venerdì 29 aprile 2016

Land of blue echoes, il ritorno di Marco Ragni

Abbiamo incontrato Marco Ragni, autore prolifico e passionale, che ci ha raccontato la nascita del nuovo album e i progetti futuri ...

Sono passati  due anni  dal  doppio  Mother from the sun, album di  cui parlammo proprio da  queste pagine, come è trascorso questo periodo e cosa dobbiamo aspettarci dal nuovo album?

 

Il periodo tra il  mio precedente disco e Land of blue echoes è trascorso pensando quasi da subito alla  realizzazione di quest’ultimo. Avevo molte idee in testa e quasi da subito mi sono messo a lavorare. Avrei voluto suonare live molto di più, ma la situazione italiana non è delle più rosee e anche l’idea di un tour extra europeo è tramontata per problemi di budget. Così ho pensato ad elevare il mio livello di compositore e musicista e come fosse possibile fare un salto di qualità a tutti i livelli. In particolare il 2015 è stato un anno molto ricco di idee, conoscenze, nuove esperienze. Land of blue echoes è in effetti il mio miglior album per quanto riguarda la produzione e anche la musica ha fatto un salto di qualità.

 

Hai   un   suono  poco  italiano,   incidere   per  un’etichetta   americana influisce sul tuo modo di scrivere?

 

No, direi di no. Mi piace scrivere e suonare quello che più mi piace. Non  ho  mai  avuto un  sound italiano perchè in effetti i miei ascolti musicali sono sempre stati molto internazionali.

 

Prog, psichedelia, folk,  tutti  elementi  che contraddistinguono  la  tua proposta,  ma   allora   quali   e quanti  sono  i  riferimenti  della tua  vita musicale?

 

Principalmente sono un amante  della  psichedelia  anni '60, del progressive e di tutto quel sottobosco   definito “Indie” che comprende molti generi che non hanno troppi vincoli commerciali. Mi piacciono molto la black music e il funk.

 

Etichette  a  parte  il  tuo  songwriting  appare  molto improntato  sulla capacità  di comunicare  ed emozionare  chi  ascolta, è questo che ti porta al desiderio di comporre?

 

Scrivere musica è per me la più alta forma di libertà. Ogni volta che imbraccio una chitarra o suono qualsiasi altro strumento lo faccio perchè mi fa sentire vivo. E’ difficilissimo da  spiegare ciò che provoca in me la composizione. E’ una  marea di emozioni, miliardi di colori, luci  e ombre. Spero sempre che la mia  musica porti tutti gli ascoltatori in svariati mondi emozionali.

 

Nel nuovo Land  of blue echoes troviamo diversi  ospiti,  come hanno contribuito e che tipo di apporto hanno dato all’album?

 

Sentivo il bisogno di avere nuovi stimoli così ho coinvolto un po' di musicisti della Melodic Revolution Records e un paio di Stars che avevo conosciuto qualche tempo fa. Durga McBroom la corista dei Pink Floyd e di Gilmour e Fernando Perdomo chitarrista della Dave Kerzner Band e di molti altri tra i quali il mitico Todd  Rundgren e Beck. Ognuno ha contribuito in maniera decisiva mettendo la propria anima in quello che faceva e seguendo quello che era lo spirito di questo album. Ho lasciato piena libertà di espressione a tutti, a parte le melodie vocali di Durga che ho scritto appositamente per la sua voce. Sapevo che questa libertà avrebbe portato ottimi risultati. Sono molto soddisfatto del lavoro fatto. Spero che anche gli ascoltatori si lasceranno conquistare dalle melodie e  dalle armonie di questo disco in bilico tra passato, presente e futuro.

 

Come mai  hai  deciso di non avere una band fissa ma di registrare, divincolandoti tra più  strumenti, quasi in solitaria? Non  senti  mai  il bisogno di confrontarti con qualche altro musicista?

