Esordio assoluto per
Michele Piano, pianista e compositore appassionato di musica classica (con
tanto di diploma al conservatorio) ed elettronica, oltre che esperto di
sintetizzatori analogici, background che emerge prepotentemente in questo NÏnde, insieme ad un’aurea da soundtrack
piuttosto evidente (altro retaggio culturale del foggiano). Quella di Michele è
ambient elettronica vicina a mostri sacri come Brian Eno, Philip Glass e Steve
Reich, frutto di piccole e sincere melodie che nascono da poche note, perfette
per toccare l’anima e per accompagnare stati umorali umbratili. L’aspetto
minimal delle composizioni è rievocato dall’equilibrio tra frangenti
pianistici, sintetizzatori analogici e loop, con accordi di 3-4 note che
divengono sintesi del percorso musicale dell’autore. NÏnde è un mondo disabitato e vuoto e all’essere umano non è permesso
accedervi, forse perché già reso inabitabile in passato da qualcuno. Le
parole di Michele spiegano la genesi del lavoro, che trovano espressione nella
title track divisa in due parti e in Fuci
Copi (entrambe registrate con Francesco Tamburrano alla chitarra), ma
l’immagine di un luogo desolato e malinconico emerge anche nelle meraviglie
sonore di Mitta e nella bonus track Oro 12 + Palmegane reca, mentre una
greve spruzzata elettronica invade Vileno.
Per ascoltare e acquistare l’album potete visitare la pagina https://michelepiano.bandcamp.com/releases (Luigi Cattaneo)
Progressive Rock&Metal ma anche una panoramica su Jazz, Blues, Folk, Hard&Heavy, Psichedelia, Avanguardia, Alternative, Post Punk, Dark Rock. Un blog sulle sfumature della Musica.
sabato 30 maggio 2020
giovedì 28 maggio 2020
THE NON-FUNCTIONAL SAINTS, 2 (2020)
I The Non – Functional
Saints sono un duo elettronico formato da Phil Minns e Nick Lewis, ex studenti
dell’Alton College uniti dalla passione per la classica contemporanea di Martin
Read e per i suoni di Boards of Canada, Mira Calix e Autechre. Dopo il primo ep
17, il duo si ripresenta ora con 2, disco pubblicato dalla milanese
Luminol Records, che mette insieme ambient, elettronica e dark, senza
dimenticare un pizzico di drone e di post che rende il tutto ancora più
interessante. L’omaggio a 2001:Odissea
nello spazio si colloca all’interno di un clima da soundtrack, che
ritroviamo in diversi momenti del lavoro, una colonna sonora immaginaria
raffinata e dal sapore ricercato, con l’utilizzo di campioni reali manipolati
dagli inglesi, soprattutto strumenti a corda, lavorati con il loro spirito e
una creatività libera e anarchica. La suite risulta vasta e articolata,
multiforme nel suo avanzare tra sperimentazione, ritmiche ossessive,
industrial, melodie appena accennate e sfuriate IDM, un melting pot elettronico
assolutamente consigliato agli appassionati del genere. (Luigi Cattaneo)
2 (Radio Edit Video)
mercoledì 27 maggio 2020
ANTIFONA, Live in Garage (2020)
Il folto panorama
underground italiano, sempre vivo e pieno di spunti interessanti, oggi ci
consegna l’esordio degli Antifona, trio formato da Massimo Mariano (tastiere),
Massimo Ritorto (basso) e Emanuele Bosco (batteria), che riprende la tradizione
della Torino jazz rock, quella delle fusioni, dei locali come lo Swing Club e
di gruppi che rispondono al nome di Arti e Mestieri, Combo Jazz, Dedalus, Beia
come Aba, Gialma 3 ed Esagono. Sulla scia di certe storiche formazioni
settantiane si muovono gli Antifona, che con questo Live in Garage, uscito da pochi mesi, urlano la propria voglia di
creare assecondando gusti e passioni di una vita, senza avere limiti imposti o
prefissati. L’iniziale Com’è Josè? è
sintomatica delle pulsioni insite nei piemontesi, con un vibrante jazz rock che
riporta alla mente proprio il passato glorioso di certi ensemble loro
concittadini. Dalle 5 alle 6 vede
