Come spesso ci è
capitato durante la stesura di una recensione di un disco targato Moonjune, i
confini si perdono, la fusion incontra il progressive per poi essere
centrifugata dal jazz rock strumentale. Non fa eccezione Proof of light del chitarrista Mark Wingfield, capitano del trio
completato da Yaron Stavi (basso) e Asaf Sirkis (batteria). La visione di
Wingfield è però attuale, ha una prospettiva che non si rifugia nel passato (o
non solo perlomeno) e l’artista tenta di espandere le soluzioni sempre
mantenendo una certa attenzione per la fase compositiva e per quella più
strettamente sperimentale. La musica dei tre non può ovviamente trascendere da
quelle che sono le doti di Wingfield, che però lascia spazio alla coppia
ritmica che appoggia con grande dinamismo le varie situazioni che animano
questa release. Difficile non rimanere immediatamente colpiti dall’iniziale Mars Saffron (forse il brano più prog e
King Crimson oriented), apertura diretta, varia, fusion esplosiva che vive di rallentamenti
e sfuriate in odore di progressive rock. Qua e là si percepiscono vibrazioni
Soft Machine style, profumi psichedelici di floydiana memoria, stralci di jazz
sperimentale che rimandano ad alcuni lavori di John Abercrombie o del maestro
Larry Coryell. Il sound sa quindi essere potente (la lunga Voltaic), stratificato (l’ottima The way to etretat), sempre piuttosto articolato (la title track) e
con lo strumento di Wingfield in evidente rilievo, una voce che viene seguita
con raffinatezza esecutiva da Stavi e Sirkis. Si potrebbe anche definire un
avant jazz dal forte connotato melodico, dove la linea di demarcazione tra
sperimentalismo e tradizione appare poco visibile ad occhio nudo, merito di
pezzi ben costruiti da un trio di musicisti affiatati, che hanno scelto di
seguire il loro istinto, faro verso una narrazione complessa ma mai eccessiva.
L’ascolto non è comunque semplice e bisogna addentrarsi con pazienza tra le
pieghe dell’album, un bel viaggio tra suoni e visioni di un chitarrista dotato
di una propria personalità ma che non dimentica di citare figure leggendarie
come Robert Fripp o Allan Holdsworth. L’album è scevro di inutili
sperimentalismi e si muove soprattutto sulle intuizioni del leader e di una
sezione ritmica lucida e funzionale al progetto, dando la positiva sensazione
di un equilibrio tra le parti che non fa altro che innalzare il livello
comunicativo di tutto il disco. (Luigi Cattaneo)
The way to Etretat (Video)
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