mercoledì 28 dicembre 2016

FABRIZIO TAVERNELLI, Fantacoscienza (2016)


Fantacoscienza è il nuovo album di Fabrizio Tavernelli, eclettico artista emiliano con alle spalle esperienze interessanti con Acid Folk Alleanza (chi non li ha mai ascoltati li recuperi), Duozero, Groove Safari e Babel (giusto per citarne alcune). Il suo terzo disco solista è forse il momento più ambizioso della carriera, un lavoro che esplora i parallelismi tra il cosmo e la coscienza umana in maniera intensa e intelligente, rifacendosi anche a realtà culturali significative quali l’ideatore del neologismo Fantacoscienza, il critico cinematografico Callisto Cosulich che lo coniò per Solaris di Tarkovsij ma anche a 2001 Odissea nello spazio di Kubrick e le opere letterarie di Dick, Ballard e Vonnegut. Visioni che hanno influenzato Tavernelli, curioso esploratore diviso tra macrocosmo e microcosmo e che segue idealmente Nomade psichico degli Acid Folk Alleanza e il precedente solista Volare basso. Il suo spirito crossover anima anche questo come back, una contaminazione equilibrata tra indie, rock, alternative, folk, psichedelia e pop cantautorale. Tavernelli omaggia in partenza Kolosimo (Peter, un fantarcheologo paleo-ufologo), racconta Il raggio della morte dell’appuntato Franco Marconi con impeto rock e un saggio uso del clavicembalo, lo stesso mood che ritroviamo in Fauni, dove però è presente l’ipnotico moog. Distorta Gestalt è il tormento della percezione, potente e dal piglio elettro-rock, Hollow Baobab fa rivivere con una piccola sinfonia di wurlitzer, hammond e mellotron le leggende del Deserto del Kalahari, mentre la title track è una delicata ballata con tanto di rhodes e tromba. Sentita e più minimale è Il tradimento, piuttosto immediate e con un certo fascino pop Infinite combinazioni e I miei amici. Tavernelli con Fantacoscienza dimostra di avere ancora da dire dopo decenni di attività, condensando in un unico platter alcuni dei momenti fondamentali della sua avventura musicale. (Luigi Cattaneo)

Distorta Gestalt (Video)

domenica 25 dicembre 2016

JUNKFOOD & ENRICO GABRIELLI, Italian Masters (2016)


Prende definitiva forma il progetto dei Junkfood, sviluppato insieme ad Enrico Gabrielli, di omaggiare tre maestri come Ennio Morricone, Piero Umiliani e Armando Trovaioli. Ci eravamo già occupati dell’ep dedicato ad Umiliani, qui posto integralmente a metà album, e l’ensemble ha deciso nel frattempo di dedicarsi anima e corpo a questo nuovo lavoro, riuscendo a riunire sotto lo stesso cielo la loro personale visione di colonne sonore immortali. Paolo Raineri (tromba), Michelangelo Vanni (chitarre e tastiere), Simone Calderoni (basso e tastiere) e Simone Cavina (batteria) hanno portato avanti certe idee di nuovo con Gabrielli (sax, clarinetto e flauto), instancabile anfitrione diviso sempre tra mille situazioni differenti (Calibro 35, Afterhours, Muse, PJ Harvey). Italian Masters è una piccola chicca per quanti hanno amato quel primo ep, nove strumentali fantasiosi (ad eccezione di C’eravamo tanto amati che vede la partecipazione di Edda Dall’orso alla voce) che nascono dalla passione verso compositori italiani di fama mondiale, con il gruppo (allargato) capace di trattare con rispetto ma senza paura pagine fondamentali del cinema, consapevole di come si possa partire da uno spartito per equilibrarlo con quanto di meglio possa esprimere la propria personalità. Il fascino  vintage di certe soluzioni viene “trattato” da musicisti attrezzati per esporsi a tali rischi, capaci di giocare con elementi filmici che già hanno al loro interno quanto basta per emanare suspance e immagini. Storie e racconti filtrati con la sensibilità rock dei coinvolti, con passaggi jazz che spingono il piede sull’acceleratore e si tingono di progressive, quasi come una jam che parte da un punto fermo per toccare apici creativi elettrici e schizofrenici. Momenti cupi, carichi di tensione, con i fiati del duo Gabrielli-Raineri volti a creare una trazione nervosa che esplode nei brevi risvolti di Silenzio nel caos e Per un pugno di dollari o ancora il suono inquieto e profondo tipico del gruppo in  Gassman  Blues e Conflitti. Già ottimi nei loro primi due album (Transience del 2011 e The cold summer of the dead del 2014), i Junkfood dimostrano abilità anche nel rendere ancora più attuali personaggi indimenticabili del nostro cinema, una triade di eccelsi compositori che la band ha codificato in maniera illuminata e che lascia aperte altre vie in futuro visti i tanti autori italici che hanno lasciato un marchio indelebile nella storia delle soundtrack. (Luigi Cattaneo)

Italian Masters

sabato 24 dicembre 2016

ATOM MADE EARTH, Morning glory (2016)


Morning glory è il secondo album degli Atom Made Earth (dopo l’esordio Border of human sunset), band formata da Daniele Polverini (chitarra e synth), Nicolò Belfiore (tastiere), Lorenzo Gianpieri (basso) e Thomas Testa (batteria). Giusto per comprendere le linee guida che animano il progetto, è giusto citare due figure che hanno contribuito al risultato finale, ossia Gianni Manariti (personaggio importante quando si parla di stoner e affini) e James Plotkin, che nel suo catalogo di produzioni e realizzazioni (queste come chitarrista) si è contraddistinto per il suo approccio al drone, al metal e all’industrial di matrice sperimentale. I due hanno rispettivamente mixato e realizzato il mastering e la potenza a tratti claustrofobica che sprigionano i cinque pezzi presenti (più una sorta di intro ed un outro) rappresentano perfettamente le idee del quartetto marchigiano. Che poche non sono e sprigionano con sapienza il giusto crossover di post rock, psichedelia e progressive, un assalto strumentale dai contorni space che li pone in continuità con quanto fatto più di quarant’anni fa da Pink Floyd e Hakwind, una piccola revisione in prospettiva moderna già definita da realtà piuttosto trasversali come Morkobot e Ornaments. Il tocco ambient di Noil funge da introduzione per Thin, sette minuti a cavallo tra doom e psych, con varianti post che creano suggestioni cupe e opprimenti. Non che October pale sia da meno. Infatti il brano è segnato da un sottile tormento che si stempera in parti atmosferiche dettate dalla mano sicura di Belfiore, in opposizione alle tipiche chitarre del genere e ad una sezione ritmica vibrante e inquieta. Reed lascia il posto a stilemi maggiormente prog, sfociando in parte nell’heavy, soprattutto per una certa muscolarità della composizione, con i riff di Polverini a marchiare a fuoco il pezzo. Molto diversa Baby blue honey, decisamente più immediata e carica di groove, con le ritmiche che permettono a Polverini e Belfiore di creare un interplay davvero riuscito. Finale affidato alla lunga e a tratti sorprendente Stac, dieci minuti variegati, con soluzioni multiformi che racchiudono le tante influenze del gruppo, capace di passare con efficacia dalla psichedelia allo stoner, per toccare apici space e progressive. L’outro Lamps like an African sun è il commiato per un come back significativo e coinvolgente. (Luigi Cattaneo)

Thin (Video)

VUOTI A RENDERE, Baciati dall'inganno (2015)