Mariano protagonista con le sue tastiere, ben sorretto da una sezione ritmica
davvero efficace, prima di Nuvola rossa,
che con un velo di malinconia, chiude la prima parte del disco. La batteria di
Bosco apre Balòn, ottimo episodio
dalle atmosfere jazzate, che fa il paio con D’assolo,
a cui pare legato sia come mood, sia come scrittura. Chiude la lunga Stratos, quasi otto minuti variegati e suggestivo finale di un esordio tanto vintage quanto
straordinariamente affascinante. (Luigi Cattaneo)
Dalle 5 alle 6 (Video)
sabato 23 maggio 2020
IZ, Il destro onironauta (2019)
Tornano gli Iz di Paolo
Jus (basso), band di cui avevamo parlato ai tempi dell’uscita di Today’s Egg, un ottimo prodotto che
purtroppo passò quasi inosservato, se non nella ristretta cerchia degli
appassionati. Jus, eclettico compositore del gruppo, è ben accompagnato da
Denis Ronchese (Hammond, Fender Rhodes e tastiere), Aurelio Tarallo (chitarra),
Pietro Ius (batteria), Alice Gaspardo (trombone), Rob Daz (tromba) e Giorgio
Giacobbi (sax), oltre che da due special guests, Isabella Ventoruzzi e Marco Quas, che si dividono le parti di
flauto. L’ensemble allargato rimanda agli Snarky Puppy ma anche all’Artchipel
Orchestra di Ferdinando Faraò, quindi un concentrato fantasioso di jazz,
fusion, funky, rock e progressive, in cui vengono centrifugate anche le
influenze di Pat Metheny e Weather Report. Gli Iz hanno però una loro forte
personalità, sorretta da una scrittura di altissimo livello, dove il
particolare e la cura per l’arrangiamento sono elementi posti in primo piano,
che finiscono per fare la differenza anche nel nuovo Il destro onironauta, lavoro in odore di concept diviso in due
parti (Fase non-Rem e Fase Rem). La grande tecnica strumentale dei friulani è
sempre sostenuta da idee e fraseggi coinvolgenti, come nel caso della raffinata
Arren o dell’elegante Lapoo, come non sono da meno le melodie
delicate di La sacralità del niente e
Prestatempo, una ballata sintomatica
di come la band utilizzi alla perfezione la sezione fiati in organico. Stupenda
anche The story of two kisses, frutto
di un grande lavoro d’insieme, con ritmiche solide e i fiati ancora
protagonisti. Brano che fa il paio con Timeless
motion, orchestrale e fiatistica, mette in evidenza l’eccellente interplay
tra Ronchese (bravissimo nell’armonizzare con le sue tastiere) e Tarallo,
interpreti davvero notevoli del loro strumento. L’insolita e claudicante The drunk walking e la variopinta Geesy two non fanno altro che confermare
il talento dei sette e la validità del progetto Iz. Chiusura affidata al band leader,
che colora di note Yandalù. Rinnovo
l’invito fatto qualche anno fa, a questo indirizzo, https://izband.bandcamp.com/album/il-desto-onironauta,
è possibile acquistare l’ultimo album e tutta la discografia (vi è anche Lebannen, un ep del 2015) di un gruppo
davvero meritevole di attenzione. (Luigi Cattaneo)
martedì 19 maggio 2020
CARMELO CALTAGIRONE, Cosa loro, please (2016)
Ci eravamo già occupati
di Carmelo Caltagirone parlando del suo esordio, Iron Man del 2014, disco acerbo che appariva come un punto di
partenza su cui lavorare per arrivare a qualcosa di più definito. Cosa loro, please è il terzo album del
chitarrista, che si lega a quel debutto perché riprende da quello alcuni brani
che non avevano trovato posto allora, confermando alcuni problemi già emersi in
precedenza. Uscito nel 2016, mostrava qualche miglioria, ma non sufficiente per
far apprezzare del tutto i 25 minuti dell’opera, intrisa di hard & heavy
chitarristico e ritmiche secche e ripetitive. Pezzi come Skate Rock o Prank hanno idee
valide al loro interno, ma andrebbero sostenute da arrangiamenti più curati per
emergere maggiormente, mentre altri passaggi, Snob break ad esempio, sembrano dei riempitivi e null’altro.
