Si può definire Notturni come un viaggio che parte dall’ottocento romantico e arriva ai giorni nostri? È la vostra personale rivisitazione in chiave moderna?
Sartoris: Sicuramente si può parlare, in parte, di un viaggio che rende attuale e vivo ciò che è già stato scritto nell’ottocento romantico, ma non solo. A livello compositivo si arriva ai giorni nostri attraverso la penna mia e di Daniele, si è scritta infatti musica senza preconcetti melodici ed armonici, sicuramente ispirati dalle grandi composizioni già presentate dai grandi, ma prendendo come spunto tutto ciò che poteva essere necessario per raccontare le storie che volevamo sottoporre all’ascoltatore. Nel mio personale traggo spunto da Satie ed i suoi Notturni, da Scrjabin e Debussy, così armonicamente personali ed espressivi, dal jazz contemporaneo, dal blues e da tutto ciò che realmente può asservire la dinamica dei miei racconti. L’opera di Chopin con i suoi Notturni Op.9 Nr 1 e 2 sono non solo un omaggio al genio assoluto e la sensibilità del compositore polacco ma un rendere attuale e da tutti fruibile ciò che è stato scritto quasi duecento anni fa, basta pensare che i 3 Notturni dell’opera 9 sono stati scritti proprio nel 1832, 189 anni fa, ma che sono ancora incredibilmente attuali ed immortali. L’idea è quella di mostrare che l’improvvisazione all’epoca era viva esattamente come nel jazz oggi e che queste forme possono essere utilizzate con lo stesso sistema che al giorno d’oggi i jazzisti adottano con gli standard. Tutto questo rende meno sacro l’utilizzo di melodie immortali riportandole all’improvvisazione, qualcosa che ad oggi sembra sbagliato in quell’ambiente, ma che nell’800 nella musica classica era di uso comune e non destava clamore alcuno.
Di Bonaventura: Io lo penserei in
maniera più romantica ancora, e cioè che il notturno è una forma musicale che
nasce nel XVIII secolo formata da vari movimenti e poi divenuta più diffusa
nell’800. La cosa interessante è che le composizioni di Emanuele sono proprio composizioni
molto strutturate e articolate, interessanti proprio per la loro varietà
formale, cosa che manca nel mondo del jazz attuale. Quindi non si tratta di una
rivisitazione secondo me ma di un vero e nuovo approccio creativo compositivo
al quale scaturisce un diverso approccio improvvisativo.
Pianoforte e Bandoneon si sostengono e si amalgamano in maniera mirabile, come avete lavorato per raggiungere tale equilibrato bilanciamento?
Di Bonaventura: Per me è stato molto semplice perché Emanuele aveva già pensato a delle linee melodiche e delle piccole parti contrappuntistiche, il lavoro è stato bene studiato e ponderato. Emanuele conoscendomi come bandoneonista ha saputo sfruttare alla perfezione il mio tocco e il suono del bandoneon come se fosse una voce, un canto che si staccasse dalla parte pianistica quasi come rendere il notturno simile ad un Lied.
Sartoris: Sicuramente pensare in fase di scrittura
al suono del mio compagno di viaggio è stato molto utile, possiamo dire che non
si è quasi cambiato nulla di ciò che idealmente si era prestabilito a livello
teorico prima dell’incisione. Dall’altra la mirabile esperienza di Daniele che
non è nuovo a questo genere di formazione ha fatto si che le cose volgessero al
meglio. Il suo orecchio, la sua predisposizione e sensibilità a comprendere
dove sta andando la musica hanno fatto si che tutto andasse a buon fine
praticamente sempre al primo colpo. Ciò che abbiamo registrato non voleva essere
statico, ci sono momenti di grande libertà alternati ad altri di scrittura
serrata, l’obiettivo era essere a nostro agio per far si che potesse emergere
il nostro suono e la nostra personalità. Dal mio canto poter lavorare con
Daniele è stato un sogno perché il suo suono rappresenta al meglio la sua
personalità: sensibile disponibile ed accogliente. E lui ed il suo strumento,
citando Voltaire, sono davvero la migliore delle collaborazioni possibili.
Come si mettono insieme l’amore per la classica e la spinta free che si avverte pulsante tra le note del disco?