Ci sono ancora piccole realtà, che con sacrifici e dedizione, cercano di emergere e farsi ascoltare pur proponendo una musica anticonvenzionale e lontana dai gusti predominanti. Ne sono esempio i Vuoti a Rendere, che esordiscono nel 2015 con questo Baciati dall’inganno, un album interessante e che mi ha da subito incuriosito, già dall’oscuro artwork, biglietto da visita imprescindibile e spesso importantissimo per chi si cimenta col progressive. Anche se è bene sottolineare che il quartetto (Filippo Lazzarin alla chitarra e alla voce, Enrico Mingardo alle tastiere e alla voce, Marco Sartorati alla batteria e Annalisa Agostini al sax) propone una miscela di dark e jazz rock in cui oltre ad alcuni stilemi tipici del genere si possono riscontrare la rabbia e la malinconia che attraversano le produzioni dei Massimo Volume, lo struggimento dei Macelleria Mobile di Mezzanotte e le oscure visioni dei Prodottoinproprio. La band ha scelto infatti per questo esordio un autoproduzione cupa, che non fa altro che risaltare il mood imposto, dove passaggi strumentali si alternano al cantato che vira sul recitato. I momenti più convincenti sono quelli dove i padovani costruiscono affreschi che esaltano le loro caratteristiche, come nel caso delle lunghe e sofferte Osservati dalla minaccia dei pensieri e L’abbandono. Le trame sottili ideate da Mingardo incontrano per tutto il disco i fraseggi di Lazzarin e della Agostini, per un risultato complessivo dai tratti dolenti e inquieti, in bilico tra dark e psichedelia. Pur mancando il momento memorabile, Baciati dall’inganno mostra una band che con alcuni punti di riferimento insiti nel sound sta cercando una propria via all’insegna dell’estro e della libera immaginazione. Oltre ai due brani citati, i Vuoti a Rendere hanno svolto un discreto lavoro anche sui pezzi restanti, sempre improntati sull’agire come una squadra, un interplay funzionale al risultato finale e senza far prevalere barocchismi o soluzioni solistiche esasperate che probabilmente non avrebbero giovato all’insieme. Le atmosfere, volutamente oscure e fosche, circondano questa opera prima curiosa e singolare, imperfetta ma affascinante, un punto di partenza stimolante che ha trovato naturale prosecuzione in Ruggine, disco da poco pubblicato tramite Vivamusic/Areasonica Records. (Luigi Cattaneo)

Di seguito il link per ascoltare e acquistare l'album

venerdì 16 dicembre 2016

TIZIANO BIANCHI, Now and then (2016)


Io credo che la musica di Tiziano ci trasporti in un luogo calmo della nostra mente. I brani di questo disco contengono tutti gli elementi presenti nelle nostre ricche vite come i sorrisi, le lacrime, le emozioni, la meraviglia, le paure, la luce e l’oscurità piena di speranza. Le parole di Tiger Okoshi, produttore di Now and then e docente di tromba di Bianchi al Berklee College of Music di Boston, sintetizzano al meglio la proposta del quartetto (completato da Claudio Vignali al piano, Enrico Ferri al violoncello e Andres Marquez alla batteria) capitanato dal leader dei Portfolio. L’album sembra la prosecuzione della suite che concludeva proprio l’ultimo disco degli emiliani (Due del 2014), soprattutto per il lirismo delle composizioni e lo sviluppo strumentale, perfetto per suggerire un susseguirsi di immagini in cui la narrazione viene lasciata allo spirito di chi ascolta. Un’intensità, anche emotiva, che parte con Memories, opening track nostalgica e delineata dal tocco delicato di Vignali che fraseggia con Bianchi, un brano accostabile alla produzione di Mirko Signorile. La title track prevede il recitato intimo di Giovanni Lindo Ferretti, parole sentite su cui Bianchi tratteggia suoni in prevalenza di matrice jazz, così come Grease, un grande momento segnato dal solo di tromba proprio di Okoshi e dal tocco al bandoneon di Oscar Palmieri. La malinconia si impossessa dell’ottima Horses, copione che si rispetta in Artic dust, ancora sorretta dal notevole interplay tra Vignali e Bianchi. Particolare The sleep of sorrow, through the ages, con suoni in penombra e un incedere indolente su cui si fa graduale la presenza di Marquez. Knives out omaggia i Radiohead in modo originale e ricco d’animo, mentre Just a love affair torna su sentieri jazz confermando come la scelta di avvalersi di Ferri invece di un contrabbasso classico sia stata vincente. Finale affidato alla breve ma affascinante Gymnopedie # 1 di Erik Satie, una piccola chicca che chiude un esordio solista raffinato e passionale. (Luigi Cattaneo)

Now and then (Official Video)

giovedì 15 dicembre 2016

CELEB CAR CRASH, People are the best show (2016)


Il progetto Celeb Car Crash nasce quattro anni fa dall’incontro tra Nicola Briganti (voce e chitarra), Carlo Alberto Morini (chitarra), Simone Benati (basso) e Michelangelo Naldini (batteria), personalità affini e con diverse esperienze in ambito rock alle spalle. Dopo Ambush! del 2013, che li ha portati ad aprire per Gotthard e Coheed and Cambria e la vittoria nel concorso Red Bull Tourbus chiavi in mano, che prevedeva tre date con i Lacuna Coil, la band pubblica nel 2015 l’ep ;Mucha Lucha!. È ora la volta di People are the best show, 12 brani che miscelano grunge, piglio rock e alternative, ben suonato e molto diretto, figlio di quella stagione in cui band come Pearl Jam e Stone Temple Pilots erano all’apice della forma. Let me in, coesa e potente, mostra il groove giusto per aprire l’album, così come Because I’m sad dopo un inizio soft si dimostra ideale proseguimento in territorio grunge. Si continua con l’ottima Whereabouts e la tirata Outdone, prima della gradevole Hello morning e della vibrante carica di Murder party posta sapientemente a metà disco. January ed Enemy’s desire mostrano come il gruppo riesca a condensare idee melodiche e furia rock all’interno di brani immediati e coinvolgenti, proprio come Stereo, uno dei pezzi forse maggiormente riconducibili al movimento di Seattle di fine 80 inizio 90. Hanging on a rope e la seguente Nothing new under the sun si dimostrano interessanti nel creare belle soluzioni ritmiche e fraseggi chitarristici suadenti ma essenziali. Chiude Nearly in bloom, una splendida ballata, emotivamente enfatica e lucido esempio delle variabili in possesso del quartetto. I Celeb Car Crash in soli 4 anni hanno raggiunto piena consapevolezza dei propri mezzi, sfruttando a dovere il loro potenziale, che si manifesta in un album di spessore, molto dinamico e con alcune variazioni sul tema grunge che non dispiacciono affatto e su cui il quartetto potrà lavorare ulteriormente in futuro. (Luigi Cattaneo)

Let me in (Official Video)

sabato 10 dicembre 2016

PROMENADE, Noi al dir di noi (2016)


Ecco arrivare anche il primo album dei liguri Promenade, un promettente quartetto in giro da qualche anno che riesce ora ad esordire grazie alla lungimirante AltrOck con Noi al dir di noi, un disco equilibrato, molto curato nelle sue parti e sapientemente suonato da ragazzi giovani ma di grandi capacità. Le finezze esecutive dettate dall’utilizzo influente di un quartetto d’archi, un flauto e un fagotto hanno inciso sull’aumentare ancora di più la sensazione di trovarsi dinnanzi ad un lavoro elegante e raffinato. Il prog sinfonico settantiano si sposa perfettamente con passaggi in odore di fusion e ciò si evince già con l’iniziale Athletics, 10 minuti strumentali che rimarranno un unicum all’interno del platter, che prevede il cantato di Matteo Barisone (impegnato anche alle tastiere) in tutti gli altri pezzi. Si prosegue con Il secondo passo, ottimo episodio ad alto tasso tecnico e L’albero magico, due brani ispirati e di grande classe dove sfumano contorni jazz su cui si inerpicano Gianluca Barisone alla chitarra, Stefano Scarella al basso e al sax e Simone Scala alla batteria. Un po’ di Premiata Forneria Marconi e un pizzico di Gentle Giant sono la colonna portante della fantasiosa Roccocò, mentre l’anima jazz prevale in Kernel e sa essere molto convincente. In direzione fusion si muove invece la complessa Pantera, prima del pirotecnico e lungo finale di Crisantemo, otto minuti sinfonici come migliore tradizione vuole. Noi al dir di noi è un disco sfaccettato, molto solido e suggestivo nell’unire il prog italiano con la fusion e i suoni di Canterbury, pregno di strutture strumentali ricche che non hanno però intaccato la cura per la composizione e che fa dei Promenade uno dei gruppi italiani più interessanti dell’etichetta milanese. (Luigi Cattaneo)

Athletics (Video)

lunedì 5 dicembre 2016

MOTORFINGERS, Goldfish Motel (2016)


