passaggio dell’orso e L’ombra del Gattopardo del leader Giuseppe Festa, intriso di folk e cantautorato come tradizione del gruppo vuole. L’aspetto narrativo è ancora più in evidenza rispetto al passato, assume un tono primario in un susseguirsi di eventi suggestivi che vengono sapientemente raccontati attraverso una musicalità soave e raffinata, una capacità rara di creare immagini con i suoni. Oltre al già citato Giuseppe Festa (voce e flauti) troviamo Giorgio Parato (batteria e pianoforte), Luca Pierpaoli (chitarra), Dario Canato (basso) e Andrea Denaro (chitarra, bouzouki e mandolino) impegnati nel creare un vortice emozionale in cui la natura è l’elemento di spicco. Un album dove si materializzano personaggi nati proprio dalla penna di Festa, Orante della Morte in primis, protagonista di ben due brani dell’album (entrambi a suo nome) ma anche Sandro Di Ianni, eroico guardaparco e la grande orsa. Confini armonici è un lavoro che non mostra segni di cedimento lungo il cammino, si lascia ascoltare con semplicità pur essendo pregno di intuizioni e piccoli elementi che sanno fare la differenza, come il delicato interplay tra flauto e pianoforte di L’ombra del Gattopardo, forse uno degli episodi più accostabili al folk progressivo. Stupende anche l’iniziale Sogni d’oblio, l’incalzante Occhi d’Ambra e la cantautorale e struggente La grande orsa. Un ritorno emozionante che conferma i Lingalad come uno dei nomi di punta del folk cantautorale italiano, inestimabili per valore dei testi e grande cura del particolare. (Luigi Cattaneo)

Occhi d'Ambra (Video)





SAILING TO NOWHERE, To the unknown (2015)


Esordio assoluto per i romani Sailing to nowhere, band di power prog melodico e dai tratti dark accostabili ai primi Angra, ai Nightwish e agli Eldritch. Una proposta molto in voga soprattutto verso la fine degli anni ’90 ma che ha ottimi riscontri ancora oggi, soprattutto quando la qualità è più che discreta come in questo To the unknown. Interessante l’uso delle due voci (Veronica Bultrini e Marco Palazzi), la freschezza melodica della doppia chitarra (Andrea Lanzillo e Luca Giuliani), l’utilizzo di ritmiche potenti che quando sfociano nel power metal risultano però meno riuscite e più convenzionali (Giovanni Noè alla batteria e Carlo Cruciani al basso) e i tappeti sinfonici delle tastiere (Livia Capozzi). Tutto è piuttosto easy listening, di facile lettura, con la band che privilegia un approccio forma canzone all’interno di strutture di matrice hard, con chorus ficcanti e un certo dinamismo compositivo. Gli episodi di stampo neoclassico non mancano, pregni di epicità e momenti molto sentiti in cui le tastiere diventano essenziali nel creare le giuste atmosfere ed enfatizzare ulteriormente un sound già magniloquente di suo. La ricerca di sprazzi solenni e altisonanti è una delle caratteristiche dominanti e forse anche quella meglio sviluppata, pur se è bene dirlo dentro un percorso che ha canoni ben stabiliti. Il disco è quindi estremamente piacevole, in special modo per chi non ama passaggi troppo articolati o cervellotici e preferisce una proposta più diretta in cui la matrice progressive si avverte ma non è mai preponderante. Da segnalare infine le presenze importanti di special guest come Terence Holler (Eldritch) e David Folchitto (Stormlord, Prophilax) nella ballata elettrica Strange dimension che in qualche modo suggellano un album apprezzabile e di buon impatto. (Luigi Cattaneo)

Fallen Angel (Video)

venerdì 18 dicembre 2015

YAGULL, Kai (2015)