Probabilmente la sua voglia di improvvisare su una base ritmica è forte, ma
Caltagirone farebbe bene a fermarsi e lavorare su quello che suona e registra,
per magari costruirci sopra qualcosa di più organico, anche perché emergono qua
e là momenti su cui cesellare composizioni più strutturate (Winter ma anche You), da rifinire magari con una band. La sua attitudine è questa,
ma diventa difficile pensare ad un pubblico, anche esiguo, che possa interessarsi
a dischi del genere. Piccolo passo avanti sì ma non ancora adeguato per
soddisfare appieno. (Luigi Cattaneo)
Prank (Video)
lunedì 18 maggio 2020
GIANT THE VINE, Music for empty places (2019)
Nati nel 2014
dall’incontro tra Fabio Vrenna (chitarra e tastiere), Fulvio Solari (chitarra)
e Daniele Riotti (batteria), con l’intento di omaggiare il grande progressive
rock settantiano, già a partire dalla scelta del nome del gruppo, crasi tra i
Gentle Giant e One for the vine dei
Genesis (da Wind & Wuthering del 1976). Le trame, esclusivamente
strumentali del trio, si arricchiscono del basso di Marco Fabricci e del piano
suonato da Chico Schoen e Ilaria Vrenna, che fanno di questo Music for empty places un album che
punta forte sull’impatto emotivo, tra il post dei Mogwai, le sospensioni dei King Crimson e la visione prog dei
Porcupine Tree, tra parti soffuse e momenti più tirati, che tradiscono amore
anche verso l’hard. La band ha qualcosa di spirituale, di profondo, che smuove
intimamente, probabilmente per via di tratti malinconici che caratterizzano
perle come Lost people o Ahimsa. Pur non trattandosi di un
concept c’è un tema comune, un filo invisibile che unisce le composizioni,
ossia i vuoti lasciate dalle persone quando abbandonano un luogo ma le tracce
della loro presenza permangono, un racconto in musica che trafigge nelle note
di Gregorius e The Rose. Il disco, uscito nel 2019 per Lizard Records, è la
conferma della bontà del rooster dell’etichetta veneta e di come il nostrano
underground abbia al suo interno davvero tante band degne di nota. (Luigi
Cattaneo)
Lost people (Video)
mercoledì 13 maggio 2020
ANNO MUNDI, Rock in a danger zone (2018)
Disco uscito a fine
2018 e solo in vinile (300 copie numerate), Rock
in a danger zone dei romani Anno Mundi, vede la formazione del chitarrista
Alessio Secondini Morelli (su queste pagine parlammo del suo ultimo lavoro
solista) e di Gianluca Livi (batteria) rinnovata con l’ingresso in pianta
stabile di Mattia Liberati (tastiere) e Flavio Gonnellini (basso), entrambi
della prog band Ingranaggi della Valle, oltre che di Federico Giuntoli (voce) dei
Martiria. Il risultato è hard rock settantiano senza fronzoli, tra atmosfere
giustamente vintage e uno sguardo alle grandi band di quella decade d’oro per
l’hard & heavy. Dopo una breve intro con tanto di mandola suonata da
Massimiliano Fabrizi, si parte in quarta con Blackfoot, un southern hard rock che omaggia la band di Rickey
Medlocke, piuttosto conosciuta tra i ’70 e gli ’80. Megas Alexandros, con i suoi quasi otto minuti mette insieme epic e
prog, Searching the faith guarda
invece ai Black Sabbath, mentre Pendin
trial è un altro lungo brano dal sapore classicheggiante. La breve cover di
Fanfare dei Kiss (con Emiliano Laglia
al basso) anticipa la conclusiva Live
medley (ancora presente Laglia), risalente ad una registrazione dal vivo al
RoMetal festival del 2014, in cui gli
Anno Mundi presentano quattro brani del loro esordio Cloister graveyard in the snow del 2011, un ottimo espediente per
assaggiare anche il passato della band. Nel frattempo il gruppo ha continuato a
lavorare e nel 2019 ha pubblicato, per Black Widow Records, Land of legends. (Luigi Cattaneo)
Full Album Video
domenica 10 maggio 2020
NIGHTGLOW, Rage of a Bleeding Society (2019)
Nati più di vent’anni
fa, i Nightglow (Daniele Abate alla voce, Andrea Moretti alla chitarra, Mauro
Nicoli al basso e Marco Romani alla batteria) arrivano al terzo disco dopo We rise e Orpheus, riabbracciando l’Atomic Stuff, etichetta che li aveva
supportati nella pubblicazione del primo lavoro. Rage of a bleeding society, uscito nel 2019, è un concentrato di
new metal, crossover e thrash, senza dimenticare spunti più classicamente heavy.
