sabato 30 maggio 2020

MICHELE PIANO, NÏnde (2020)


Esordio assoluto per Michele Piano, pianista e compositore appassionato di musica classica (con tanto di diploma al conservatorio) ed elettronica, oltre che esperto di sintetizzatori analogici, background che emerge prepotentemente in questo NÏnde, insieme ad un’aurea da soundtrack piuttosto evidente (altro retaggio culturale del foggiano). Quella di Michele è ambient elettronica vicina a mostri sacri come Brian Eno, Philip Glass e Steve Reich, frutto di piccole e sincere melodie che nascono da poche note, perfette per toccare l’anima e per accompagnare stati umorali umbratili. L’aspetto minimal delle composizioni è rievocato dall’equilibrio tra frangenti pianistici, sintetizzatori analogici e loop, con accordi di 3-4 note che divengono sintesi del percorso musicale dell’autore. NÏnde è un mondo disabitato e vuoto e all’essere umano non è permesso accedervi, forse perché già reso inabitabile in passato da qualcuno. Le parole di Michele spiegano la genesi del lavoro, che trovano espressione nella title track divisa in due parti e in Fuci Copi (entrambe registrate con Francesco Tamburrano alla chitarra), ma l’immagine di un luogo desolato e malinconico emerge anche nelle meraviglie sonore di Mitta e nella bonus track Oro 12 + Palmegane reca, mentre una greve spruzzata elettronica invade Vileno. Per ascoltare e acquistare l’album potete visitare la pagina https://michelepiano.bandcamp.com/releases (Luigi Cattaneo)

giovedì 28 maggio 2020

THE NON-FUNCTIONAL SAINTS, 2 (2020)


I The Non – Functional Saints sono un duo elettronico formato da Phil Minns e Nick Lewis, ex studenti dell’Alton College uniti dalla passione per la classica contemporanea di Martin Read e per i suoni di Boards of Canada, Mira Calix e Autechre. Dopo il primo ep 17, il duo si ripresenta ora con 2, disco pubblicato dalla milanese Luminol Records, che mette insieme ambient, elettronica e dark, senza dimenticare un pizzico di drone e di post che rende il tutto ancora più interessante. L’omaggio a 2001:Odissea nello spazio si colloca all’interno di un clima da soundtrack, che ritroviamo in diversi momenti del lavoro, una colonna sonora immaginaria raffinata e dal sapore ricercato, con l’utilizzo di campioni reali manipolati dagli inglesi, soprattutto strumenti a corda, lavorati con il loro spirito e una creatività libera e anarchica. La suite risulta vasta e articolata, multiforme nel suo avanzare tra sperimentazione, ritmiche ossessive, industrial, melodie appena accennate e sfuriate IDM, un melting pot elettronico assolutamente consigliato agli appassionati del genere. (Luigi Cattaneo)

2 (Radio Edit Video)



mercoledì 27 maggio 2020

ANTIFONA, Live in Garage (2020)



Il folto panorama underground italiano, sempre vivo e pieno di spunti interessanti, oggi ci consegna l’esordio degli Antifona, trio formato da Massimo Mariano (tastiere), Massimo Ritorto (basso) e Emanuele Bosco (batteria), che riprende la tradizione della Torino jazz rock, quella delle fusioni, dei locali come lo Swing Club e di gruppi che rispondono al nome di Arti e Mestieri, Combo Jazz, Dedalus, Beia come Aba, Gialma 3 ed Esagono. Sulla scia di certe storiche formazioni settantiane si muovono gli Antifona, che con questo Live in Garage, uscito da pochi mesi, urlano la propria voglia di creare assecondando gusti e passioni di una vita, senza avere limiti imposti o prefissati. L’iniziale Com’è Josè? è sintomatica delle pulsioni insite nei piemontesi, con un vibrante jazz rock che riporta alla mente proprio il passato glorioso di certi ensemble loro concittadini. Dalle 5 alle 6 vede Mariano protagonista con le sue tastiere, ben sorretto da una sezione ritmica davvero efficace, prima di Nuvola rossa, che con un velo di malinconia, chiude la prima parte del disco. La batteria di Bosco apre Balòn, ottimo episodio dalle atmosfere jazzate, che fa il paio con D’assolo, a cui pare legato sia come mood, sia come scrittura. Chiude la lunga Stratos, quasi otto minuti variegati e suggestivo finale di un esordio tanto vintage quanto straordinariamente affascinante. (Luigi Cattaneo)