Dopo ben quattro anni di assenza tornano in pista i Motorfingers (Abba alla voce, Max e Spezza alle chitarre, Faust al basso e Alex alla batteria) e lo fanno con un album estremamente piacevole e di grande impatto. Ritmiche essenziali e dirette, riff chitarristi taglienti e un cantato coinvolgente sono alla base di questo Goldfish Motel, edito dalla logic(il)logic e saldamente proiettato verso l’hard a stelle e strisce che non disdegna di strizzare l’occhio verso melodie di facile presa (Creed, Nichelback, Alter Bridge). Qualche frangente è collocabile anche nel new metal, più una tentazione che una reale direzione a dire il vero e forse ciò è dettato anche da alcuni momenti più pesanti (vedi l’ottima Eat your gun). Una durezza sempre stemperata e che culmina in pezzi come Behind this fire e Walk on your face, fino a raggiungere un ideale pathos nell’accattivante XXXIII (che mi ha ricordato i Disturbed di Believe) e nella sentita ballata Nothing but a man (con il violino di Lucio Stefani che impreziosisce e rende l’atmosfera ancora più drammatica). I modenesi appaiono per tutto l’album decisi a portare avanti un suono smaccatamente americano e lo fanno con competenza e passione, pur senza generare sorprese sul copione sanno essere sicuri ed efficaci in virtù di una certa conoscenza della materia. Goldfish Motel è un come back brillante, aggressivo ma sempre ragionato, in costante bilico tra hard rock ed heavy, merito di riff tirati e chorus dai contorni epici (a volte addirittura in odore di street rock) che segnano un ritorno assolutamente interessante di una band da seguire anche nel futuro. (Luigi Cattaneo)

Walk on your face (Video)

venerdì 2 dicembre 2016

IL BABAU & I MALEDETTI CRETINI, Il cuore rivelatore (2016)


Tornano Il Babau & i Maledetti Cretini, un progetto sospeso tra musica, teatro e letteratura formato da Damiano Casanova (chitarra), Franz Casanova (voce e tastiere) e Andrea Dicò (batteria e cori). Il trio continua ad ispirarsi al suono di fine 60 inizio 70, utilizzando anche per questa parte seconda della cosiddetta Trilogia del Mistero e del Terrore che già aveva avuto una sua consacrazione in La maschera della morte rossa del 2013.  Il cuore rivelatore (tratto nuovamente da un racconto di Edgar Allan Poe) è quindi un fonodramma, peculiare esempio di traduzione musicale e sonora di un’opera letteraria, che qui attinge nel macabro e nel bizzarro (per i dettagli i milanesi hanno allegato al disco un bel libro con i testi e l’artwork affidato a Gianni Zara, autore delle illustrazioni e a Francesca Canzi che ha curato grafica e impaginazione). La novella è indubbiamente celebre e la band non ha fatto altro che accentuarne i tratti psicotici attraverso una sapiente miscela di narrazione psichedelica e sfumature prog, degna dei Pholas Dactylus di Il concerto delle menti, oscuro disco del 1973. I quasi 30 minuti dell’opera ci conducono nelle spire folli del protagonista e delle sue ossessioni, con alcuni must narrativi come Lanterna cieca, la calma apparente di Chi è là o la geniale Il cuore, dove alcuni versi rimandano a Cuore matto di Little Tony! Tutta la storia è molto claustrofobica, ideale per gli spunti dei due Casanova e il pathos vocale di Franz, interprete enfatico di un personaggio misterioso e intenso, ansiogeno nella surreale cattura di quell’occhio, l’occhio di un avvoltoio, un occhio pallido, azzurro, coperto di una pellicola (L’occhio). Ovviamente il ruolo recitativo di Franz diviene essenziale per comprendere il fonodramma, coadiuvato dalle sue tastiere, dal lavoro efficace di Damiano e dal tocco dinamico di Dicò, tesi in direzione di un sound che guarda al prog ma non ci finisce imbrigliato e rimane per mood accostabile ai già citati Pholas ma anche agli storici progetti Antonius Rex/Jacula di Antonio Bartoccetti. L’album non ha cali, anzi, la storia ha un crescendo che ci conduce all’esplosione finale, quando i nervi del protagonista cedono sotto i rintocchi del cuore rivelatore (Sempre più forte) e pongono fine alla sua improvvisa disperazione. Il Babau continua ad esplorare in modo fantasioso certe opere cariche di fascinazione e l’attenzione che il trio pone per questi racconti è davvero encomiabile e fa del gruppo una delle realtà underground più curiose della scena indipendente italiana. (Luigi Cattaneo)

Il rumore (Video)

giovedì 1 dicembre 2016

QUADRI PROGRESSIVI, Il tempo della gioia


Per la rubrica quadri progressivi Lorena Trapani ha deciso di tornare a dedicarsi ad un artwork di Quella vecchia locanda, andando ad omaggiare Il tempo della gioia, il secondo e ultimo disco dei romani.

Il disegno, molto particolare, è stato eseguito con watercolours e crete e successivamente trasferito su tavoletta di legno 30x30 (tecnica transfer per l’appunto) e infine rifinita con colori acrilici, per un risultato davvero notevole e curioso.

Per visionare il catalogo di Lorena o per ricevere un dipinto del periodo progressive potete inviare una mail all’indirizzo del blog.



CONCERTI DEL MESE, Dicembre 2016

Giovedì 1
·Massimo Giuntoli “Pie Glue” a Lecco
·Gnu Quartet a Genova
·Monkey3 a Torino

Venerdì 2
·Goblin+GC Project+Echotime a Ferrara
·Syndone a Genova
·Napoli Centrale a Cervignano d. F. (UD)
·Meshuggah a Bologna
·Festival Prog a S. Donà di Piave (VE)
·Barock Project a Roma
·Rock in Frac Ensemble a Forlì
·Monkey3 a Pisa
·Egoband a Crevalcore (BO)

Sabato 3
·Meshuggah a Milano
·Rikard Sjöblom+Gibox Mobile a Milano
·Le Orme a S. Stino di Livenza (VE)
·Five Friends a Lugagnano (VR)
·Osanna+NCCP a Bari
·Anyway+Stereotomy a Torino
·Claudio Simonetti's Goblin a Padova
·Vittorio e Gianni Nocenzi a Valenza (AL)
·Glincolti a Giavera del Montello (TV)
·Solchi Sperimentali Fest a Milano
·VIII Strada a Milano
·Basta! a Terranuova Bracciolini (AR)
·Arturo Stàlteri a Ravenna
·Napoli Centrale a Perugia
·Monkey3 a Parma
·Il Babau & i Maledetti Cretini a Mezzago (MB)
·Psicosuono a Paderno Dugnano (MI)

Domenica 4
·Monkey3 a Erba (CO)
·Ego a Paderno Dugnano ore 18 (MI)

Lunedì 5
·Monkey3 a Trieste

Martedì 6
·Osanna+NCCP a Roma
·So Does Your Mother a Roma
·Monkey3 a Zero Branco (TV)

Mercoledì 7
·Osanna+NCCP a Firenze
·Monkey3 a Roma
·Napoli Centrale a Trecase (NA)
·The Coastliners a Fiumicino (Roma)
·Corrado Rustici Trio ad Aversa (CE)

Giovedì 8
·Marble House a Padova
·Corrado Rustici Trio a Roccaforzata (TA)

Venerdì 9
·Sycamore Age a Foligno (PG)
·Corde Oblique a Roma
·Marble House a Calderara di Reno (BO)
·Corrado Rustici Trio a Roma
·Monkey3 a Cagliari
·Napoli Centrale a Foggia

Sabato 10
·Alex Carpani a Bologna
·New Trolls a La Spezia
·Napoli Centrale a Gessopalena (CH)
·Il Rumore Bianco a Tregnago (VR)
·Monkey3 a Sassari
·Corrado Rustici Trio ad Ascoli Piceno

Domenica 11
·The Winstons a Milano
·Corrado Rustici Trio a S.Giovanni alla Vena (PI)

Lunedì 12
·Massimo Giuntoli “Pie Glue” a Milano
·Corrado Rustici Trio a Udine

Martedì 13
·Corrado Rustici Trio a Milano
·M. Giuntoli “Piano poetry” a Carugate(MI)

Giovedì 15
·Balletto di Bronzo a Savignano s/R. (FC)
·Osanna+NCCP ad Aosta



Venerdì 16
·Osanna+NCCP a Torino
·Balletto di Bronzo a Scorzè (VE)
·Corde Oblique a Napoli
·Aldo Tagliapietra & Tolo Marton a Dolo(VE)
·Trewa ad Erba (CO)
·Heretic’s Dream a Roma
·Glincolti ad Abbazia Pisani (PD)
·Mechanical Butterfly ad Acireale (CT)
·The Winstons a Roma