Le pulsioni thrash di Alive trovano
il proprio contraltare nella drammatica ballata Gone, vicina ad alcune cose degli Stone Sour, mentre Mofo Social Club rimanda a quanto
succedeva oltreoceano tra fine ’90 e inizio 2000, quando band come Mushroom
Head e American Head Charge trovavano una loro fetta di pubblico. The last one invece è più vicina ai
Disturbed, Feed my demon oscilla tra
thrash e crossover, mostrando come anche l’influenza dei Machine Head sia ben
presente. Daenerys continua ad
omaggiare l’alternative a stelle e strisce e, seppure ci troviamo dinnanzi ad
un prodotto derivativo, il quartetto è davvero capace di creare momenti intensi
e ben strutturati. Più personale Erzsèbet,
otto minuti in cui i Nightglow si destreggiano tra parti strumentali, momenti
cadenzati e riff massicci, con Moretti davvero bravo nel caricarsi tutto il
lavoro chitarristico, assolo compreso. X è
l’ennesima bordata carica di elettricità, Circus
of the damned parla di nuovo il linguaggio del thrash metal moderno, prima
di Fuck@looza, che sarebbe stata
perfetta per gli Ozzfest di una ventina di anni fa, quando Ozzy condivideva il
palco con Godsmack, Slaven On Dope e Apartment 26. Completano il quadro la
micidiale On your own e la potente Overlord, conferme di un ritorno convincente
e brillante. (Luigi Cattaneo)
Circus of the damned (Video)
giovedì 7 maggio 2020
OCTOBER EQUUS, Saturnal (2011)
Terzo lavoro discografico, dopo l’esordio omonimo
del 2006 e Charybdis del 2008, per gli
spagnoli October Equus, che con Saturnal confermavano
quanto di buono avevano espresso in precedenza, forti di un incedere sonoro
ricco di sfaccettature e di giochi stilistici piuttosto complessi. Nessun
compromesso quindi per quella che in patria è ritenuta la band di punta del
movimento R.I.O. e avant-prog. Nei primi tre brani la band mette subito tanta carne
al fuoco: il clima oscuro e crepuscolare evidenzia affinità con diversi lavori
dei King Crimson, con le soluzioni adottate dagli spagnoli che risultano ad
alto tasso di difficoltà, in un connubio molto azzeccato tra la chitarra di
Angel Ontalva (autore di ottimi spunti solistici), il doppio sassofono suonato
dalla coppia Fran Mangas e Alfonso Munoz e il violoncello di Pablo Ortega.
L’ascolto si fa difficile e l’attenzione da porre con il passare dei minuti
diventa elevata, ma ciò che emerge è la capacità della band di saper affascinare
l’ascoltatore, proprio in virtù di situazioni complicate ma ammalianti. Si
arriva a metà lavoro e si ha la consapevolezza di trovarsi di fronte ad un
gruppo pieno di idee, che a volte si spinge fin troppo in direzione di
quell’avanguardia progressive che in taluni casi risulta attenta al particolare
e alla minuziosa rifinitura, ma si dimentica della comunicabilità del prodotto.
Il risultato, comunque apprezzabile, a volte si perde tra mille finezze che
sfavoriscono l’insieme. Croce e delizia di un genere, che se trova cento
estimatori, trova altrettanti detrattori. Si arriva così a Sutices ecuaciones vivientes, molto articolata, il cui tortuoso
incedere e i molteplici cambi di tempo sono alleggeriti dal solo di Ontalva,
utilizzato come un chorus (se questo è il termine più giusto per un disco degli
October Equus). Le conclusive Abre los
ojos e Ultimo refugio non fanno
altro che confermare i giudizi espressi sin ora, soprattutto quest’ultima,
malinconica ma vibrante, di umore inquieto, con tutta la band partecipe e
capace di creare anche momenti meno astrusi ma non per questo di minor valore. Non
una band per tutti. Questo può essere il giudizio finale una volta giunti al
termine del lavoro. Perché l’album ha bisogno di svariati ascolti per essere pienamente
immaganizzato e apprezzato. Tolte alcune pecche, a volte comuni ai gruppi che
pensano e sviluppano la materia progressiva dentro certi canoni, non si può non
rimanere quantomeno affascinati da quanto propongono gli spagnoli. Ascolto
quindi obbligatorio per gli amanti dell’avant prog settantiano stile Henry Cow,
oltre che dei contemporanei Yugen. (Luigi Cattaneo)
Una mirada furtiva en la noche saturnal (Video)
mercoledì 6 maggio 2020
NAIROBI, Nairobi (2020)
