Dopo tre anni da Le Moire ritornano gli Hautville con Mater Dolorosa, otto brani intrisi di
folk progressivo con tanti inserti classicheggianti (un po’ come i campani
Corde Oblique) che denotano una profonda conoscenza della materia. La cura per
il dettaglio, per gli arrangiamenti raffinati e per testi ricercati fanno la differenza
e oltre alla bontà esecutiva del trio (Simona Bonavita alla voce, Francesco
Dinnella al basso e alle tastiere e Leonardo Lonigro alla chitarra folk ed
elettrica) vanno menzionati i tanti special guest presenti, che risultano
essenziali per la riuscita del lavoro (Giulio Amico Padula alla tromba, David
Bisetti alle percussioni e ai timpani, Daniela Caschetto al violoncello,
Rebecca Dallolio al violino, l’ex Pierrot Lunaire Arturo Stalteri al piano e
William Matteuzzi alla voce). La vena malinconica che attraversa il platter
ammalia e dona un incanto intrigante al racconto, che si sviluppa proprio
cercando di avvincere l’ascoltatore attraverso brani solo all’apparenza di
facile lettura ma in realtà molto pregni di elementi. Il fascino di certe argomentazioni
va di pari passo con atmosfere disincantate e malinconiche, caratteristiche che
troviamo già nell’elegante opening track Dis
pater, con la Dallolio a ricamare in modo sicuro sopra un substrato
folkeggiante di gran spessore. La dea Artemide
viene tributata nel brano successivo, una ballata dai toni epici che ben
delineano la sua figura, mentre accelera ritmicamente Pietà e costanza, soprattutto grazie al percussionismo di Bisetti e
al lavoro di Lonigro, più deciso che mai. Nella prima parte spicca Le ombre, un folk cantautorale delicato
e tenue, con la Bonavita artefice di una prova magistrale, prima
dell’intervento del tenore Matteuzzi nella title track, pezzo dove partecipa
anche Stalteri, che insieme a Caschetto dona un imprinting molto classico alla
composizione. La sposa torna sui
sentieri abituali del trio e l’interplay tra chitarra e violino tratteggia
scenari amari e inquieti, replicati dalla potenza espressiva di Per non sentire niente, convincente
anche grazie alla prova di Padula. Il finale di Il castello è incentrato sul tocco di Stalteri, che chiude con un
sigillo fiabesco un album poetico e affascinante. (Luigi Cattaneo)
Per non sentire niente (Video)
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