Esordio per il bassista Alessandro
Loi, autore con It smells funny di un lavoro decisamente variopinto e
curioso, complici alcuni musicisti davvero ottimi come Gigi Rivetti (piano, da
due decenni con gli Statuto), Alberto Borio (trombone, membro dei Fratelli
Lambretta Ska Jazz), Simone Garino (sax) e Giulio Arfinengo (batteria), riuniti
sotto il monicker Toxic Jazz Factory. Jazz, soul e R&B si inseguono
all’interno di un disco influenzato da Horace Silver, The Jazz Messengers e Return
to Forever, espressione schietta di un album che parte subito in quarta con The
throne room, brano ricchissimo di groove e freschezza. Ci sono gli anni ’70
del genere in questo debutto, seppure non c’è uno sguardo passatista sulla
materia, basti ascoltare l’ottima Luna storta, dove il feeling del
quintetto incontra la tromba di Fabrizio Bosso, ma anche Novembre, ben
costruita da Loi e la band insieme al chitarrista Alessandro Di Virgilio, e The
Shepherd’s march, che vede la partecipazione dei Fratelli Lambretta e di Paolo
Bonfanti alla chitarra. Un primo passo a proprio nome scorrevole e sincero per
Loi, la cui dimensione reale, anche a giudicare dalle trame di It smells
funny, pare quella del concerto, occasione dove probabilmente le
composizioni dell’album possono davvero spiccare il volo. (Luigi Cattaneo)
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