Il ritorno dei Yagull coincide con il passaggio alla Moonjune di Leonardo Pavkovic e questo nuovo Kai non fa altro che evolvere il sound del progetto ideato da Sasha Markovic (chitarra, basso e percussioni). Ad accompagnare Sasha troviamo Kana Kamitsubo (piano), più una serie di ospiti che colorano un album diviso tra classica contemporanea, musica da camera, post, jazz e spirito da soundtrack. Il risultato è estremamente affascinante, un pieno di elementi che diversificano i vari brani in maniera leggera ma decisa, una spinta dinamica che completa l’interplay tra chitarra e piano. Il clima è volutamente pacato e malinconico e si apre a nuove soluzioni soprattutto quando intervengono i tanti special guest coinvolti, che allargano gli orizzonti espressivi degli Yagull (più ampi rispetto al precedente Films). Il duo ha considerevoli doti di scrittura, molto raffinate e capaci di toccare con facilità un pathos estremo, oltre che capacità tecniche indubbie che si denotano lungo tutto l’album. L’iniziale North è il biglietto da visita ideale per comprendere la potenza lirica dei due musicisti, mentre la seguente Dark è più strutturata, grazie anche all’apporto di Wen Chang al violino e Yoshiki Yamada al contrabbasso. In Blossom fa la sua comparsa un altro elemento di casa Moonjune, il guitar hero indonesiano Dewa Budjana, che aggiunge un pizzico di fusion alla traccia insieme al tocco di Yamada. A metà album gli Yagull piazzano due cover che non ti aspetti, Wishing well dei Free e Burn dei Deep Purple. Nella prima spiccano Chang e il solo di chitarra di Antony Mullin, nella seconda il dolce clarinetto di Gabriel Nat. Sound of M è irrobustita dalla presenza ritmica della coppia formata da Yamada e Marko Djordjevic (batteria), a cui va aggiunta la piacevole vena dell’armonicista Jackson Kincheloe, mentre la breve Z-Parrow è un piccolo gioiellino rinforzato dal flauto di Lori Reddy. Ultima citazione per l’ottima Omniprism in cui compare la chitarra del bravissimo Beledo che duetta con il violino di Chang e il flauto della Reddy. Con Kai gli Yagull hanno firmato un disco di pregevole fattura, da ascoltare con dedizione e pazienza, assaporandolo nota per nota, immagine per immagine. (Luigi Cattaneo)

Heiwa (Video)

mercoledì 16 dicembre 2015

MAD HORNET, Would you like something fresh? (2015)


Arrivano da Maruggio (paese in provincia di Taranto) i Mad Hornet (Mic Martini alla voce, Ken Lance alla chitarra, El Piamba al basso e Beats Frank alla batteria), un quartetto dedito ad un hard rock corposo e melodico. Dopo Hot tarots del 2007 e la classica stagione dei live, la band nel 2009 decise di fermarsi per dare spazio a nuove avventure sonore in cui dare libero sfogo a passioni come il progressive, il glam, il blues e il funky. La recente reunion del 2013 e il nuovo album appena uscito, Would you like something fresh?, mostrano un gruppo che ha maturato la giusta esperienza, forte di un bel groove e soprattutto di una scrittura piuttosto piacevole. Hard rock tirato sì ma sempre curato melodicamente, accattivante e pieno di passione per quegli anni ’80 spesso discussi ma che hanno generato entità basilari per il rock ‘n’ roll. Dopo l’iniziale intro si parte subito forte con Your body talks, un hard rock ben calibrato in ogni sua componente e di indubbio impatto, un aspetto che ritroviamo anche in Blue blood. Molto sentita l’ottima Dyin’ love, prima del dinamismo puro di Free Rock Machine e della maggiormente aggressiva Game of death. L’anthem di Raise ‘N’ do it colpisce nel segno e sulla stessa falsariga si sviluppa Pink Pants School, mentre più leggera è la gradevole Walking with you (in the afternoon). Prima del buon finale di Roses under the rain i Mad Hornet ci propongono una curiosa rivisitazione del brano dance What is love di Haddaway. Come back frizzante, energico e facilmente memorizzabile ma non per questo povero di spunti e idee, Would you like something fresh? è l’ideale ritorno di una delle tante band pugliesi (mi vengono in mente i veterani Essenza ma anche i recenti Blind Cat) che provano tra mille difficoltà a portare avanti del sano rock in una terra ancora sinonimo di pizzica e taranta. (Luigi Cattaneo)