Sabato 17
·Universal Totem Orchestra alla Casa di Alex di Milano
·Childhood's Dream a Lugagnano (VR)
·Lingalad a Medolago (BG)
·Balletto di Bronzo al Bloom di Mezzago (MB)
·Old Rock City Orchestra a Porano (TR)
·Feat. Esserelà+Antilabé a Zero Branco (TV)
·The Winstons a Frattamaggiore (NA)
·Senza Nome a Marino (Roma)

Domenica 18
·The Winstons a Milano

Martedì 20
·Höstsonaten a Chiavari (GE)

Mercoledì 21
·Malibran a Belpasso (CT)

Giovedì 22
·A. Tagliapietra+A. Bassato a Lugagnano (VR)
·Osanna+NCCP a Napoli
·Napoli Centrale a Marigliano (NA)

Venerdì 23
·FixForb a Treviglio (BG)
·Quasar H7 a Campobasso

Lunedì 26
·Conqueror a Lamezia Terme (CZ)

Martedì 27
·Junkfood a Faenza (RA)
·Faust & The Malchut Orchestra a Crotone

Mercoledì 28
·The Watch a Lugagnano (VR)
·Junkfood a Roma

Giovedì 29
·Napoli Centrale a Olevano s/Tusciano(SA)
·Junkfood a Latina

Venerdì 30
·Napoli Centrale ad Albanella (SA)
·Junkfood a Frattamaggiore (NA)

sabato 26 novembre 2016

NICOLAS MEIER, Infinity (2016)


Ottimo ritorno per il talentuoso Nicolas Meier dopo Chasing tales del 2015 in coppia con Pete Oxley e conferma del valore assoluto di questo chitarrista. D’altronde suonare con Jeff Beck è indubbiamente un bel banco di prova e il buon Nicolas è ormai un musicista esperto e navigato, capace di muoversi in contesti molto diversi tra loro (vedi la metal band Seven7). Nel caso di Infinity, Meier sceglie la via del trio (con due fenomeni come Vinnie Colaiuta alla batteria e Jimmy Haslip al basso), sviluppando più che in altre circostanze un sound vicino alla fusion ma che non disdegna affatto incursioni prepotenti nel rock, anche attraverso una strumentazione personale e variegata (tra cui anche il glissentar, la synth guitar e il baglana). Si evince una certa volontà nel non fermarsi all’interno di un genere solo (cosa che per altro Meier non ha mai fatto) e gli spunti jazz e prog si devono leggere proprio in quest’ottica. Ne è esempio lampante l’iniziale The eye of Horus (con Richard Jones al violino), tra influenze mediorientali, rock e fusion, mentre la seguente e splendida Still beautiful (ancora con Jones) ci riporta alle melodie eteree di Chasing tales. Meier d’altronde continua il suo percorso in cui non ci si sofferma solo sulle spiccate capacità individuali ma si cerca di curare anche l’aspetto emotivo della composizione, con una certa attenzione per scrittura e arrangiamento elegante. La fusion è difatti solo la base di partenza ma non costringe il trio ad inerpicarsi lungo sentieri obbligatoriamente tortuosi e magari interessanti solo per chi è avvezzo a certi virtuosismi e nell’ottica di Meier è il collante per sviluppare soluzioni adatte a più palati (le belle Rose on water con il fine lavoro di Lizzie Ball al violino e Serene). Il tocco di Meier si fa impetuoso in Legend (dedicata proprio a Jeff Beck), così come il trio mostra irruenza anche in Flying spirits (ancora con un ispirato Richard Jones), due brani che sono esplicativi per comprendere quanto possa essere variegata la musica del chitarrista. Il terzo dei violini presenti è quello di Sally Jo, che incontriamo in Riversides e nella particolare Yemin. Di alto livello la chiusura di JB Top, un omaggio a Billy Gibbons e agli ZZ Top (da segnalare anche la partecipazione di Gregor Carle alla chitarra), degno finale di un album poliedrico che può catturare la curiosità tanto dei jazzisti che dei fan del progressive. (Luigi Cattaneo)

Riversides (Official Video)

giovedì 24 novembre 2016

HAUTVILLE, Mater Dolorosa (2016)


Dopo tre anni da Le Moire ritornano gli Hautville con Mater Dolorosa, otto brani intrisi di folk progressivo con tanti inserti classicheggianti (un po’ come i campani Corde Oblique) che denotano una profonda conoscenza della materia. La cura per il dettaglio, per gli arrangiamenti raffinati e per testi ricercati fanno la differenza e oltre alla bontà esecutiva del trio (Simona Bonavita alla voce, Francesco Dinnella al basso e alle tastiere e Leonardo Lonigro alla chitarra folk ed elettrica) vanno menzionati i tanti special guest presenti, che risultano essenziali per la riuscita del lavoro (Giulio Amico Padula alla tromba, David Bisetti alle percussioni e ai timpani, Daniela Caschetto al violoncello, Rebecca Dallolio al violino, l’ex Pierrot Lunaire Arturo Stalteri al piano e William Matteuzzi alla voce). La vena malinconica che attraversa il platter ammalia e dona un incanto intrigante al racconto, che si sviluppa proprio cercando di avvincere l’ascoltatore attraverso brani solo all’apparenza di facile lettura ma in realtà molto pregni di elementi. Il fascino di certe argomentazioni va di pari passo con atmosfere disincantate e malinconiche, caratteristiche che troviamo già nell’elegante opening track Dis pater, con la Dallolio a ricamare in modo sicuro sopra un substrato folkeggiante di gran spessore. La dea Artemide viene tributata nel brano successivo, una ballata dai toni epici che ben delineano la sua figura, mentre accelera ritmicamente Pietà e costanza, soprattutto grazie al percussionismo di Bisetti e al lavoro di Lonigro, più deciso che mai. Nella prima parte spicca Le ombre, un folk cantautorale delicato e tenue, con la Bonavita artefice di una prova magistrale, prima dell’intervento del tenore Matteuzzi nella title track, pezzo dove partecipa anche Stalteri, che insieme a Caschetto dona un imprinting molto classico alla composizione. La sposa torna sui sentieri abituali del trio e l’interplay tra chitarra e violino tratteggia scenari amari e inquieti, replicati dalla potenza espressiva di Per non sentire niente, convincente anche grazie alla prova di Padula. Il finale di Il castello è incentrato sul tocco di Stalteri, che chiude con un sigillo fiabesco un album poetico e affascinante. (Luigi Cattaneo)

Per non sentire niente (Video)

lunedì 21 novembre 2016

DWIKI DHARMAWAN, Pasar Klever (2016)


