Come è nata l’idea per il nuovo album e di cosa parla il concept?
Eros
& Thanatos, il dualismo più antico della storia. Alcune
riletture del Cantico dei Cantici fanno risalire il testo antico ad una
raccolta di canti tradizionali della Siria, praticati nell'antichità durante le
cerimonie nuziali. L'incontro casuale, un anno fa, con il testo sacro e le sue
riletture ha la fortuna di aprire una porta segreta sulla riflessione tra i
concetti di Amore e Morte, o Eros & Thanatos. Il tuffo in quel mare di
passione, di gioia e dolore fa "contaminare le mani" con qualcosa di
puro, e andando a fondo si arriva ad osservare le fratture di una terra
attraversata nei secoli da fiumi di conoscenza e sofferenza. Proprio da questi
solchi fioriscono poeti come Faraj Barjakdar e Mahmud Darwish, che con le
parole sul dramma della prigionia e dell'esilio diventano fonte di ulteriore
ispirazione per le liriche che insieme al Cantico nella rilettura di Ceronetti,
hanno alimentato il fuoco generatore dell'album. "Tra le pieghe del tempo, sotto una coltre cieca di giochi di
potere, la terra dell'acqua che brucia nasconde la cosa più pura, pura e
incoerente come i sogni che generano sogni". Come nel Cantico non c'è
una successione logica o temporale tra i brani, come tra i sogni appunto, se
non una relazione tra la prima e l'ultima traccia, inizio e fine di un
confronto tra l'autore e un indefinito interlocutore. Tra questi due punti si
trovano le parole del Cantico, anche in ebraico, riferimenti a poesie del medio
oriente, una lode alla purezza delle tensioni umane, alla loro disarmante
sincerità, una preghiera laica, un'accusa a chi tutto questo piega con violenza
per il bene di pochi.
Quali sono le
caratteristiche di Eros & Thanatos?
Ci dobbiamo aspettare qualche novità stilistica?
Sicuramente l’uso
massiccio dell’orchestra; al di là degli ospiti illustri (Steve Hackett e Ray
Thomas) e degli arrangiamenti più estremi (il suono del moog è acido e
irriconoscibile a volte) è indubbio che la caratteristica più innovativa di
quest’ultimo disco è l’orchestra d’archi. Essa ha dato un input in più al
nostro sound e ha creato veramente, e finalmente, quel ponte immaginario tra la
sonorità rock e classica che da tempo cercavo. Avevo bisogno di un suono
aggressivo così ho fatto a meno delle viole: solo violini e violoncelli,
neanche i contrabbassi (che suonano solo nella chiusa dell’ultima traccia e
nelle parti più liriche prive di basso elettrico)… un suono grezzo e molto
rock. Mi ricordai di una dichiarazione fatta da Lenny Bernstein a proposito
dell’organico scelto per registrare West
Side Story per la Deutsche Grammophon (nel lontano 1985) in cui rinunciò
volutamente alle viole e fece suonare i celli in tessitura alta che ci
assomigliano ma sono molto più aggressivi e molto più sonori. Questa è, secondo
me, la vera svolta stilistica del nostro nuovo disco.
Ci sono degli
aspetti del tuo songwriting su cui poni più attenzione e che quindi vengono
maggiormente sviluppati nei Syndone?