Your body talks (Video)

sabato 12 dicembre 2015

VIII STRADA, Babylon (2015)


Babylon segna il ritorno degli VIII Strada dopo l’ottimo esordio del 2010 (La leggenda della grande porta), un concept, un’opera rock progressiva condita da testi all’altezza (viene raccontata la storia di una coppia con il loro corollario di conflitti, confronti, passioni e progetti) e una perizia strumentale che avevamo già conosciuto all’epoca del debut. Accanto all’approccio prog rock troviamo anche connotati più hard, matrice che li contraddistingue e che rende più vario il loro stile, sempre consolidato tra il sinfonico e l’heavy, una fusione alimentata dai fraseggi del chitarrista Davide Zigliani, dalle tastiere del bravissimo Silvano Negrinelli, dalla coppia ritmica di grande spessore formata da Sergio Merlino al basso e Riccardo Preda alla batteria e dalla voce capace di essere potente ed espressiva di Tito Vizzuso. Dopo 5 anni ero molto incuriosito da questo come back e Babylon risulta di nuovo un bel esempio di come si possa creare del progressive guardando con rispetto al passato storico del genere riuscendo nel contempo ad inseguire una strada autonoma e riconoscibile. I brani sono molto strutturati, si denota una certa complessità di fondo ma con un occhio di riguardo per l’aspetto melodico, che si traduce in alcuni momenti di memorabile enfasi comunicativa (1403. Storia in Firenze, Ninna Nanna), vibranti pulsioni strumentali (Preludio a eclypse) e trascinanti omaggi al sound degli anni ’40 e ’50, che hanno generato indimenticabili icone del cinema e della danza (Slow). L’iniziale Ombre cinesi definisce quel che sono gli VIII Strada attuali, connubio di intensità creativa, evocazione di immagini e parti atmosferiche dal fascino filmico. Una dote narrativa che segna anche la title track, evocativa e pulsante, dilatata nel suo coniugare robusto prog metal e attimi di raffinato lirismo. Babylon non fa altro che confermare tutte le qualità del gruppo, elegante negli arrangiamenti e compatto nel proporre escursioni progressive e forma canzone sempre con la giusta dose di pathos, elemento fondamentale per coinvolgere  l’ascoltatore e donare profondità al racconto sviluppato. (Luigi Cattaneo)

1403. Storia in Firenze (Video)

giovedì 10 dicembre 2015

ARMAUD, How to erase a plot (2015)


Dietro la sigla Armaud si cela Paola Fecarotta, cantautrice del circuito indie che qui si fa accompagnare da Marco Bonini alla chitarra e alla drum machine e Federico Leo alla batteria. How to erase a plot è il debut di questo trio, un album dai tratti minimali, in possesso di una discreta carica emotiva in cui il folk di partenza si sposa con parti percussive e rarefatte. Qua e là si avvertono esigenze elettriche che vengono tenute a distanza da fraseggi autunnali volutamente monocordi, un aspetto che è possibile ritrovare anche nella vocalità accennata della Fecarotta. Qualche frangente si tinge di lieve psichedelia, combinata con un enfasi dream pop che spinge il disco verso lidi suggestivi, quasi astratta tanta è la lievità di alcune trame. Aspetto affascinante ma che può indubbiamente far risultare l’opera molto uniforme, senza la giusta dose di tensione che rende più appetibile un lavoro. Non manca qualche passaggio elettronico marcato che varia il solco di dolente malinconia tracciato e che incornicia alcune buone intuizioni della cantautrice, per quello che è un esordio comunque interessante e foriero di idee che forse potevano solo essere meglio sviluppate dalla Fecarotta. (Luigi Cattaneo)