Dopo So far, so close di cui ci siamo occupati pochi mesi fa, torna uno dei fuoriclasse della scena indonesiana, il tastierista Dwiki Dharmawan e lo fa con un doppio piuttosto ambizioso, Pasar Klewer. Per l’occasione Dwiki si è dedicato al solo piano acustico, in una forma trio (con Yaron Stavi al basso e Asaf Sirkis alla batteria) a cui si aggiungono di pezzo in pezzo diversi musicisti di svariata estrazione e dal tocco profondamente mutevole, pescando a piene mani sia dalla tradizione asiatica che da quella occidentale. Un crossover appassionante tra culture e stili, capace di abbracciare la fusion, il jazz rock e il progressive, come da sempre ci ha abituato la Moonjune di Leonardo Pavkovic, produttore insieme a Dharmawan di questo lavoro registrato a Londra. Il trio si muove benissimo e mostra un grande affiatamento, base fondamentale su cui si inseriscono alla perfezione gli ospiti presenti nel disco, tra cui spiccano in particolare Mark Wingfield (chitarrista jazz ma dal taglio sperimentale), Nicolas Meier (chitarrista nel team di Jeff Beck) e Gilad Atzmon (maestoso al sax e al clarinetto). Tutti gli special guest hanno però dato il loro importante contributo per la realizzazione di uno dei dischi più belli degli ultimi anni dell’etichetta di New York, ottimo esempio di come coniugare tradizioni locali e jazz, senza dimenticare la lezione di leggende come Soft Machine o Henry Cow. Dwiki non fa altro che confermarsi come uno dei maggiori talenti della sua generazione anche a livello compositivo (basti ascoltare la fantasiosa Frog dance, in cui va sottolineato lo splendido lavoro di Meier all’acustica e Atzmon al sax o Spirit of peace con Meier stavolta al glissentar e Atzmon al clarinetto). Ed è un vero peccato che dopo più di trent’anni di carriera qui in Europa non sia ancora conosciuta come dovrebbe la sua figura, importantissima per capire gli sviluppi culturali di una popolazione affascinante e che ha molto da dire anche in campo musicale (vedi i trasversali Simak Dialog o il guitar hero Dewa Budjana, giusto per citarne un paio). Il tastierista continua con Pasar Klever il suo lungo percorso alla ricerca di espressioni musicali contemporanee ma che abbiano uno sguardo sul passato; da qui l’utilizzo di percussioni (le Gamelan e le Kendang di Aris Daryono) che incontrano strumenti a fiato e chitarre (con il voluto dualismo tra Wingfield e Meier, due musicisti dal differente background). Difatti l’album di distingue proprio per la mescolanza tra segni distintivi di matrice popolare e altri di natura europea, elementi dell’arcipelago indonesiano che vengono filtrati da chi appartiene ad altre culture (tra questi anche l’italiano Boris Savoldelli alla voce nella corale London in June in cui partecipa di nuovo Meier al glissentar e nella rivisitazione di A forest di Robert Wyatt, dove compare invece Wingfield). Le radici di Dwiki e l’amore per il jazz vivono nella lunga title track, esempio lungimirante di come suoni che rimandano a virtuosi che rispondono al nome di Chick Corea o McCoy Tyner possano incontrarsi con le distorsioni di Wingfield. E non sono da meno Tjampuhan, 13 minuti di fusion progressiva in cui Atzmon al sax si destreggia benissimo come al solito e Li llir, un traditional arrangiato divinamente da Dharmawan. L’interplay del trio si amalgama con il fraseggio di tutti gli interpreti chiamati in causa, merito anche delle doti di scrittura già riconosciute al leader e seguite a ruota da quelle della sezione ritmica, che firmano insieme al tastierista la già citata London in June, mentre Sirkis è l’autore unico di Life it self, pensata per la chitarra satura del buon Wingfield. Pasar Klever è un progetto grandioso, magistralmente costruito nelle sue parti così variegate e piene di energia, un risultato di cui Dwiki deve andare fiero e che merita di essere apprezzato anche qui dai suoi confini nazionali. (Luigi Cattaneo)

Pasar Klewer (Live at the Bali world music festival)

sabato 19 novembre 2016

SUITE SOLAIRE, Rideremo (2016)


Dopo l’ep L’equilibrista del 2010, Rideremo è il primo Lp dei Suite Solaire (Paolo Baragioli voce e flauto traverso, Raffaele Giordano alla chitarra, Salvatore Matrone al basso, alle tastiere e ai synth e Riccardo Panigati alla batteria), 11 brani dove il gruppo di Novara racconta il tema della fuga intesa come salvezza da un reale opprimente, che diviene inconciliabile con i propri ideali. Pur non essendo propriamente un concept i pezzi hanno questo filo conduttore e il titolo del disco richiama proprio la condizione ricercata da chi scappa, ossia un futuro in cui tornare a sorridere e vivere. Il sound e i relativi arrangiamenti del platter sono votati alla ricerca della facile melodia, con uno sguardo anche al cantautorato, soprattutto grazie a testi che raccontano efficacemente le problematiche del quotidiano e mostrano una certa attenzione per il tema trattato. Il disco risulta comunicativo (ne sono esempio Un mondo di ghiaccio o la malinconica Cristina), attento nel parlare dell’epoca difficile in cui stiamo vivendo (il pop rock di Il meglio è già passato) e della disperata ricerca di appigli materiali o spirituali del tutto illusori (la mesta Nero giorno d’inverno). I personaggi che si delineano sono costretti a venire a patti con un presente che non ha nulla di spensierato (Jhonny) e decidono di ritirarsi in attesa di tempi migliori (Salviamoci). Il taglio anglosassone si miscela con forme di casa nostra, con gli U2 sullo sfondo ma le tipiche melodie della penisola nel cuore, con brani che sono sì facilmente memorizzabili ma mai sfacciatamente pensati per diventare una hit single o melensi come alcuni interpreti dell’italico pop (in questo mi hanno ricordato gli Oen). Non mancano riferimenti vintage, soprattutto quando si accende il flauto traverso, vera chicca distintiva e che può ricondurci ai Delirium più immediati. Rideremo è un primo passo piacevole che consegna al pop italiano un gruppo giovane, fresco e con margini di crescita. (Luigi Cattaneo)

Cristina (Video)

venerdì 18 novembre 2016

FINAL SOLUTION, Through the looking glass (2016)


Nati nel 2011, i Final Solution si sono presto creati un solido repertorio a base di death metal melodico, omaggiando grandi realtà del genere come At the gates e In flames. Un buon modo per farsi le ossa, soprattutto dal punto di vista tecnico, che li ha portati nel tempo a comporre pezzi propri senza dimenticare la potente lezione di certi maestri svedesi. A questo però va aggiunto anche un cambiamento stilistico, che li ha portati ad abbracciare una corrente più progressiva, complice anche Mario Manenti, vocalist subentrato in formazione ad inizio 2016 (completano la line up Fabio Pedrali alla chitarra e membro fondatore della band, Alessandro Martinelli alla chitarra, Gabriele Savoldi al basso e Gianluca Borlotti alla batteria). Through the looking glass è quindi la prima fatica dei bresciani, 30 minuti circa in bilico tra furia djent/math e trovate prog ad ampio respiro, bordate al limite del thrash e fraseggi di grande gusto melodico. Il quintetto ha indubbie capacità, risulta attento al dettaglio e ha una discreta versatilità che li porta anche in territori più classici o power prog, sempre conditi da velocità d’esecuzione e freschezza. Risulta semplice farsi coinvolgere dall’iniziale Sick of you, seguito di un intro dark e decisamente adatta per chiarire come uno dei punti di forza del gruppo sia la coesione tra le due chitarre e l’avere una sezione ritmica molto compatta. Di incredibile potenza thrash Demon inside, che però non disdegna un chorus d’impatto e un ottimo interplay melodico tra Pedrali e Martinelli, mentre la seguente Empty walls ha un mood progressivo dovuto probabilmente anche al tasso tecnico messo in campo dall’ensemble. The show is on conferma la vena prog, aspetto che rende il platter ancora più carico di umori, prima di Dogs of war in cui i Final Solution continuano a proporre una miscellanea di soluzioni energiche e intensamente liriche, con la conclusione di Grey magnifico epitaffio di un esordio decisamente interessante e a tratti avvincente. (Luigi Cattaneo)

Sick of you (Video)

domenica 13 novembre 2016

LURKING FEAR, Grim tales in the dead of night (2016)


Ep d’esordio per i Lurking Fear, un trio di Figline Valdarno nato 5 anni fa dall’amore per l’heavy di Mirko Pancrazzi (chitarra), Fabiano Fabbrucci (basso e voce) e Stefano Pizzichi (batteria). I brani di Grim tales in the dead of night rimandano al metal settantiano e alla NWOBHM dei primi ’80, con un suono che è distillato di Mercyful Fate, Iron Maiden e Angel Witch. I testi invece si rifanno ai classici della letteratura horror di inizio 900 (come Edgar Allan Poe) e in generale a tutto ciò che è macabro e grottesco, elementi ideali per irrobustire il sound con citazioni anche del King Diamond solista e dei primi Death SS. Un bel tuffo nel passato, un periodo d’oro per questo tipo di musica che ancora oggi fa proseliti e che i toscani omaggiano in ogni nota del lavoro, senza preoccuparsi di essere originali o moderni e proponendo uno stile ben radicato nella cultura heavy. 5 pezzi dove i Lurking Fear non concedono fronzoli, risultano diretti e battaglieri, con i riff di Pancrazzi essenziali e solidi e ritmiche volte a sorreggere un cantato aggressivo e in linea con il mood della produzione. Poco più di 30 minuti in cui il substrato hard si amalgama con frangenti più melodici pur senza concedere nulla al leitmotiv dell’intero disco, che non prevede grosse variazioni sul tema (aspetto su cui magari si potrà lavorare in futuro). Chi cerca novità rimarrà deluso. I toscani sembrano usciti proprio da un’altra era storica e sono fieri di apparire così, risultando credibili appassionati di un genere immortale e sempre stimolante. Buonissimo l’attacco di Watching eye, convincente pezzo iniziale che lascia spazio a Lady of Usher, brano in cui emerge anche la buona tecnica del trio. The strain ha al suo interno interessanti parti strumentali, mentre in I am e nella conclusiva Flesh and soul fanno capolino echi sabbatiani. Grim tales in the dead of night è un primo passo gradevole, sicuramente migliorabile sotto qualche aspetto ma che non può non incuriosire gli amanti dell’heavy primordiale che tanta importanza ha rivestito nella crescita del movimento. (Luigi Cattaneo)