Bè innanzitutto se
parliamo di songwriting parliamo di musica che regge un testo, quindi una voce
che racconta e quindi parliamo di “melodia”. Una cosa fondamentale della musica
per voce nei Syndone è che il testo debba sempre essere supportato da una
melodia forte e orecchiabile… che, si badi bene, non è un difetto! Anzi! Mentre
sugli strumentali le possibilità timbriche e ritmiche sono pressoché infinite e
illimitate quando si ha a che fare con una voce la cosa cambia. La musica deve
asservire alla funzione di ancella e stampella della parola affinché il
significato della lirica non ne risenta e non è affatto facile scrivere temi
che siano veicolatori del testo al 100%... però noi ci proviamo. In Eros & Thanatos il contrasto al
limite che già esprime il titolo lo ritroviamo anche a livello musicale. Parti
liriche sospese lasciano il posto a brani dirompenti e potenti quasi
improvvisi… l’amore e la morte… vuoti e pieni… bianco e nero… luce ed ombra! E’
stata una scelta fatta a tavolino quella di giocare con il dualismo forte
ingaggiato già dal concept ed è su questo contrasto che si sviluppa tutto il
disco. Un bravo songwriting deve saper trattare e saper scrivere per la voce:
questo strumento ineguagliabile e inarrivabile è infatti limitato nella
tessitura… un violoncello o un moog avranno certo molte più note di una voce
umana e potranno suonare intervalli più ampi ed interessanti rispetto ad una
voce che canta. Se però si dispone di un cantante come Riccardo Ruggeri che usa
la sua voce come uno strumento questa limitazione di cui parlavo si riduce di molto.
Ti ho sentito
definire la musica dei Syndone come Movie Rock, che cosa significa esattamente?
E’ da un po’ di tempo
che cerco di coniare nuovi neologismi che raffigurino e nello stesso tempo si
discostino dalla parola progressive. Syndone è una band che guarda avanti nel
rispetto delle tradizioni, ma è pur sempre nella nostra indole partire da uno
stile e approdare a qualcosa di totalmente personale, di “nostro”. Questo è ciò
che cerchiamo di fare disco dopo disco da sei anni a questa parte; sarebbe stato
interessante, parallelamente alla musica, trovare una parola nuova che
illuminasse questa tensione timbrica che ci caratterizza, come fece tempo fa la
PFM che coniò il termine “musica immaginifica”. Risentendo decine e decine di
volte il master di Eros & Thanatos
prima della pubblicazione molte persone a me vicine (tra cui il collega Gigi
Rivetti) posero l’accento sul fatto che l’orchestra enfatizzava moltissimo la
cifra cinematografica di alcuni brani. Lo trovai degno di spunto e anche
originale… un nuovo termine agile, d’impatto e che suonasse bene per definire
la musica dei Syndone, ma tradotto in inglese: movierock … credo sia perfetto.
L’utilizzo di
importanti special guest in questa nuova fatica che risultati ha portato?
La guest star è
fondamentale per far si che chi ancora non ti conosce sia invogliato a comprare
il tuo disco e poi a seguirti. Molte persone si fanno convincere ad acquisire
un disco dal tam tam vocale, ma ci sono persone a cui questo non basta:
invitare un musicista famoso a collaborare nel tuo progetto, oltre essere un
punto d’onore per la band, è anche un modo sottile per allargare il tuo
pubblico, che è poi quello che ti compra, insomma lo zoccolo duro che ti
permette di lavorare. Certo è un investimento importante ma che alla lunga dà i
suoi frutti. In Eros & Thanatos
abbiamo avuto il famoso Steve Hackett nell’ultima traccia dell’album e il
grande Ray Thomas dei Moody Blues nella terzultima, che peraltro aveva già
suonato nella Bella è la Bestia. E’
ancora troppo presto per fare considerazioni (in quanto il disco è fuori da
meno di un mese) ma credo che la presenza dell’ex chitarrista dei Genesis unitamente
alla bellezza del suo intervento chitarristico sul nostro brano sarà un grande
valore aggiunto per il nostro progetto.
Negli ultimi
anni la band è stata molto presente sul mercato discografico, sembri più
ispirato ora che ventiquattro anni fa, quando esordisti con Spleen…
Non c’è paragone tra il
background musicale che ho adesso e quello dei primi tempi di Spleen e Inca. Allora ero un musicista spontaneo ed istintivo, che per
alcuni aspetti può anche essere un’attitudine vincente perché non sottostai a
nessuna regola e puoi andare a briglia sciolta (i Beatles erano totalmente
istintivi e non conoscevano assolutamente il pentagramma, ne volevano
conoscerlo per non perdere tale spontaneità). Purtroppo in un genere come il
progressive sinfonico, così strutturato e organizzato nelle parti, devi essere
coadiuvato da una notevole preparazione teorica, specialmente quando si sceglie
di dare grande preponderanza all’orchestra. Se non hai studiato orchestrazione
e strumentazione è facile fare degli errori di scrittura che poi si traducono
in problemi tecnici di chi esegue e, a volte, in problemi timbrici e d’insieme.
