lunedì 14 settembre 2015

MARK WINGFIELD, Proof of light (2015)


Come spesso ci è capitato durante la stesura di una recensione di un disco targato Moonjune, i confini si perdono, la fusion incontra il progressive per poi essere centrifugata dal jazz rock strumentale. Non fa eccezione Proof of light del chitarrista Mark Wingfield, capitano del trio completato da Yaron Stavi (basso) e Asaf Sirkis (batteria). La visione di Wingfield è però attuale, ha una prospettiva che non si rifugia nel passato (o non solo perlomeno) e l’artista tenta di espandere le soluzioni sempre mantenendo una certa attenzione per la fase compositiva e per quella più strettamente sperimentale. La musica dei tre non può ovviamente trascendere da quelle che sono le doti di Wingfield, che però lascia spazio alla coppia ritmica che appoggia con grande dinamismo le varie situazioni che animano questa release. Difficile non rimanere immediatamente colpiti dall’iniziale Mars Saffron (forse il brano più prog e King Crimson oriented), apertura diretta, varia, fusion esplosiva che vive di rallentamenti e sfuriate in odore di progressive rock. Qua e là si percepiscono vibrazioni Soft Machine style, profumi psichedelici di floydiana memoria, stralci di jazz sperimentale che rimandano ad alcuni lavori di John Abercrombie o del maestro Larry Coryell. Il sound sa quindi essere potente (la lunga Voltaic), stratificato (l’ottima The way to etretat), sempre piuttosto articolato (la title track) e con lo strumento di Wingfield in evidente rilievo, una voce che viene seguita con raffinatezza esecutiva da Stavi e Sirkis. Si potrebbe anche definire un avant jazz dal forte connotato melodico, dove la linea di demarcazione tra sperimentalismo e tradizione appare poco visibile ad occhio nudo, merito di pezzi ben costruiti da un trio di musicisti affiatati, che hanno scelto di seguire il loro istinto, faro verso una narrazione complessa ma mai eccessiva. L’ascolto non è comunque semplice e bisogna addentrarsi con pazienza tra le pieghe dell’album, un bel viaggio tra suoni e visioni di un chitarrista dotato di una propria personalità ma che non dimentica di citare figure leggendarie come Robert Fripp o Allan Holdsworth. L’album è scevro di inutili sperimentalismi e si muove soprattutto sulle intuizioni del leader e di una sezione ritmica lucida e funzionale al progetto, dando la positiva sensazione di un equilibrio tra le parti che non fa altro che innalzare il livello comunicativo di tutto il disco. (Luigi Cattaneo)

The way to Etretat (Video)

Nessun commento:

Posta un commento