Dalle 5 alle 6 (Video)



sabato 23 maggio 2020

IZ, Il destro onironauta (2019)


Tornano gli Iz di Paolo Jus (basso), band di cui avevamo parlato ai tempi dell’uscita di Today’s Egg, un ottimo prodotto che purtroppo passò quasi inosservato, se non nella ristretta cerchia degli appassionati. Jus, eclettico compositore del gruppo, è ben accompagnato da Denis Ronchese (Hammond, Fender Rhodes e tastiere), Aurelio Tarallo (chitarra), Pietro Ius (batteria), Alice Gaspardo (trombone), Rob Daz (tromba) e Giorgio Giacobbi (sax), oltre che da due special guests, Isabella Ventoruzzi  e Marco Quas, che si dividono le parti di flauto. L’ensemble allargato rimanda agli Snarky Puppy ma anche all’Artchipel Orchestra di Ferdinando Faraò, quindi un concentrato fantasioso di jazz, fusion, funky, rock e progressive, in cui vengono centrifugate anche le influenze di Pat Metheny e Weather Report. Gli Iz hanno però una loro forte personalità, sorretta da una scrittura di altissimo livello, dove il particolare e la cura per l’arrangiamento sono elementi posti in primo piano, che finiscono per fare la differenza anche nel nuovo Il destro onironauta, lavoro in odore di concept diviso in due parti (Fase non-Rem e Fase Rem). La grande tecnica strumentale dei friulani è sempre sostenuta da idee e fraseggi coinvolgenti, come nel caso della raffinata Arren o dell’elegante Lapoo, come non sono da meno le melodie delicate di La sacralità del niente e Prestatempo, una ballata sintomatica di come la band utilizzi alla perfezione la sezione fiati in organico. Stupenda anche The story of two kisses, frutto di un grande lavoro d’insieme, con ritmiche solide e i fiati ancora protagonisti. Brano che fa il paio con Timeless motion, orchestrale e fiatistica, mette in evidenza l’eccellente interplay tra Ronchese (bravissimo nell’armonizzare con le sue tastiere) e Tarallo, interpreti davvero notevoli del loro strumento. L’insolita e claudicante The drunk walking e la variopinta Geesy two non fanno altro che confermare il talento dei sette e la validità del progetto Iz. Chiusura affidata al band leader, che colora di note Yandalù. Rinnovo l’invito fatto qualche anno fa, a questo indirizzo, https://izband.bandcamp.com/album/il-desto-onironauta, è possibile acquistare l’ultimo album e tutta la discografia (vi è anche Lebannen, un ep del 2015) di un gruppo davvero meritevole di attenzione. (Luigi Cattaneo)

martedì 19 maggio 2020

CARMELO CALTAGIRONE, Cosa loro, please (2016)


Ci eravamo già occupati di Carmelo Caltagirone parlando del suo esordio, Iron Man del 2014, disco acerbo che appariva come un punto di partenza su cui lavorare per arrivare a qualcosa di più definito. Cosa loro, please è il terzo album del chitarrista, che si lega a quel debutto perché riprende da quello alcuni brani che non avevano trovato posto allora, confermando alcuni problemi già emersi in precedenza. Uscito nel 2016, mostrava qualche miglioria, ma non sufficiente per far apprezzare del tutto i 25 minuti dell’opera, intrisa di hard & heavy chitarristico e ritmiche secche e ripetitive. Pezzi come Skate Rock o Prank hanno idee valide al loro interno, ma andrebbero sostenute da arrangiamenti più curati per emergere maggiormente, mentre altri passaggi, Snob break ad esempio, sembrano dei riempitivi e null’altro. Probabilmente la sua voglia di improvvisare su una base ritmica è forte, ma Caltagirone farebbe bene a fermarsi e lavorare su quello che suona e registra, per magari costruirci sopra qualcosa di più organico, anche perché emergono qua e là momenti su cui cesellare composizioni più strutturate (Winter ma anche You), da rifinire magari con una band. La sua attitudine è questa, ma diventa difficile pensare ad un pubblico, anche esiguo, che possa interessarsi a dischi del genere. Piccolo passo avanti sì ma non ancora adeguato per soddisfare appieno. (Luigi Cattaneo)