Sartoris: Questa collaborazione nasce da diverse chiacchierate che con Daniele ho avuto la fortuna di intraprendere prima di ritrovarci in studio di registrazione. Sia io che Daniele abbiamo una sincera passione per la musica classica, Daniele per altro, tra le tante cose, è diplomato in conservatorio proprio in composizione classica ed è subito stato spontaneo condividere i nostri interessi per artisti immortali che ne hanno fatto la storia. Condividendo le nostre avventure musicali ho confessato a Daniele il mio essere reduce dalla registrazione della nostra versione del Totentanz di Franz Liszt insieme al pianista classico Massimiliano Gènot mentre, tra i tantissimi lavori che ha intrapreso in questo senso, Daniele mi aveva parlato a lungo del suo lavoro sulla Petite messe solennelle di Rossini. Sia io che Daniele divoriamo libri e dischi analoghi riguardanti il mondo della musica cosiddetta colta e abbiamo comuni passioni per alcuni esponenti della musica classica, tutto questo unito al fatto che non abbiamo alcun tipo di remore nell’osare ed irrompere nel mondo classico con la nostra personalità e verve improvvisativa, che ci ha spinti a creare qualcosa che fosse nostro e che ben rappresentasse i nostri ideali. Nel mio personale ritengo che l’improvvisazione sia l’elemento più sincero a disposizione dell’esecutore. Che sia basata su una griglia di accordi, o che sia totalmente libera, l’improvvisazione descrive con genuina realtà e senza intermediari ciò che si vuole esprimere. Forse oggi ritengo che l’improvvisazione totale e libera da ogni vincolo sia il miglior rappresentante possibile della sincerità ed è forse quella che più cercherò di adottare nel futuro.
Di Bonaventura: Io credo nella musica totale, ma per praticare improvvisazione e scrittura nello stesso tempo bisogna avere un comun denominatore. Con certi musicisti lo puoi fare, con altri no. Bisogna aver attraversato varie esperienze musicali per praticare sia l’interpretazione di un tema in maniera classica e poi una improvvisazione radicale oppure una improvvisazione su una griglia di accordi. Quando ci ritroviamo con Emanuele parliamo soprattutto di musica classica e di Bill Evans, questo è il segreto J
In diversi passaggi sembra di trovarsi dinnanzi ad una soundtrack, probabilmente l’alta carica evocativa delle tracce spinge verso quella direzione fatta di immagini e ricordi …
Sartoris/Di Bonaventura: Riteniamo che la musica in qualche modo
debba essere necessariamente descrittiva, in grado di condurre l’ascoltatore da
qualche parte, alle volte è ancora meglio se lo stesso
esecutore scopre insieme al pubblico i nuovi paesaggi sonori intrapresi, non
solo per lo stupore, ma per essere sincero interprete di se stesso, un tramite
reale tra immagine evocata ed emozione. Tutto questo porta necessariamente, e
se si riesce si è colto un obiettivo non da poco, a far si
che l’ascoltatore possa emozionarsi ed entrare nel racconto. Si tratta forse
davvero di una soundtrack ma è la quint’essenza della stessa perché può vivere
da sé, senza che ci sia una pellicola. La pellicola, le immagini, i ricordi, sono quelli legati all’ascoltatore stesso, è molto soggettivo e credo che sia
il miglior obiettivo che la musica possa prefissarsi, comunicare in maniera
profonda ed emozionare con sincerità. Speriamo davvero di esserci riusciti
perché non solo è molto importante, ma forse è la cosa più importante in
assoluto.
State pensando di lavorare su nuovo materiale?
Di Bonaventura: Per ora il materiale che abbiamo è già tanto, e la cosa bella è che ancora dobbiamo sfruttarlo bene anche perché abbiamo fatto pochi concerti ed io ho ancora voglia di suonare questa musica per un pò, c’è ancora tanto da scavare e magari lavorandoci su ci verranno sicuramente altre idee per il futuro.
Sartoris: Presi dalla recente uscita del disco stiamo ancora lavorando a programmare i concerti per promuoverlo, quindi non abbiamo ancora avuto modo di parlarne. Ma in tutta sincerità sicuramente vorrei continuare ad avere il privilegio di poter ancora lavorare con il suono e l’animo profondo ed onesto di Daniele. Di solito prima che termini un lavoro la mia fantasia ha la presunzione di fantasticare già su qualcos’altro e, se Daniele lo vorrà, sto immaginando già qualcosa di nuovo da poter condividere con lui.
Ci sono possibilità di portare il progetto dal vivo?
Sartoris: Per fortuna si, abbiamo recentemente presentato i nostri Notturni presso l’Open Papyrus Jazz Festival organizzato dal direttore artistico e percussionista Massimo Barbiero. Ad oggi stiamo lavorando per la presentazione che faremo a Torino il 21 dicembre presso il salone del Conservatorio, unica data scelta per la mia città. Si tratta di un concerto organizzato per noi dalla storica associazione che opera sul territorio, “ErreMusica” diretta da Marisa Riviera, che non ringrazierò mai abbastanza, perché si è prodigata con tutta se stessa per averci ospiti presso la splendida sala del Conservatorio in cui ho studiato. Si tratterà per me di un concerto davvero molto emozionante! Alcune presentazioni sono saltate perché sarebbero dovute avvenire durante il secondo lockdown ma speriamo di recuperare presto e di poter portare dal vivo il più possibile il nostro progetto!
Di Bonaventura: È naturale! Il
progetto si presta per essere presentato non solo nei festival jazz ma anche
nelle sale da concerto di musica classica. Sarebbe un peccato non portarlo in
giro in rassegne e contesti differenti. La musica oggi ha bisogno di queste
sperimentazioni e di questi nuovi progetti così rischiosi ma altrettanto
affascinanti.
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