 

E’ una scelta artistica. Per anni mi sono dovuto accontentare di essere parte di qualcosa, non esprimendo mai a pieno le mie potenzialità e la mia voglia di sperimentare cose nuove. Non sono mai riuscito con una vera e propria band ad  avere il suono che avevo in mente così un giorno ho deciso che era meglio per me fare da solo ed eventualmente trovare dei bravi session man che mi potessero dare una mano dove io mancavo. Questa scelta ha fatto sì che io sia anche riuscito ad ottimizzare molto i tempi e a registrare 6 album in 6 anni, cosa impossibile con qualsiasi altra formazione io   abbia avuto. Avendo molti amici musicisti mi confronto spesso con loro, ma preferisco concentrarmi da solo per quanto riguarda la composizione. Ciò non  toglie che il desiderio di avere una band tutta mia sia sempre presente, magari solo per il live.

 

Non tutti conoscono la tua carriera, iniziata in realtà molti anni fa, ci vuoi fare una sintesi delle tue esperienze?

 

Ho iniziato a strimpellare la chitarra affascinato da Jimi Hendrix e a cantare ammaliato dai cori dei Beatles. Ho avuto la mia prima band a 17 anni, facevamo psichedelia molto sperimentale, inascoltabile! Poi dopo aver frequentato una sala prove della mia città sono entrato in contatto con tutto il sottobosco di musicisti che ne facevano parte e ho cominciato a scambiare informazioni cercando di carpire ogni piccolo segreto da chi era più bravo di me. Fin da subito mi sono reso conto che la chitarra non mi bastava e così mi comprai una tastiera e un multitraccia della fostex e iniziai a registrare i miei primi album. Suonai con gli Iaonsei per due anni, un prog italiano dalle tinte Barrettiane e nel 1990 - dopo una  serie di album autoprodotti - formai insieme ad un amico una band di Wave psichedelico i Deshuesada. Registrammo 2 album in studio, un live e suonammo per un  anno di fila in tutti i club del paese e in alcuni importanti festival. Poi dopo la grande abbuffata rimasi  un pò  in  silenzio fino ad approdare nel 1999 in una band di rock grunge italiano. Fu un momento di passaggio che però mi diede la consapevolezza per intraprendere la mia carriera solista che sarebbe  iniziata definitivamente nel 2008. Nel 2003 entro nei Mokers, un gruppo di funk psichedelico con i quali scrivo un disco e un EP nel 2004/2005. Da lì in poi tutta la mia produzione solista è fatta di 6 album, 2 Ep, 2 Live e una raccolta commemorativa dei miei  primi 20 anni di carriera.

 

Quali sono i tuoi ascolti attuali? C’è qualche novità che ti entusiasma o preferisci ripassare i vecchi classici?

 

Ascolto molto underground perché credo ci sia ancora voglia di sperimentare e perché c’è sempre qualche spunto interessante da far mio. Una band che mi ha entusiasmato dal vivo e che mi piace molto sono i texani Midlake. Niente male anche i War on drugs o Jonathan Wilson (che mi  piacerebbe avere nel prossimo disco!). Vado matto per i vecchi Ozric Tentacles, i Porcupine Tree fino a Lightbulb Sun e ovviamente non manco mai di farmi un salto dalle parti di Haight Ashbury per ascoltarmi i Grateful Dead o i Jefferson Airplane oppure nella Swinging London. Adoro anche tutta la black music. Invece non ascolto mai Heavy Metal e Hip Hop. Troppo duri per i miei gusti.

 

Che cosa ti aspetti da questo ultimo disco?

 

Non ho mai grandi aspettative quando faccio un disco. Cerco solo di migliorare il precedente o di fare qualcosa che possa soddisfarmi fino in fondo. Appena finisco un album ne ho già subito un altro in mente!

 

Ultima domanda: quante possibilità ci sono di vederti dal vivo con una band di supporto?

 

Ci sono ottime possibilità! C’è un progetto con sei musicisti di cui ancora non voglio parlare molto ma che vedrà la luce tra breve. Farò delle date anche quest’estate, prevalentemente acustiche o in trio. Poi in autunno spero ci saranno interessanti novità per quello che riguarda l’organizzazione di un tour europeo. Ci vediamo presto!



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