Nairobi, trio
strumentale formato da Leonardo Gatto (basso dei We were OnOff), Giorgio
Scarano (chitarra dell’Ice Pick Experimental Trio) e Andrea Siddu (batteria,
presente già con Plasma Expander, Trees of Mint e Damo Suzuki Network), debutta
con un lavoro di breve durata (25 minuti circa) intriso di math, post e noise,
con riferimenti ai padri Shellac che emergono qua e là tra le trame di questa
opera prima. Il suono complessivo, spigoloso e secco, è sempre coeso e robusto,
non conosce cedimenti e avanza come un’unica suite, tra ritmiche fitte, riff
densi e la voglia di non avere troppi confini stilistici, possibilità che trova
nella Wallace Records un degno alleato. L’aver aperto i live di personaggi come
Giorgio Canali & Rossofuoco, ma anche aver condiviso il palco con Mombu e
Soviet Soviet, ha accresciuto nel trio la consapevolezza della strada da
seguire, espressa ottimamente in questo valido debutto. In attesa di un secondo
capitolo, magari più sostanzioso in termini di minutaggio, non possiamo che
constatare l’efficacia di una proposta stilisticamente interessante e con
diversi intriganti spunti. Di seguito il link per acquistare e ascoltare il disco https://nairobiofficial.bandcamp.com/releases (Luigi Cattaneo)
lunedì 4 maggio 2020
LE PORTE NON APERTE, Le Porte non Aperte (2013)
Ispirato al manifesto degli imprevedibili, un movimento filo anarchico di
intellettuali toscani degli anni ’60-70, Golem
dei Le Porte Non Aperte racconta il sogno di un uomo che, re della propria
esistenza, si trova a perdere il controllo del suo Io, costretto davanti ad una
serie di scelte per lui già costruite, che lo portano a mettere in dubbio la
sua logica e le ragioni della sua natura. Un concept, questo del 2013, che
proponeva le tipiche sonorità del progressive rock d’antan in maniera naturale
e per nulla forzata, sin dai primi vagiti dell’album. Re del niente e La città
delle terrazze strizzano l’occhio a Balletto di Bronzo e Banco del Mutuo
Soccorso, si fanno apprezzare i suoni delle tastiere (soprattutto l’organo) di
Filippo Mattioli, le incursioni di Marco Brenzini al flauto e le ritmiche hard
di Jacopo Fallai. Molto particolare la voce di Sandro Parrinello, personale,
espressiva, mi ha ricordato in alcuni frangenti le vocalità che tanto andavano
nella new wave fiorentina degli anni ’80. A ciò aggiungiamo una certa vena hard
rock che trasale, affiora con forza e rende il tutto coinvolgente, come nel
caso di Binario 8, per poi perdersi
nei meandri del blues psichedelico strumentale di Il vicolo dei miracoli. Il contrasto tra l’anima progressive e
quella wave affiora anche in Rigattiere
dei sogni infranti, dove ci sono
dei passaggi strumentali davvero notevoli, soprattutto negli intrecci tra
flauto e organo. Anche Oceano - Nel canto
della sirena e Animale del deserto
pt.1 - La rivolta della tartaruga Elsie confermano lo spirito prog dei
toscani. Nella prima si sente anche qualche eco del Battiato sperimentale
(quello della trilogia Fetus, Pollution, Sulle corde di Aries), mentre nella seconda si avvicinano ai
contemporanei Bacio della Medusa e ai redivivi Spettri. Potete trovare questo
loro unico lavoro al seguente indirizzo https://leportenonaperte.bandcamp.com/
domenica 3 maggio 2020
MURPLE, Io sono Murple (1974)
I Murple sono un
gruppo romano nato nel 1971 grazie alla volontà del bassista Mario Garbarino e
del batterista Duilio Sorrenti, ai quali si aggiunsero successivamente il
tastierista Pier Carlo Zanco e Pino Santamaria, nelle vesti di chitarrista e
cantante. Dopo due anni di attività concertistica vengono messi sotto contratto
dalla Fare Records, che è una sottoetichetta della casa discografica tedesca
Basf. Particolare questo da non sottovalutare, in quanto i Murple erano una
delle poche band italiane di quest’etichetta, che non si preoccupò minimamente
di effettuare una dovuta promozione al gruppo. Così come molte altre band del
periodo difatti i Murple, senza un’adeguata attività promozionale, non
raccolsero mai i frutti del loro lavoro che, pur non essendo un capolavoro,
meritava perlomeno una maggiore attenzione nel momento della sua uscita.
