lunedì 25 gennaio 2016

THE BADGE, Le relazioni pericolose (2015)




I The Badge nascono nel 1971 (il nome è un omaggio ad un brano dei Cream) a Bernate Ticino (Milano) e solo Angelo Isaia (organo) è uno dei membri ancora presenti della primigenia formazione che si dedicava ad un pop commerciale riproponendo brani di successo della scena italiana e internazionale. L’entrata di Angelo è fondamentale per avvicinarsi all’hard rock di Led Zeppelin, Uriah Heep e Deep Purple, oltre che al nascente pop progressivo dei New Trolls. Non mancano i live con nomi importanti del rock settantiano (come la locandina del festival di Corbetta 1973 riporta) e le citazioni anche su riviste portanti dell’epoca (Ciao 2001), oltre che numerosi cambi di line up che segnano quegli anni gloriosi.
                                                   
La band va avanti per la sua strada pur non riuscendo a pubblicare nulla e non mancano le esibizioni in trio nei ’90 in stile Emerson Lake & Palmer e Le Orme, sino alla pausa avvenuta tra il 2000 e il 2006, quando il gruppo si riforma con nuovi ingressi proponendo anche brani originali. Nel 2012 arriva la svolta con un demo di sette brani e la successiva registrazione di questi negli studi di Beppe Crovella degli Arti & Mestieri, pezzi che vanno a comporre il tanto atteso esordio Le relazioni pericolose (con l’artwork curato da Gigi Cavalli Cocchi, batterista di Mangala Vallis e Moongarden) con una line up stabile che vede la presenza di Angelo Isaia (tastiere e voce), Sergio Isaia (chitarra, basso e voce), Fiore Colombo (chitarra, basso e voce) e Pino Atzori (batteria).
Il disco è un insieme di rock progressivo, influenze classiche e hard (distribuito in tutto il mondo dalla Ma.ra.cash Records), con la suite iniziale (Le relazioni pericolose) di 18 minuti vero manifesto programmatico del suono vintage dei The Badge, esempio lampante di come coniugare gli elementi tipici del genere, le orchestrazioni, i riferimenti classici e gli immancabili sprazzi strumentali. Piacevole la successiva Anni ’70, brano dall’andamento nostalgico per un periodo oramai svanito, mentre in Ancora un giorno dopo la fine emerge un intrigante vena hard prog che mi ha ricordato Gli Spettri, 10 minuti dinamici contraddistinti da un sapiente uso dell’organo, ritmiche corpose, lirismo e riff ficcanti. Sotto il cielo d’Africa ci porta nella Genova progressiva di Delirium e New Trolls, Burokrat è invece ironicamente amara e con un tessuto musicale frizzante. La seguente Dichiarazione è un brano dotato di un bell’attacco strumentale che si dipana in un pezzo corale con i synth e la chitarra acustica fini dialogatori in questa aggraziata composizione dal sapore folk. La chiusura è affidata a La leggenda del lago, che torna su binari prog già dall’inizio organistico, per poi svilupparsi lungo 10 minuti divisi tra hard, atmosfere bucoliche e guizzi strumentali. Il disco è indubbiamente gradevole, c’è qualche pezzo meno riuscito ma in linea generale l’album si fa ascoltare con piacere ed è accostabile a band come Sigmund Freud o Sezione Frenante, che nati nei ’70 hanno visto il coronamento del loro personale percorso solo negli ultimi anni. Lavoro consigliato soprattutto agli amanti del progressive rock nostrano. (Luigi Cattaneo)   
   



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