mercoledì 31 maggio 2017

MONKEY RANCH, Alone (2017)


Nati nel 2012 come gruppo punk rock, i Monkey Ranch formano la line up attuale l’anno seguente (Iacopo Ferrari voce e chitarra, Francesco Ceccarelli alla chitarra, Jacopo Geri al basso e Iacopo Sichi alla batteria), con un deciso cambio di sound verso sonorità più cupe e ispirate al grunge anni ’90. Dopo due demo arriva oggi Alone, un disco maturo e vicino proprio alla scena della Seattle che fu, un lavoro che emana proprio quel senso di dolore che certificava il periodo e che ancora oggi mostra il proprio lato greve. La band, con un nome assonante a quello dei Monkeywrench di Clean as a broke-dick dog del 1992, band di Mark Arm e Steve Turner (entrambi Mudhoney e Green River), mostra però di avere al suo interno anche elementi più spensierati, che si concretizzano in episodi garage al punto giusto, oltre che con una spruzzata di ironia che tende ad allontanare la rabbia di fondo. I testi inoltre sono molto sarcastici e portano ad una visione asociale e desolante che conduce ad un’esistenza vana e vuota. Ovviamente chi si sente ancora orfano di Alice in Chains e Mad Season non potrà non trovare Alone come un disco in cui perdersi completamente, come avveniva con i suoni di quel preciso momento storico tutto made in USA. L’inizio di Butcher è fulminante. Un attacco Audioslave style ma con rimandi evidenti ai ’90, così come Without chains mette in fila il grunge di April’s Motel Room e dei veterani Pearl Jam. Meno fantasioso il garage rock di Danny boy, mentre Freedom cita gli Stone Temple Pilots di Scott Weiland e i sottovalutati Brad di Stone Gossard. La prima parte del disco si chiude con l’ottima Freedom, una traccia per mood vicina agli Alice in Chains e con una discreta coda strumentale vagamente psych. Si riparte poi con l’alternative simil Blind Melon di Unhappy stories, prima di essere travolti dall’attitudine punk di Picture of you, una sorta di Spin the black circle del 2017. Gradevole la ballata folk Dance of the witch, che finisce per avvicinarli nuovamente ai Blind Melon di Shannon Wright, ma la potenza trascinante del grunge riemerge con impeto in Remember me. Il finale è affidato alla lunga traccia psichedelica This one, che mostra un lato desertico e acido molto interessante. Buonissimo debut per il gruppo di Pistoia, attenti per tutto il platter a donare groove e dinamismo a composizioni immediate e di grande impatto, che omaggiano ma non scimmiottano uno degli ultimi momenti in cui il rock divenne colonna sonora di una generazione. (Luigi Cattaneo)
 
This one (Video)
 

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