Prank (Video)



lunedì 18 maggio 2020

GIANT THE VINE, Music for empty places (2019)


Nati nel 2014 dall’incontro tra Fabio Vrenna (chitarra e tastiere), Fulvio Solari (chitarra) e Daniele Riotti (batteria), con l’intento di omaggiare il grande progressive rock settantiano, già a partire dalla scelta del nome del gruppo, crasi tra i Gentle Giant e One for the vine dei Genesis  (da Wind & Wuthering del 1976). Le trame, esclusivamente strumentali del trio, si arricchiscono del basso di Marco Fabricci e del piano suonato da Chico Schoen e Ilaria Vrenna, che fanno di questo Music for empty places un album che punta forte sull’impatto emotivo, tra il post dei Mogwai, le sospensioni dei King Crimson e la visione prog dei Porcupine Tree, tra parti soffuse e momenti più tirati, che tradiscono amore anche verso l’hard. La band ha qualcosa di spirituale, di profondo, che smuove intimamente, probabilmente per via di tratti malinconici che caratterizzano perle come Lost people o Ahimsa. Pur non trattandosi di un concept c’è un tema comune, un filo invisibile che unisce le composizioni, ossia i vuoti lasciate dalle persone quando abbandonano un luogo ma le tracce della loro presenza permangono, un racconto in musica che trafigge nelle note di Gregorius e The Rose. Il disco, uscito nel 2019 per Lizard Records, è la conferma della bontà del rooster dell’etichetta veneta e di come il nostrano underground abbia al suo interno davvero tante band degne di nota. (Luigi Cattaneo)

Lost people (Video)



mercoledì 13 maggio 2020

ANNO MUNDI, Rock in a danger zone (2018)



Disco uscito a fine 2018 e solo in vinile (300 copie numerate), Rock in a danger zone dei romani Anno Mundi, vede la formazione del chitarrista Alessio Secondini Morelli (su queste pagine parlammo del suo ultimo lavoro solista) e di Gianluca Livi (batteria) rinnovata con l’ingresso in pianta stabile di Mattia Liberati (tastiere) e Flavio Gonnellini (basso), entrambi della prog band Ingranaggi della Valle, oltre che di Federico Giuntoli (voce) dei Martiria. Il risultato è hard rock settantiano senza fronzoli, tra atmosfere giustamente vintage e uno sguardo alle grandi band di quella decade d’oro per l’hard & heavy. Dopo una breve intro con tanto di mandola suonata da Massimiliano Fabrizi, si parte in quarta con Blackfoot, un southern hard rock che omaggia la band di Rickey Medlocke, piuttosto conosciuta tra i ’70 e gli ’80. Megas Alexandros, con i suoi quasi otto minuti mette insieme epic e prog, Searching the faith guarda invece ai Black Sabbath, mentre Pendin trial è un altro lungo brano dal sapore classicheggiante. La breve cover di Fanfare dei Kiss (con Emiliano Laglia al basso) anticipa la conclusiva Live medley (ancora presente Laglia), risalente ad una registrazione dal vivo al RoMetal festival del 2014, in cui gli Anno Mundi presentano quattro brani del loro esordio Cloister graveyard in the snow del 2011, un ottimo espediente per assaggiare anche il passato della band. Nel frattempo il gruppo ha continuato a lavorare e nel 2019 ha pubblicato, per Black Widow Records, Land of legends. (Luigi Cattaneo)

Full Album Video



domenica 10 maggio 2020

NIGHTGLOW, Rage of a Bleeding Society (2019)



