Era
il 2014 quando i Winter dies in June (Filippo Bergonzi al basso, Andrea Ferrari
alla batteria, Alain Marenghi alla voce e ai synth, Luca Ori e Nicola Rossi
alle chitarre) esordivano con The soft
century, disco che metteva sul piatto già delle discrete idee, qui
rafforzate da un concept che narra la storia partendo dalla conclusione. Penelope, Sebastian, uscito nel 2018, è
la storia di un legame tra due individui, dal momento dell’abbandono sino
all’istante prima della conoscenza, una trama dove gli emiliani hanno messo
leggermente da parte la spinta rock delle chitarre e gli arrangiamenti
orchestrali a favore di un’attitudine dream pop e shoegaze. Indie ed elegante synth pop vanno a braccetto, oscillando tra gli
anni ’90 e quanto accaduto nelle decadi successive, con citazioni di Keane,
Coldplay, Black Tail e Death Cab for Cutie, influenze riscontrabili nelle
melodie di Aeroplanes e nella vena
agrodolce di Sands, i due pezzi
iniziali che instradano lungo un percorso sentito e proficuamente narrativo.
Maggiormente folk la vena descrittiva di Sebastian,
a cui fa seguito una Boy decisamente
più vicina al rock britannico, prima della gradevole Nowhere e dell’accattivante carica emotiva di Space. L’altra protagonista è Penelope,
raccontata con derive post, Different
chiude infine l’album, lasciando buone sensazioni all’ascoltatore, conscio di
essere alle prese con una band interessante e che ha ancora tanto da dire.
(Luigi Cattaneo)
Aereoplanes (Video)
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