Il panorama underground italiano saluta una new entry dai contorni sfumati e dalle più disparate influenze, gli A Rainy day in Bergen, che con questo disco d’esordio dimostrano di avere idee in abbondanza e ottime doti compositive. Il trio salernitano formato da Carlo Barra ai sintetizzatori e al piano, Pasquale Aliberti alla voce e al basso e Diego Maria Manzo alla batteria decide di creare un sound in cui convivono un pizzico del progressive più moderno e la new wave, l’elettronica e il rock ma senza utilizzare la chitarra, affidando il ruolo guida agli strumenti di Barra. Bergen è una piovosa città norvegese e il clima del disco rispecchia l’andamento atmosferico del paese attraverso sonorità umbratili che la band sparge a piene mani ma senza mai eccedere in enfasi. La dedizione infusa dai tre è percepibile da subito e Perhaps riesce ad essere drammatica, dirompente e delicata grazie ad un utilizzo accorato del piano e alla intensa voce di Aliberti. It has left segue la scia della traccia iniziale ed è un concentrato di inquietudine e malinconia, mentre Struggling for breath vira verso un synth pop molto orecchiabile, caratteristica questa che a dire il vero ritroviamo un po’ in tutto l’album. Grey haze è il brano più vigoroso tra i presenti e mostra influenze rintracciabili in certo alternative americano (Orgy e affini), mentre A thousand universes torna sui binari cari al gruppo con il suo incedere vicino alle atmosfere dei Muse. Gotta enjoy inizia come una ballata per voce e piano, salvo poi modificare registro dopo un break centrale con l’incursione della sezione ritmica. Lo stesso si può dire per My way to dove il trio punta ancora sull’emozionalità, elemento questo che si ritrova di continuo e su cui la band pare puntare parecchio. Il piano rimane uno degli elementi centrali anche nei brani seguenti dove la band segue sempre la scia di atmosfere dark e drammatiche come nel caso di Children on birthday e Worried about everything. La chiusura è affidata a Not beyond Tomorrow che non fa altro che confermare le potenzialità della band, capace di muoversi costantemente in bilico tra echi alternative, ombre dark, attitudine pop e un velo di rock progressivo riconducibile più che altro agli ultimi Marillion e agli Airbag. L’album pur non presentando soluzioni particolarmente complesse e nello specifico riconducibili al progressive come spesso lo si intende risulta interessante e piacevole per quasi tutta la sua durata e nel complesso appare riuscita la formula utilizzata, quella di unire e codificare influenze parecchio differenti tra loro. Ovviamente chi cerca tempi dispari e suite di grande lunghezza si domanderà cosa ci fa un gruppo simile su un sito dedicato prevalentemente al progressive. Chi invece non vive con certi diktat può avvicinarsi senza remore e viaggiare verso Bergen in buona compagnia. (Luigi Cattaneo)
Struggling for breathe (Official Video)
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