Watching eye (Video)

sabato 12 novembre 2016

THAUMA CINCINNATO, L'essere e l'auriga (2016)


Ritornano i Cincinnato, uno dei tanti nomi che animava la scena italiana dei ’70 e che dopo il valido disco d’esordio sparì come buona parte di quei gruppi giovani e curiosi. I fondatori Giacomo Urbanelli (voce, piano e tastiere) e Gianni Fantuzzi (chitarra) sono della partita, accompagnati da Franco Erenti (tastiere) e Paolo Burattini (basso e chitarra acustica), oltre che da Graziano Rampazzo che si occupa delle parti di batteria e Ilaria Guerra impegnata al canto. Il termine Thauma fa intendere che i Cincinnato non sono più esattamente quelli di 40 anni fa e se è vero che lo stile è rimasto ancorato al jazz, è pur vero che si è arricchito di umori pop che non sempre convincono lungo la durata del platter. I Thauma Cincinnato prediligono un lavoro d’equipe, con pezzi strutturati come nella migliore tradizione progressiva ma più fruibili rispetto al passato, con la matrice “colta” che incontra quella popolare e lascia intendere come il gruppo voglia essere maggiormente comunicativo se paragonato ai suoi esordi. Un impeto ravvisabile in questo come back fortemente voluto e su cui i quattro hanno lavorato negli ultimi anni, una continuità più di intenti che di genere visto il modus operandi legato alla forma canzone, seppur sui generis. L’essere e l’auriga è quindi un disco molto diverso rispetto al primo, una scelta che ha portato i lombardi a sviluppare partiture che uniscono jazz, classica e soul, condite di testi che rappresentano un’altra piccola novità (in Cincinnato solo L’ebete aveva una parte cantata). Proprio questo aspetto fa capire come i nuovi Cincinnato non vogliano relegarsi in un imbuto progressivo autolesionistico ma abbiano preferito proporre quello che sono diventati, con buona pace di chi bramava un capitolo secondo simile al precedente (e io, lo ammetto, ero tra questi). Inutile quindi fare paragoni tra un album che rappresentava appieno un Italia che non c’è più e questo L’essere e l’auriga, legato all’oggi e dove i musicisti, senza farsi condizionare dalle attese del pubblico, hanno deciso di raccontare la loro visione del presente, che non può essere quella di chi nel 1974 ragionava per istinto e passione. Il platter scorre via piacevole, è suonato indubbiamente bene, con qualche momento sopra gli altri come Colori di noi (che vede la partecipazione di Luciano Cirino al piano), La peste (bello il lavoro del trombettista Maurizio Vaccaluzzo) e la lunga Città oceano ma forse manca il guizzo strabiliante, quello che ti fa innamorare di un pezzo o di un disco intero. L’album è acquistabile privatamente e si può richiedere tramite la loro pagina facebook o al seguente link https://soundcloud.com/thauma-cincinnato che permette anche l’ascolto dell’intero lavoro. (Luigi Cattaneo) 

mercoledì 9 novembre 2016

ACQUA LIBERA, Acqua Libera (2016)


Nell’aprile del 2013 Fabio Bizzarri (chitarra già dei Vicolo Margana e dei Sesto Senso, una band di inizio ’70), Jonathan Caradonna (tastierista dei Profusion), Franco Caroni (bassista dei Livello 7 nel lontano 1974 e successivamente nel Juice Group prima e nel Juice Quartet poi) e Marco Tosi (batterista con un passato nei Vicolo Margana e attualmente impegnato nella band del grande Franco Baggiani) danno vita agli Acqua Libera con l’intento di riprendere e lavorare sui brani dei gruppi precedenti (Livello 7 e Juice in particolare) e di crearne di nuovi. Ne nasce un album strumentale pieno di grande progressive, infarcito di jazz rock e fusion e senz’altro meritevole di ascolto per quanti amano P.F.M. e Duello Madre ma anche i contemporanei Red Zen o Eclat. Una sorta di gruppo prettamente senese che è riuscito a riesumare tracce che si sarebbero perse del tutto con il passare del tempo ma che ha deciso di puntare, giustamente, anche su materiale nuovo, lavorato con grande classe e sensibilità da musicisti navigati e di spessore. Sarebbe stato un peccato non far emergere quanto di buono composto decenni prima e trasportare la passione per questa musica su disco ripaga indubbiamente gli artisti dei tanti sforzi fatti. La doppietta iniziale formata da Tempi moderni e Nautilus è un gran bel biglietto da visita in chiave prog rock, mentre Alla luce della luna è legata strutturalmente alla fusion e risulta delicata e dai colori più tenui. Mr. Lou torna a movimentare il platter, con la band che disegna intarsi dinamici e vigorosi, un po’ quello che succede in Marcina, brano scritto da Caroni e che evidenzia il suo talento anche come compositore. Sans tambour ni musique torna a far vibrare le corde del progressive rock in maniera decisa ed energica e fa il paio con Quo vadis, esuberante nel suo andamento brioso e vitale. La chiusa di Prog mood conferma lo splendido lavoro d’insieme e le abilità tecniche del quartetto toscano, artefici di un lavoro molto gradevole che unisce sapientemente prog e fusion con spirito e passione. (Luigi Cattaneo)

Alla luce della luna (Video)

sabato 5 novembre 2016

KOTIOMKIN, Squartami tutta - Black Emanuelle goes to hell (2016)


Avevamo lasciato gli abruzzesi Kotiomkin alle prese con un eroe d’altri tempi (Maciste nell’inferno dei morti viventi del 2014) e li ritroviamo immersi in un viaggio in lande sperdute in compagnia della celebre Emanuelle. Squartami tutta – Black Emanuelle goes to hell racconta della setta del Dio Kito e del suo capo, l’albino O’Hara, e di come il commissario Frank Baiocchi (detto Prunella Ballor) decida di coinvolgere la famosa fotoreporter Emanuelle con l’intento di farla infiltrare tra gli adepti del culto, in quello che diventerà un viaggio allucinato tra rituali esoterici, orge e droghe che porteranno la disinibita giornalista sino alle porte dell’inferno. La dedica a Joe D’amato (nome d’arte di Aristide Massaccesi) chiarisce l’amore del trio (Enzo Zeder al basso, Davide Di Biagio alla chitarra e Gianni Narcisi alla batteria) per le soundtrack, qui proposta in chiave stoner e imbevuta di vintage, psichedelia e vanità progressive, lasciando a brevi narrazioni tratte dal film il compito di aprire o chiudere il pezzo, una scelta a tratti esaltante e che ha creato un filo conduttore senza l’uso di testi. Difatti gli otto strumentali presenti non hanno affatto bisogno di parti cantate per trasportare efficacemente negli scenari del film, sia nei momenti più tirati (Emanuelle: fotoreporter disinibita) che in quelli maggiormente narrativi (la malvagia El queso del diablo). L’amore per gli anni ’70 si palesa in ottimi pezzi come Orgia rituale o Prunella Ballor, che riportano in auge un certo cinema di genere, i cosiddetti b-movies riscoperti in anni recenti da tanti appassionati. Rispetto però ad ensemble come L’albero del veleno o gli Anima Morte, i Kotiomkin hanno un background che si fonda sullo stoner e sul doom, infarcito quindi di riff potenti e cadenzati, ritmiche solide e una certa predisposizione per pellicole cult e rare prodotte dal nostro paese. Da qui nasce un platter di spessore che risulta avvincente e interessante per tutta la sua durata e non fa altro che confermare la bontà del progetto dei tre marchigiani, lasciando una certa curiosità su che cosa potrebbero omaggiare nel prossimo disco. (Luigi Cattaneo)

Black Emanuelle goes to hell (Video)

mercoledì 2 novembre 2016

FESTIVAL ROCK PROGRESSIVE

Il FESTIVAL ROCK PROGRESSIVE si terrà venerdì 2 dicembre al Teatro ASTRA di San Donà di Piave (VE).