Him (Video)


RICORDI D'INFANZIA, Io uomo (1973)





(omaggio con pittura acrilica e china su vinile ad opera di Lorena Trapani)


Gruppo brianzolo già attivo in ambito beat con il nome Gli Aspidi (pubblicarono nel 1971 il brano Forse amore non è sulla compilation Nuovi complessi d’avanguardia da Radio Montecarlo), i Ricordi d’infanzia non hanno mai raggiunto popolarità e fortuna commerciale e sparirono dopo aver pubblicato il loro unico album Io uomo nel 1973. Dopo aver cambiato nome nel più consono (per il genere) Ricordi d’infanzia riuscirono nel 1972 a partecipare ad un tour con gruppi più quotati come i Pooh e Le Orme e ad arrivare l’anno successivo alla realizzazione del disco in questione. Si tratta di un lavoro di discreta fattura dal punto di vista musicale anche se è bene dirlo privo di originalità e per di più poco interessante e in alcuni passaggi anche banale dal punto di vista testuale (è un concept sulla creazione del genere umano).
Si inizia con la strumentale Caos, introduzione dai tratti hard che si sviluppa nella seguente Creazione, retaggio di un passato beat piuttosto recente e che pecca per una melodia davvero troppo scontata. Eden si muove in bilico tra il rock dei New Trolls (o almeno li ricorda nell’utilizzo dei cori) e una sincera propensione hard dettata dalla verve del batterista Antonio Sartori e dalla chitarra di Franco Cassina. Il pianoforte di Maurizio Vergani introduce 2000 anni prima, uno dei momenti più convincenti dell’album, complice il pathos (s)offerto non solo dal gruppo ma anche dal cantante Emilio Mondelli, che a dire il vero, non convince appieno per tutta la durata del disco. Aggiunge poco la successiva Preghiera, altro episodio leggero e non del tutto soddisfacente che si “salva” grazie ai buoni passaggi strumentali proposti da Cassina, unica nota positiva del brano. Le ultime composizioni sono quelle più complesse dell’intero disco: si fa apprezzare Morire o non morire, capace di avvolgere l’ascoltatore grazie alla forte presenza di riff hard in stile Rovescio della Medaglia, puntualmente sostenuti dalla sezione ritmica del già citato Sartori oltre che dal basso di Tino Fontanella. Inoltre Mondelli si rivela maggiormente a proprio agio in un brano che lascia da parte la facile melodia e si abbandona ad un’inaspettata irrequietezza di fondo. Anche 2000 anni dopo è vicina a stilemi hard già sentiti ma efficaci ai fini del pezzo, con Cassina e Vergani abili nel creare un valido dialogo tra chitarra e tastiere, sempre sorretto dal drumming di Sartori. Chiude Uomo mangia uomo il brano più vicino all’idea di rock progressivo del periodo e difatti unico a dilatarsi strumentalmente nella parte centrale (inutilmente) e in quella finale (decisamente meglio).
Anche se svalutato a tratti da melodie davvero scontate e piuttosto comuni e da testi poco validi Io uomo ha al suo interno dei buoni momenti, soprattutto nei frangenti più hard e legati alla citazione progressiva dei gruppi del momento, capaci di donare interesse per questo prodotto passato del tutto inosservato all’epoca della sua uscita. L’insuccesso del disco, causa anche una mancata promozione da parte della Fonit, porterà il gruppo a perdere Cassina e Vergani che verranno sostituiti da Gianni Bari e Ugo Biondi in modo da poter proseguire l’attività live fino al 1976, anno in cui il gruppo si scioglierà definitivamente senza aver avuto l’opportunità di tornare in sala d’incisione per un secondo lavoro.

Io uomo (Full album)