venerdì 6 gennaio 2017

THE RED ZEN, Void (2011)


È di qualche anno fa questo esordio di spessore in casa della sempre illuminata Ma.Ra.Cash Records, etichetta che da sempre promuove progetti davvero di grande valore. In questo caso viene dato libero sfogo alla fantasia di alcuni straordinari interpreti, bravissimi nel dar vita ad un lavoro strumentale che attinge prevalentemente dal rock progressivo, dalla fusion e dal jazz. Il quartetto, formato da Ettore Salati (The Watch, Alex Carpani) alle chitarre e al sitar, Angelo Racz (preparatissimo sessionman) alle tastiere, Roberto Leoni (The Watch) alla batteria e Nicola Della Pepa (altro importante turnista) al basso, si è formato nel 2009 e dopo 2 anni si è proposto con un disco spumeggiante, Void, esempio di classe sopraffina mai fine a sé stessa ma pensata in funzione della riuscita del brano. Quindi niente suite chilometriche perché i The Red Zen prediligono una scrittura robusta e incisiva. Esemplare l’interplay tra le tastiere di Racz e la chitarra di Salati nell’iniziale Cluster, dove risulta fondamentale anche una sezione ritmica sempre pronta a reggere le scorribande sonore dei due compagni. Bellissimi i suoni ottenuti da Racz, semplicemente meraviglioso Salati nei suoi momenti solistici, il brano presenta quelle che saranno le sonorità guida dell’intero lavoro. Hot wine viene introdotta dal basso pulsante di Della Pepa, salvo poi esplodere in sonorità che tanto mi hanno ricordato jam band come gli Ozric Tentacles, quanto la fusion progressiva dei Tribal Tech di Scott Henderson per un risultato davvero incredibile. Colpisce soprattutto la freschezza della composizione e di come riesca ad avvolgere costantemente l’ascoltatore, che finisce per conoscere ed apprezzare con facilità anche i passaggi più arditi, segno della grande sensibilità musicale e dell’attenzione posta dal quartetto. Una bella ritmica trascinante segna Slapdash dance, con Racz davvero abilissimo nel destreggiarsi tra i suoni delle sue tastiere e Salati impegnato in un momento di pura psichedelia con il sitar. Dopo tre strumentali davvero molto appassionanti arriva l’unico momento in cui fa capolino la voce, quella convincente di Joe Sal in Alexa in the Cage, brano dai risvolti drammatici e malinconici che posto a metà lavoro serve anche per spezzare e cambiare l’atmosfera generale, oltre che mostrare come il gruppo possa intraprendere in futuro anche una strada differente da quella esclusivamente strumentale. Si arriva così a Into the void che rappresenta uno dei punti più alti del disco, di una bellezza struggente, soprattutto per la prova di Salati che con la sua chitarra disegna scenari affascinanti e si lancia in un momento strumentale funzionale come un chorus. Dopo tanta grazia il calo d’intensità non arriva e con Who’s bisex? la band si mantiene su standard piuttosto alti e ispirati e si avvicina nuovamente alla fusion e al jazz di grandi gruppi come Mahavishnu Orchestra e Return to Forever. Le ritmiche di Leoni e Della Pepa si fanno intricate, i synth si fanno sentire ma non risultano mai invadenti e Salati si lancia in soli fantasiosi e d’impatto. In Return to Kolkata  il sitar apre la strada a quelli che saranno quasi 8 minuti di furia progressiva in cui sono avvertibili echi psichedelici, fusion, jazz rock e tutte quelle influenze che hanno portato incredibilmente a qualcosa di fresco e accattivante, con un risultato mai stantio o prevedibile. Intensa e vibrante anche la conclusiva Spin the wheel che vede ancora una volta Salati autore di una grande prova, coadiuvato dal delicato tocco di Racz e da un songwriting generale in cui si evidenzia la grande dimestichezza di tutti i coinvolti al progetto The Red Zen. Come traccia finale la Ma.Ra.Cash piazza la versione strumentale di Alexa in the Cage, che si lascia apprezzare ma non raggiunge i livelli di quella cantata.  In definitiva direi che ci si trova di fronte ad un progetto estremamente interessante per la qualità della proposta, la cura del particolare, l’enorme bravura dei musicisti coinvolti che riescono però a stare lontani dalla prolissità e dal virtuosismo fine a sé stesso. Questi interpreti hanno avuto la capacità di sviluppare un loro discorso musicale attraverso un suono arioso e accattivante. Il risultato è di quelli che abbagliano e che lasciano ascoltare il disco per il gusto di scovarci sempre qualcosa di nuovo e di non ancora percepito. Mai ripetitivo pur essendo quasi interamente strumentale, melodico, rifinito, questi The Red Zen rappresentano una vera e propria sorpresa. (Luigi Cattaneo)

Void (Album teaser)


 

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