Nati più di vent’anni fa, i Nightglow (Daniele Abate alla voce, Andrea Moretti alla chitarra, Mauro Nicoli al basso e Marco Romani alla batteria) arrivano al terzo disco dopo We rise e Orpheus, riabbracciando l’Atomic Stuff, etichetta che li aveva supportati nella pubblicazione del primo lavoro. Rage of a bleeding society, uscito nel 2019, è un concentrato di new metal, crossover e thrash, senza dimenticare spunti più classicamente heavy. Le pulsioni thrash di Alive trovano il proprio contraltare nella drammatica ballata Gone, vicina ad alcune cose degli Stone Sour, mentre Mofo Social Club rimanda a quanto succedeva oltreoceano tra fine ’90 e inizio 2000, quando band come Mushroom Head e American Head Charge trovavano una loro fetta di pubblico. The last one invece è più vicina ai Disturbed, Feed my demon oscilla tra thrash e crossover, mostrando come anche l’influenza dei Machine Head sia ben presente. Daenerys continua ad omaggiare l’alternative a stelle e strisce e, seppure ci troviamo dinnanzi ad un prodotto derivativo, il quartetto è davvero capace di creare momenti intensi e ben strutturati. Più personale Erzsèbet, otto minuti in cui i Nightglow si destreggiano tra parti strumentali, momenti cadenzati e riff massicci, con Moretti davvero bravo nel caricarsi tutto il lavoro chitarristico, assolo compreso. X è l’ennesima bordata carica di elettricità, Circus of the damned parla di nuovo il linguaggio del thrash metal moderno, prima di Fuck@looza, che sarebbe stata perfetta per gli Ozzfest di una ventina di anni fa, quando Ozzy condivideva il palco con Godsmack, Slaven On Dope e Apartment 26. Completano il quadro la micidiale On your own e la potente Overlord, conferme di un ritorno convincente e brillante. (Luigi Cattaneo)

Circus of the damned (Video)



giovedì 7 maggio 2020

OCTOBER EQUUS, Saturnal (2011)


Terzo lavoro discografico, dopo l’esordio omonimo del 2006 e Charybdis del 2008, per gli spagnoli October Equus, che con Saturnal confermavano quanto di buono avevano espresso in precedenza, forti di un incedere sonoro ricco di sfaccettature e di giochi stilistici piuttosto complessi. Nessun compromesso quindi per quella che in patria è ritenuta la band di punta del movimento R.I.O. e avant-prog. Nei primi tre brani la band mette subito tanta carne al fuoco: il clima oscuro e crepuscolare evidenzia affinità con diversi lavori dei King Crimson, con le soluzioni adottate dagli spagnoli che risultano ad alto tasso di difficoltà, in un connubio molto azzeccato tra la chitarra di Angel Ontalva (autore di ottimi spunti solistici), il doppio sassofono suonato dalla coppia Fran Mangas e Alfonso Munoz e il violoncello di Pablo Ortega. L’ascolto si fa difficile e l’attenzione da porre con il passare dei minuti diventa elevata, ma ciò che emerge è la capacità della band di saper affascinare l’ascoltatore, proprio in virtù di situazioni complicate ma ammalianti. Si arriva a metà lavoro e si ha la consapevolezza di trovarsi di fronte ad un gruppo pieno di idee, che a volte si spinge fin troppo in direzione di quell’avanguardia progressive che in taluni casi risulta attenta al particolare e alla minuziosa rifinitura, ma si dimentica della comunicabilità del prodotto. Il risultato, comunque apprezzabile, a volte si perde tra mille finezze che sfavoriscono l’insieme. Croce e delizia di un genere, che se trova cento estimatori, trova altrettanti detrattori. Si arriva così a Sutices ecuaciones vivientes, molto articolata, il cui tortuoso incedere e i molteplici cambi di tempo sono alleggeriti dal solo di Ontalva, utilizzato come un chorus (se questo è il termine più giusto per un disco degli October Equus). Le conclusive Abre los ojos e Ultimo refugio non fanno altro che confermare i giudizi espressi sin ora, soprattutto quest’ultima, malinconica ma vibrante, di umore inquieto, con tutta la band partecipe e capace di creare anche momenti meno astrusi ma non per questo di minor valore. Non una band per tutti. Questo può essere il giudizio finale una volta giunti al termine del lavoro. Perché l’album ha bisogno di svariati ascolti per essere pienamente immaganizzato e apprezzato. Tolte alcune pecche, a volte comuni ai gruppi che pensano e sviluppano la materia progressiva dentro certi canoni, non si può non rimanere quantomeno affascinati da quanto propongono gli spagnoli. Ascolto quindi obbligatorio per gli amanti dell’avant prog settantiano stile Henry Cow, oltre che dei contemporanei Yugen. (Luigi Cattaneo)

Una mirada furtiva en la noche saturnal (Video)



mercoledì 6 maggio 2020

NAIROBI, Nairobi (2020)



