Sempre più attivi i
Syndone di Nik Comoglio (tastiere), che dopo i più recenti La bella è la bestia e Odysseas
si ripropongono con un concept dedicato al Cantico dei Cantici. I torinesi
firmano un’opera che si riallaccia ai canoni del prog sinfonico e lo fanno con
l’idea che una certa matrice possa essere comunicativa e abbracciare anche
passaggi vicini alla pura soundtrack. Le azioni che si susseguono si prestano
ad una certa drammaticità corale, che viene sottolineata da un uso accurato
dell’orchestra, elemento fondamentale nel sottolineare i momenti più
significativi della narrazione. La band, pur essendo in pista dal 1989, pare
aver trovato ora la giusta line up per proseguire nel viaggio intrapreso tanti
anni fa e oltre a Comoglio troviamo Riccardo Ruggeri alla voce e alla chitarra,
Marta Caldara al vibrafono, Gigi Rivetti alle tastiere, Maurino Dellacqua al
basso e Martino Malacrida alla batteria. Il sestetto è riuscito ad unire i
tempi dispari del progressive, la forza propulsiva del rock e la magnificenza
degli arrangiamenti classici (che fissano i momenti chiave proprio come
sottolinea e rimarca una colonna sonora), tutti elementi utili per portare il
disco ad un livello davvero alto e parecchio emotivo. Si avverte una certa
continuità nel percorso ma si nota anche come Comoglio stia portando la sua
musica a toccare anche altre aree, un immaginazione melodrammatica (per dirla
alla Peter Brooks) che si sposa con il
suono delle terre ebraiche e con quello delle esotiche lande arabe, un melange
che non perde in coesione ed unità d’intenti ma si fa promotore di interessanti
e nuove dinamiche. Non mancano i consueti special guest, che questa volta
rispondono al nome di Ray Thomas (cantante e flautista dei Moody Blues)
nell’ottima L’urlo nelle ossa e Steve
Hackett (Genesis) alla chitarra (prima volta in assoluto di questo strumento in
un disco dei Syndone) nella splendida Cielo
di fuoco, uno dei pezzi più coinvolgenti di Eros & Thanatos. L’album vanta veramente una scrittura fine e
articolata, testi che incuriosiscono e fanno venire voglia di approfondire il
tema (anche grazie alle grosse capacità interpretative di Ruggeri), varianti
strumentali di indubbia bellezza e anche una certa capacità di mantenere la
giusta tensione per tutta la durata del lavoro. Dopo un piccolo intro, Area 51 ci porta subito lontano con la
mente, ad inizio ’70, quando pezzi strumentali così tirati trovavano la giusta
dimensione nei festival e nei raduni giovanili. In Terra che brucia si vive il contrasto tra le atmosfere soffuse e
acustiche della prima parte con l’apertura prog della seconda in cui i synth
vibrano forte e con decisione. Analoga vita ha Gli spiriti dei campi, con risultati ancora molto validi, prima di Qinah, un progressive etnico in cui
dominano le tastiere e le efficaci soluzioni della coppia ritmica. Si torna al
dualismo tra atmosfere da ballata e furore strumentale in Duro come la morte, mentre anche Fahra ha la sua buona dose di elettricità etnica. Oltre alle già
citate L’urlo nelle ossa e Cielo di fuoco, completa il quadro Bambole, il brano che più si discosta
dagli altri (una fresca e piacevole rock song). Eros & Thanatos conferma il talento, se mai ce ne fosse stato bisogno,
dei piemontesi e li pone tra i più degni successori della grande stagione d’oro
del progressive nostrano. (Luigi Cattaneo)
Duro come la morte (Live @ La Casa di Alex)
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