Il Festival è stato organizzato dai Quanah Parker in collaborazione con l'Associazione Musicale e Culturale "G. Tartini" di Monastier di Treviso e Meolo (VE) e sarà presentato dal discografico Vannuccio Zanella​ della prestigiosa etichetta M.P. & Records. 

L'idea è quella di dare una panoramica di passato, presente e futuro del Progressive Italiano, presentando un nome storico come Tony Pagliuca, che suonerà qualcosa di nuovo e qualcosa delle Orme, due band attuali con alcuni album all'attivo, ossia i Quanah Parker e gli Antilabè e un gruppo di giovanissimi affascinati dal progressive, gli Uneven Mood.

 

martedì 1 novembre 2016

CONCERTI DEL MESE, Novembre 2016

Venerdì 4
·Massimo Giuntoli “Hobo” a Piacenza
·São Paulo Underground a Mestre (VE)
·Solchi Sperimentali Fest a Bologna

Sabato 5
·King Crimson a Milano
·Arturo Stàlteri a Ghilarza (OR)
·Black Mountain a Segrate (MI)
·GC Project a Burolo (TO)
·Dark Ages a Mantova
·Jumbo+CAP al Teatro Lirico di Magenta (MI)

Domenica 6
·King Crimson a Milano
·U-Gene a Lainate ore 17 (MI)
·Linea Nazca ad Aiello del Friuli (UD)

Lunedì 7
·Genesis Piano Project a Perugia

Martedì 8
·King Crimson a Firenze
·Genesis Piano Project a Roma

Mercoledì 9
·King Crimson a Firenze
·Genesis Piano Project a Paderno D. (MI)

Giovedì 10
·Il Paradiso Degli Orchi a Brescia
·Sycamore Age ad Avellino
·Arturo Stàlteri a Roma

Venerdì 11
·King Crimson a Roma
·Sycamore Age a Messina
·Oberon a Palermo
·Il Rumore Bianco ad Arbizzano (VR)

Sabato 12
·Banco a Brescia
·King Crimson a Roma
·Sycamore Age a Roma
·Rêverie a Torino
·Steve Hackett a Catanzaro
·Dark Ages a S. Lazzaro di Savena (BO)
·Malibran a Belpasso (CT)

Domenica 13
·Orphaned Land a Borgo Priolo (PV)
·Amy X Neuburg a Lainate ore 17 (MI)
·Proteo a Mantova
·Delta a Travedona-Monate (VA)

Lunedì 14
·King Crimson a Torino
·Opeth a Milano
·Orphaned Land a Firenze
·Claudio Simonetti’s Goblin a Napoli
·The Musical Box a Trento

Martedì 15
·King Crimson a Torino
·Storia New Trolls a Napoli



Mercoledì 16
·Napoli Centrale a Napoli
·Marble House a Bologna

Giovedì 17
·King Crimson a Montecarlo (Monaco)
·M.Giuntoli “Piano Poetry” a Paderno D. (MI)

Venerdì 18
·Claudio Simonetti's Goblin a Parma
·King Crimson a Montecarlo (Monaco)
·Mike Stern Trio a Milano
·Acqua Libera a Siena
·Toni Pagliuca Trio a Camposanpiero (PD)
·Prometheo a Bari

Sabato 19
·Alex Carpani a S. Giovanni in Pers. (BO)
·Il Rumore Bianco+Promenade a Milano
·Massimo Giuntoli “Hobo” a Trieste
·Ingranaggi della Valle a Genova
·Court+Mirrormaze a Busto Arsizio (VA)
·Mike Stern Trio a Milano
·Saint Just ad Ascoli Piceno

Domenica 20
·Massimo Giuntoli “Hobo” ad Arcade (TV)
·Mike Stern a Mogoro (OR)
·Notturno Concertante a Altavilla I. (AV)

Martedì 22
·Jaga Jazzist a Milano

Mercoledì 23
·Jaga Jazzist a Roma
·Gianni Nocenzi a Roma

Giovedì 24
·Three Days Prog a Moncalieri (TO)
·Liberae Phonocratia a Vicenza
·Jaga Jazzist a Nichelino (TO)
·Acoustic Strawbs a Gandino (BG)
·Bol & Snah a Ranica (BG)

Venerdì 25
·Three Days Prog a Moncalieri (TO)
·Jaga Jazzist a Ravenna
·Acoustic Strawbs a Piacenza
·Lingalad a Ostiano (CR)
·Tuxedomoon a Trieste
·Twinscapes a Lugagnano (VR)
·Prog61 a S. Giovanni alla Vena (PI)
·Garybaldi+CAP feat. Alvaro Fella a Roma
·Bol & Snah a Napoli
·Arturo Stàlteri a Treviso
·Promenade a Genova

Sabato 26
·Three Days Prog a Moncalieri (TO)
·Archive a Milano
·Jaga Jazzist a Brescia
·Tuxedomoon a Bologna
·Twinscapes+Alex Carpani a Veruno (NO)
·Face Value Band+The Monkey Shock a Roma
·Don Airey a Torrebelvicino (VI)

Domenica 27
·Jaga Jazzist a Genova
·Hobo a Milano

Martedì 29
·Osanna+NCCP a Milano
·Tuxedomoon a Milano

lunedì 31 ottobre 2016

SONATA ISLAND, Live Alterazioni 2016



Secondo appuntamento per la rassegna Alterazioni, organizzata dal comune di Lainate nella splendida Sala della Musica di Villa Litta e giunta alla quarta edizione sotto la direzione artistica di Massimo Giuntoli, sempre attento nel creare un programma di alta qualità dai confini indefiniti e che mettono a confronto percorsi, approcci e linguaggi diversi tra loro ma che possono convergere e rivelare punti di contatto. Dopo l’apertura di domenica scorsa affidata a John Greaves (Henry Cow, National Health, Slapp Happy) con la partecipazione di Annie Barbazza, la seconda giornata ha visto esibirsi sul palco i Sonata Island in quartetto (Emilio Galante al flauto, Alessandro Bianchini al vibrafono, Stefano Bianchini al contrabbasso e Thomas Samonati alla batteria), un ensemble nato quasi 20 anni fa e dall’organico variabile che trae spunto tanto dalla musica colta quanto dal jazz e dal R.I.O.

Il background accademico non delimita la loro passione per il jazz, mostrando un gruppo a proprio agio nel riproporre con entusiasmo e lirismo composizioni di autori novecenteschi come Bartok, Debussy e Stravinsky, oltre che quelle di Astor Piazzola e Chick Corea, in bilico perenne tra scrittura e improvvisazione, che funziona solo se si conosce perfettamente la materia trattata. Proprio come sanno fare i Sonata Island.

Il prossimo appuntamento di domenica 6 novembre prevede l’esibizione del duo U-Gene (Massimo Giuntoli alla tastiera e Silvia Cignoli alla chitarra), mentre la chiusura del 13 è affidata all’estro di Amy x Neuburg (voce, percussion pad e live electronics). (Luigi Cattaneo)

domenica 30 ottobre 2016

BADMOTORFINGER, Heroes (2016)


Nati come classica cover band, i Badmotorfinger (proprio come il titolo di un bellissimo album dei Soundgarden) passano dagli inevitabili demo e concerti per giungere proficuamente nel 2013 alla pubblicazione del massiccio It’s not end, disco che li porta a suonare nei festival dedicati all’hard & heavy. Il cambio di vocalist, con l’ingresso di Luigi Sangermano (già coi Tarchon Fist) ad inizio dell’anno passato, porta il gruppo a lavorare intensamente su nuovi pezzi insieme a Viviana Cappelli, che dona il suo apporto per la creazione di testi e musiche. Nasce così Heroes, ep con tre inediti e altrettanti brani del vecchio album riarrangiati per l’occasione e che fanno capire quanto i bolognesi siano attaccati a questo suono heavy, potente ma bilanciato tra impatto e melodia. L’ep è modulato sui classici riff (doppia chitarra con Alex e Federico Mengoli) punto di riferimento per un certo tipo di approccio muscolare, su ritmiche spinte e decise (la coppia formata da Tommy Tommesani al basso e Fabio Bussolari alla batteria) e su una certa attenzione per la forma canzone, che permette di apprezzare le song quasi da subito. E così scorrono Hidden heroes e Needle in my vein, episodi coinvolgenti che certificano il buon lavoro svolto dal gruppo per presentarsi al meglio per questa nuova uscita. L’altro inedito è Badmotorfinger, anche questa piuttosto immediata nel suo incedere. Mi ha convinto meno No second chance, epica ma un po’ scontata, mentre Afterlife e Rebel in chiave acustica sono due incantevoli momenti che potrebbero tranquillamente attirare anche chi è meno avvezzo a certi suoni. Heroes risulta quindi congeniale al momento vissuto dai ragazzi con l’arrivo di Sangermano e mostra come la band non si sia fermata di fronte al cambiamento e abbia da subito ripreso la via della scrittura in vista del prossimo full lenght. (Luigi Cattaneo)