Nairobi, trio strumentale formato da Leonardo Gatto (basso dei We were OnOff), Giorgio Scarano (chitarra dell’Ice Pick Experimental Trio) e Andrea Siddu (batteria, presente già con Plasma Expander, Trees of Mint e Damo Suzuki Network), debutta con un lavoro di breve durata (25 minuti circa) intriso di math, post e noise, con riferimenti ai padri Shellac che emergono qua e là tra le trame di questa opera prima. Il suono complessivo, spigoloso e secco, è sempre coeso e robusto, non conosce cedimenti e avanza come un’unica suite, tra ritmiche fitte, riff densi e la voglia di non avere troppi confini stilistici, possibilità che trova nella Wallace Records un degno alleato. L’aver aperto i live di personaggi come Giorgio Canali & Rossofuoco, ma anche aver condiviso il palco con Mombu e Soviet Soviet, ha accresciuto nel trio la consapevolezza della strada da seguire, espressa ottimamente in questo valido debutto. In attesa di un secondo capitolo, magari più sostanzioso in termini di minutaggio, non possiamo che constatare l’efficacia di una proposta stilisticamente interessante e con diversi intriganti spunti. Di seguito il link per acquistare e ascoltare il disco https://nairobiofficial.bandcamp.com/releases (Luigi Cattaneo)


lunedì 4 maggio 2020

LE PORTE NON APERTE, Le Porte non Aperte (2013)


Ispirato al manifesto degli imprevedibili, un movimento filo anarchico di intellettuali toscani degli anni ’60-70, Golem dei Le Porte Non Aperte racconta il sogno di un uomo che, re della propria esistenza, si trova a perdere il controllo del suo Io, costretto davanti ad una serie di scelte per lui già costruite, che lo portano a mettere in dubbio la sua logica e le ragioni della sua natura. Un concept, questo del 2013, che proponeva le tipiche sonorità del progressive rock d’antan in maniera naturale e per nulla forzata, sin dai primi vagiti dell’album. Re del niente e La città delle terrazze strizzano l’occhio a Balletto di Bronzo e Banco del Mutuo Soccorso, si fanno apprezzare i suoni delle tastiere (soprattutto l’organo) di Filippo Mattioli, le incursioni di Marco Brenzini al flauto e le ritmiche hard di Jacopo Fallai. Molto particolare la voce di Sandro Parrinello, personale, espressiva, mi ha ricordato in alcuni frangenti le vocalità che tanto andavano nella new wave fiorentina degli anni ’80. A ciò aggiungiamo una certa vena hard rock che trasale, affiora con forza e rende il tutto coinvolgente, come nel caso di Binario 8, per poi perdersi nei meandri del blues psichedelico strumentale di Il vicolo dei miracoli. Il contrasto tra l’anima progressive e quella wave affiora anche in Rigattiere dei sogni infranti, dove ci sono dei passaggi strumentali davvero notevoli, soprattutto negli intrecci tra flauto e organo. Anche Oceano - Nel canto della sirena e Animale del deserto pt.1 - La rivolta della tartaruga Elsie confermano lo spirito prog dei toscani. Nella prima si sente anche qualche eco del Battiato sperimentale (quello della trilogia Fetus, Pollution, Sulle corde di Aries), mentre nella seconda si avvicinano ai contemporanei Bacio della Medusa e ai redivivi Spettri. Potete trovare questo loro unico lavoro al seguente indirizzo https://leportenonaperte.bandcamp.com/

domenica 3 maggio 2020

MURPLE, Io sono Murple (1974)