Io sono Murple è formato da due suite
divise in 6 movimenti ciascuna che raccontano della vita di un pinguino, Murple
per l’appunto, che decide di abbandonare il suo habitat naturale per vivere
libero con l’uomo. La prima suite è caratterizzata da ampi spazi strumentali di
ottima fattura, che mostrano la qualità tecnica dei musicisti, che pur non
creando nulla di innovativo risultano essere decisamente convincenti. Diverse
le atmosfere che pervadono la suite, ben cristallizzate da passaggi ora dal
sapore hard ora soffusi e suggestivi, che ci conducono ad un finale in pieno
stile progressivo con Santamaria abile nel duettare con le tastiere di Zanco,
entrambi ben sostenuti dalle accelerazioni di Sorrenti. Il pianoforte di Zanco
e le sue reminiscenze classiche guidano l’inizio della seconda suite, dove si
inserisce il canto di Santamaria, che però convince molto di più nelle vesti di
chitarrista, in quanto in alcuni passaggi la sua voce risulta essere troppo
piatta e monocorde. Sono proprio i momenti in cui si dà spazio alla voce di
Santamaria quelli ad entusiasmare meno; difatti quando la band decide di
accelerare ascoltiamo le parti migliori del disco, con cambi di tempo, impulsi
rock e trame romantiche, soluzioni strumentali non molto originali ma suonate
decisamente bene e con il piglio di chi, pur non inventando nulla di nuovo,
trova soluzioni molto piacevoli e ben eseguite. Quindi un lavoro che deriva dai
grandi gruppi progressivi, sia della scena inglese che italiana, un disco
sicuramente che non presenta novità di fondo ma che può risultare gradevole per
chi ama certe sonorità (e per i completisti della materia).
Visto lo scarso
successo di critica e pubblico, i Murple dapprima collaborarono con Gianfranca
Montedoro (ex Living Music) per l’album Donna
Circo e poi per ben sette anni fecero parte della band di Mal. Solo nel
2008 Sorrenti, Zanco e Garbarino con la sigla Murple sono riusciti a pubblicare
un nuovo lavoro, Quadri di un
esposizione. (Luigi Cattaneo)
Full Album
sabato 2 maggio 2020
GOLDEN HEIR SUN, Holy the abyss (2020)
Golden Heir Sun è la
one man band di Matteo Baldi, chitarrista dei Wows, band post metal veronese,
che qui viene accantonata per un progetto contaminato, anarchico nel suo
sviluppo creativo, emanazione di una personalità che aveva già avuto modo di
emergere nei 14 minuti del precedente The
deepest, brano del luglio 2019. Holy
the abyss non si smarca da quella pubblicazione ma la raffina, espande il
discorso e conduce l’ascoltatore in un buco nero a base di post, dark, ambient
e drone, una ventina di minuti che diviene suite oscura e inquietante nel suo
incedere, dove ogni nota appare pensata e rifinita al dettaglio. Atmosfere
tenebrose e foschi passaggi dal taglio minimale sono il corollario emotivo di
un lavoro riuscito e assolutamente brillante, altro step importante verso
qualcosa di ancora più corposo. (Luigi Cattaneo)
Holy the abyss (Video)
venerdì 1 maggio 2020
MONDAY SHOCK, Rude Awakenings (2020)
Rude
awakenings è l’ep d’esordio dei Monday Shock, tre
brani più un intro di godibile hard glam ottantiano, frutto del songwriting di
Oscar Burato, co-fondatore della Street Symphonies e della Logic Ill Logic
Records, con cui collabora per oltre dieci anni prima di intraprendere nuove
strade professionali. Per realizzare il progetto vengono chiamati Enrico
Dabellani alla chitarra, Nicola Iazzi al basso (Embryo, Firmo, Hardline) e
Alessandro Marchi alla voce, oltre che Fabiano Bolzoni alla batteria e
Alessandro Broggi alle tastiere (membro degli Airbound). Blind è l’anthem energico che indica la strada su cui si muovono i
Monday Shock, la vivace verve di Your
side ci conduce al finale di Spirit
of life, un’ottima ballata elettrica in stile anni ’80. In attesa di una
pubblicazione più corposa, Rude
awakenings è senz’altro un lavoro che lascia trasparire le buone
potenzialità del progetto, primo passo interessante e molto gradevole. (Luigi
Cattaneo)
Blind (Video)
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