Tornano i Rainbow Bridge, trio di Barletta di cui avevamo già parlato in occasione del
precedente Dirty Sunday, un ottimo
album strumentale, molto hendrixiano e registrato in un’unita take, che avevo
amato sin dal primo ascolto. Giuseppe JimiRay Piazzolla (chitarra e voce),
Fabio Chiarazzo (basso) e Paolo Ormas (batteria), con il nuovo Lama inseriscono una parte cantata che
non sposta molto le coordinate del gruppo, sempre impegnato a portare avanti
con dedizione un rock blues che non ha paura di tingersi di psichedelia e
desert rock, ma che a volte sembra un po’ frenare l’irruenza spontanea che
avevo trovato nell’album precedente, complice anche una maggiore strutturazione
in sede di scrittura, o almeno questa è l’impressione che emerge. L’alone
vintage della proposta è sempre ben presente, giustamente direi, perché i
ragazzi sanno come ricreare certe atmosfere con passione e sentimento e pezzi
come Day after day, che si sviscera
per ben otto interessantissimi minuti o
l’hard blues di Words, sono lì a dimostrarlo. Hendrix c’è
sempre, così come ci sono i Cream, sporcati dalle distorsioni allucinate di
Piazzolla (la validissima title track), così come The storm is over, che prosegue nel discorso intrapreso dalla band
e ci catapulta a certe atmosfere che il tempo non ha ancora scalfito del tutto,
quelle di Woodstock e Isola di Wight. Ma i Rainbow Bridge sono essenzialmente
una jam band e lo dimostrano con la conclusiva No more I’ll be back, un viaggio di dodici minuti pieni di fuoco, una
colata di elettricità che colpisce sin dalle prime note e che finisce per
sigillare in bellezza questo come back del trio pugliese. Da segnalare che
sulla loro pagina https://therainbowbridge.bandcamp.com è possibile acquistare
e ascoltare tutta la loro discografia (operazione consigliatissima), oltre che
un alternate take di Words e
l’inedita Are u exp jam, una jam che
incrocia Hendrix e i Beatles con la solita efficacia. (Luigi Cattaneo)
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