I Murple sono un gruppo romano nato nel 1971 grazie alla volontà del bassista Mario Garbarino e del batterista Duilio Sorrenti, ai quali si aggiunsero successivamente il tastierista Pier Carlo Zanco e Pino Santamaria, nelle vesti di chitarrista e cantante. Dopo due anni di attività concertistica vengono messi sotto contratto dalla Fare Records, che è una sottoetichetta della casa discografica tedesca Basf. Particolare questo da non sottovalutare, in quanto i Murple erano una delle poche band italiane di quest’etichetta, che non si preoccupò minimamente di effettuare una dovuta promozione al gruppo. Così come molte altre band del periodo difatti i Murple, senza un’adeguata attività promozionale, non raccolsero mai i frutti del loro lavoro che, pur non essendo un capolavoro, meritava perlomeno una maggiore attenzione nel momento della sua uscita. 
Io sono Murple è formato da due suite divise in 6 movimenti ciascuna che raccontano della vita di un pinguino, Murple per l’appunto, che decide di abbandonare il suo habitat naturale per vivere libero con l’uomo. La prima suite è caratterizzata da ampi spazi strumentali di ottima fattura, che mostrano la qualità tecnica dei musicisti, che pur non creando nulla di innovativo risultano essere decisamente convincenti. Diverse le atmosfere che pervadono la suite, ben cristallizzate da passaggi ora dal sapore hard ora soffusi e suggestivi, che ci conducono ad un finale in pieno stile progressivo con Santamaria abile nel duettare con le tastiere di Zanco, entrambi ben sostenuti dalle accelerazioni di Sorrenti. Il pianoforte di Zanco e le sue reminiscenze classiche guidano l’inizio della seconda suite, dove si inserisce il canto di Santamaria, che però convince molto di più nelle vesti di chitarrista, in quanto in alcuni passaggi la sua voce risulta essere troppo piatta e monocorde. Sono proprio i momenti in cui si dà spazio alla voce di Santamaria quelli ad entusiasmare meno; difatti quando la band decide di accelerare ascoltiamo le parti migliori del disco, con cambi di tempo, impulsi rock e trame romantiche, soluzioni strumentali non molto originali ma suonate decisamente bene e con il piglio di chi, pur non inventando nulla di nuovo, trova soluzioni molto piacevoli e ben eseguite. Quindi un lavoro che deriva dai grandi gruppi progressivi, sia della scena inglese che italiana, un disco sicuramente che non presenta novità di fondo ma che può risultare gradevole per chi ama certe sonorità (e per i completisti della materia).
Visto lo scarso successo di critica e pubblico, i Murple dapprima collaborarono con Gianfranca Montedoro (ex Living Music) per l’album Donna Circo e poi per ben sette anni fecero parte della band di Mal. Solo nel 2008 Sorrenti, Zanco e Garbarino con la sigla Murple sono riusciti a pubblicare un nuovo lavoro, Quadri di un esposizione. (Luigi Cattaneo)

Full Album



sabato 2 maggio 2020

GOLDEN HEIR SUN, Holy the abyss (2020)



Golden Heir Sun è la one man band di Matteo Baldi, chitarrista dei Wows, band post metal veronese, che qui viene accantonata per un progetto contaminato, anarchico nel suo sviluppo creativo, emanazione di una personalità che aveva già avuto modo di emergere nei 14 minuti del precedente The deepest, brano del luglio 2019. Holy the abyss non si smarca da quella pubblicazione ma la raffina, espande il discorso e conduce l’ascoltatore in un buco nero a base di post, dark, ambient e drone, una ventina di minuti che diviene suite oscura e inquietante nel suo incedere, dove ogni nota appare pensata e rifinita al dettaglio. Atmosfere tenebrose e foschi passaggi dal taglio minimale sono il corollario emotivo di un lavoro riuscito e assolutamente brillante, altro step importante verso qualcosa di ancora più corposo. (Luigi Cattaneo)


Holy the abyss (Video)

venerdì 1 maggio 2020

MONDAY SHOCK, Rude Awakenings (2020)



Rude awakenings è l’ep d’esordio dei Monday Shock, tre brani più un intro di godibile hard glam ottantiano, frutto del songwriting di Oscar Burato, co-fondatore della Street Symphonies e della Logic Ill Logic Records, con cui collabora per oltre dieci anni prima di intraprendere nuove strade professionali. Per realizzare il progetto vengono chiamati Enrico Dabellani alla chitarra, Nicola Iazzi al basso (Embryo, Firmo, Hardline) e Alessandro Marchi alla voce, oltre che Fabiano Bolzoni alla batteria e Alessandro Broggi alle tastiere (membro degli Airbound). Blind è l’anthem energico che indica la strada su cui si muovono i Monday Shock, la vivace verve di Your side ci conduce al finale di Spirit of life, un’ottima ballata elettrica in stile anni ’80. In attesa di una pubblicazione più corposa, Rude awakenings è senz’altro un lavoro che lascia trasparire le buone potenzialità del progetto, primo passo interessante e molto gradevole. (Luigi Cattaneo)  

Blind (Video)