Hidden heroes (Official Video)

sabato 29 ottobre 2016

COSA RARA, Cosa Rara (2016)


Lo splendido catalogo dell’AMS si arricchisce di un nome che si discosta dal classico prog sinfonico  e preferisce cimentarsi in strutture dilatate e dai tratti space. Stiamo parlando dei Cosa Rara, un progetto nato nel 2005 e che dopo diversi cambi di line up arriva finalmente all’esordio discografico. Chiaramente i riferimenti ai ’70 ci sono, soprattutto quelli legati alla psichedelia e a tutto quello che gli sta intorno, con sfumature elettroniche e progressive che garantisce un risultato finale solido e di grande trasporto. Un viaggio strumentale fluido, energico e di impatto, con la band abile nel sovrapporre e fondere vari strati di suono in modo convincente. Esempio lungimirante sono brani di ampio respiro come la meravigliosa Miraggio o l’interessante chiusura di Innisfree, pezzi che dimostrano come i Cosa Rara abbiano un background da cui attingere ma non si soffermano unicamente su quello e provano a guardare oltre. Una commistura di prog e psichedelia che denota idee e classe e che si sviluppa in maniera costante lungo il tragitto, con i vari membri (Andrea Onesti alla chitarra, Francesca Goria alle tastiere, Piolo Aluffi al basso e Maurizio Pinna alla batteria) bravissimi nel creare un lavoro di equipe funzionale al sound, evitando sterili digressioni solistiche a favore di un interplay tra le parti di buona fattura. Ritmiche solide che permettono alla Goria di stupire con passaggi di grande effetto, gli stessi creati dagli accordi di Onesti, bravissimi nel fronteggiare la materia cercando di non cadere in abusati clichè. Un debutto fortemente voluto che getta luce su una nuova e meritevole band, capace di toccare le corde giuste per appassionare non solo gli amanti del prog ma anche chi apprezza ensemble come Explosion in the sky e God is an astronaut, proprio per quella capacità di creare fughe space rock con l’utilizzo dei consueti strumenti a tastiera, elemento che contraddistingue la musica del quartetto. Cosa rara è una miscellanea cangiante di strutture e soluzioni affini ma diverse tra loro, che si alternano e si incontrano con decisione all’interno di un’opera prima di grande cura. (Luigi Cattaneo)

Havismat (Video)

domenica 23 ottobre 2016

BANAAU, The Burial (2016)


Nati nei primi anni ’90 come duo (Andrea Massimo Fantozzi alla chitarra e alla voce e Lino Cecala alle tastiere), ampliato poi a cinque elementi, i Banaau attraverso il linguaggio sempreverde del prog sinfonico di matrice inglese danno vita ad un concept ispirato ad uno dei grandi autori della letteratura americana, ossia Thomas Stearns Eliot e il suo The waste land. Il gruppo è arrivato a questo risultato dopo una pausa di ben 20 anni e la reunion ha portato alla registrazione di The Burial (con la partecipazione di Riccardo Tosi alla batteria, musicista di estrazione jazz già nelle band di Giovanni Falzone, Danilo Gallo e Rosario Di Rosa, giusto per citarne alcune). The waste land è una poesia lunga e articolata sulla crisi provocata dalla perdita dell’identità morale e culturale seguita alla I guerra mondiale e il sound, velato di malinconia, rispecchia appieno il tema trattato. Come il poema racchiude molteplici punti di vista, anche l’album (una sorta di ep visti i 25 minuti di durata) risulta ora più oscuro (Prologue), ora ispirato ai Genesis e ai Caravan (What are the roots), ora strutturato su fughe strumentali che lasciano trasparire idee e buone doti tecniche (la lunga Unreal City, forse il pezzo meglio riuscito), ora brulicante di tempi dispari (Madame Sosotris). È bene dire che The Burial è in realtà un progetto in corso e che come l’opera di Eliot è strutturata in cinque parti, anche i milanesi hanno la volontà di poter magari dedicare un disco per ogni sezione. Dopo l’uscita del lavoro i Banaau si sono stabilizzati con una formazione di addirittura sette elementi (Andrea Massimo Fantozzi alla voce e alla chitarra, Bartolomeo Cicala alle tastiere, Andrea Zani alle tastiere, Elton Novara alla chitarra, Tony Alemanno al basso, Matteo Paparazzo alla batteria e Demetra Fogazza al flauto e ai cori) e con l’esibizione al FIM 2016 hanno suscitato critiche positive e interesse tra gli addetti ai lavori. Band da tenere d’occhio in attesa della nuova pubblicazione che avverrà probabilmente già nel 2017. (Luigi Cattaneo)

Teaser album (Video)

giovedì 20 ottobre 2016

FJIERI, Words are all we have (2015)


Torniamo a parlare di Stefano Panunzi, tastierista di cui abbiamo da poco analizzato i suoi due album da solista e che qui ci delizia con Words are all we have a nome Fjieri, creatura giunta al secondo disco (dopo Endless di ben sette anni fa) e nata dalla stretta collaborazione con il bassista Nicola lori (talento impegnato anche alla chitarra e alle tastiere). I musicisti coinvolti sono praticamente gli stessi presenti nei dischi a nome Panunzi, con un concentrato di classe ed eleganza notevoli (su tutti il grande Jakko Jakszyk, presente in quasi tutti i pezzi). I King Crimson d’altronde rimangono un punto di riferimento ma il songwriting dei due è oramai collaudato e si esprime attraverso un lavoro corale notevole in cui finezze compositive e cura del particolare sono aspetto imprescindibile. Non mancano momenti psichedelici o di matrice jazz, che non fanno altro che aumentare il range espressivo del gruppo lungo i quasi 70 minuti di questo come back. L’apertura è affidata alla strumentale Oriental dream, brano dove tutto funziona perfettamente e si inserisce in maniera notevole il sax di Nicola Alesini. L’ottima partenza viene doppiata da The city lights, dove invece di Alesini troviamo Mike Applebaum alla tromba, ma il risultato non cambia e mostra una scrittura sicura e raffinata come al solito. In Before I met you Cristiano Capobianco (batteria) forma una grande coppia ritmica con Lori, mentre Jakszyk sforna una prova sontuosa e marchia a fuoco uno dei brani maggiormente accostabili per mood alla produzione di Steven Wilson. Applebaum con la sua tromba disegna scenari affascinanti in Not waving but drowing, dove il jazz incontra un progressive moderno e che cerca di allontanarsi dagli stereotipi del genere. Molto sentita l’interpretazione di Jakko in It would all make sense, mentre Flame è la riproposizione di un vecchio brano del 1994 di Tim Bowness e Richard Barbieri e vede Applebaum donare ancora una volta un supporto importante. Molto interessante è la seguente Sati, un jazz rock elettronico in cui non viene dimenticata la lezione di Sylvian e che vede Applebaum dialogare con l’ambient guitar di Lori, prima del malinconico capolavoro di Hidden lives, un fantastico affresco con Alesini protagonista e Bowness (No man) a prestare la sua delicata ugola. Dopo tanta meraviglia ci si potrebbe aspettare un calo e invece i Fjieri colpiscono ancora nel segno con In the morning, che vede la partecipazione di Gavin Harrison (King Crimson, Porcupine Tree, Blackfield) alla batteria e Zombie love, un dark prog notturno e dai tratti gotici. Damages goods tiene alta la tensione prima del finale di Those words in cui ricompare Alesini a tratteggiare un progressive jazz rock ideale chiusura di un ritorno convincente e di grande gusto. (Luigi Cattaneo)

Album Teaser (Video)