Io stesso mi accorsi a metà degli anni 90, dopo Inca, che se volevo andare avanti avrei dovuto fermarmi e studiare.
Dopo tanti
anni di carriera ti sei mai fermato per fare un resoconto di tutto quello che
hai vissuto e creato come musicista?
Si continuamente!
Sempre mi chiedo se ne è valsa davvero la pena, se tutti i sacrifici che ho
fatto, le rinunce, le delusioni subite, i momenti felici e dolorosi, i litigi e
le risate con i colleghi, le notti insonni passate a guidare furgoni carichi di
strumenti in tutti questi anni e quant’altro abbiano contribuito ad aggiungere
un tassellino alla storia della musica italiana… sarò ricordato con amore per
quello che ho scritto? Sono queste le cose che in genere si chiede una persona
che ha fatto dell’arte e della musica il proprio stile di vita e la propria
missione. Un giorno il Maestro Azio Corghi mi disse che se la mia musica avesse
contribuito ad emozionare e a ridare una speranza anche ad una sola persona
sulla terra io avrei assolto il mio compito e ne sarebbe valsa la pena. Ora la
tenacia mi sta dando ragione, Syndone è un progetto in espansione e il pubblico
che ci siamo conquistati concerto dopo concerto non ci abbandonerà più. Il
segreto è non mollare mai anche quando sembra che tutto non abbia più senso.
Cosa
significava suonare progressive ad inizio ’90?
C’era indubbiamente, in
quel periodo, una certa attenzione di revival attorno a questa musica, erano
gli anni del “new prog 90” e parecchie produzioni ebbero davvero fortuna. Non
durò molto, giusto tre o quattro anni poi come nacque svanì. Fu in un certo
senso un fuoco di paglia che durò pochissimo ma che riaccese un po’ le speranze
per chi come me ama e amava questo genere. Non vi fu il tempo di consolidarci
come band ma riuscimmo a registrare due album di discreto successo Spleen e Inca per la Vinyl Magic e a portarli dal vivo in trio. In quegli
anni alla gente che seguiva e aveva seguito dieci anni prima il prog classico
degli anni 70 non interessava il new prog, mentre le nuove generazioni, venute
su a pane e disco music, non lo capivano. Quindi fu molto difficile per Syndone
sia suonare dal vivo sia convincere etichette importanti a prenderci sotto il
loro management.
Quanto è
difficile portare una proposta del genere in sede live? Che progetti hanno ora
i Syndone per il futuro?
In genere se non sei
una tribute band non vieni neanche considerato. Oggi vanno molto le tribute
band perché la gente sa già cosa aspettarsi dal concerto… cioè non rischia, paga
un biglietto per poter riascoltare un artista che non c’è più o un gruppo del
passato che si è sciolto a cui è affezionato e rivive certe emozioni che non
potrebbe più avere con l’originale. Però: “nihil sub sole novi”! Proporre
progetti nuovi ora come ora è difficilissimo. Bisogna essere molto sicuri di
quello che si vende e a chi si vuole arrivare. Per quanto riguarda Syndone c’è
una volontà di allargare da un genere di nicchia verso un’audience più vasta
per cui non solo dobbiamo riuscire a vendere un prodotto di musica originale ma
pure crossover! I nostri progetti per il futuro sono quelli comuni a tutte le
band: suonare dal vivo e fare più concerti possibili perché ormai il mercato
musicale poggia sulle esecuzioni dal vivo e sui live… non più sulle vendite dei
CD. Ogni due anni circa usciamo con un album nuovo in cui riversiamo nuova
musica e nuove idee che noi crediamo possano innalzare l’asticella della
qualità rispetto al lavoro precedente. Finora ci siamo riusciti, speriamo in
futuro di riuscirci ancora e non deludere i nostri fan.
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