Band boliviana di cui si conosce
poco e che esordì nel 1973 con questo El Inca, un lavoro che metteva
insieme tutte le influenze del periodo, dal folk al blues, passando per
progressive rock e hard. Poco più di 30 minuti in cui il quintetto formato da
Nataniel Gonzalez (voce), Pedro Sanjines (organo e piano), Omar Leòn (basso),
George Cronembold (batteria) e Carlos Daza (chitarra), lasciava intravedere
buone doti di scrittura e interessanti capacità tecniche, inserendo all’interno
della loro musica anche strumenti come flauto, violino, violoncello, fagotto e
oboe. L’ambizione non mancava alla band, che negli anni ha proposto parecchi
album di matrice puramente folk (l’ultimo lavoro risale al 2001), allontanandosi
da quanto proposto in questo esordio. La title track iniziale ci presenta un
gruppo che guarda al folk progressivo di fine ’60 inizio ’70, con tanto di
archi a creare la giusta atmosfera classicheggiante, Realidad ha invece
un attacco maggiormente rock blues, mentre Canciòn de una nina triste è
una ballata che chiude in maniera soffusa e malinconica il lato A del disco. La
seconda parte si apre con l’ottima Wara, il brano più aggressivo dei 5,
un hard blues ben calibrato e con vibranti parti strumentali, prima di Kenko,
finale che conferma l’amore per certe strutture care a Deep Purple e Uriah
Heep. (Luigi Cattaneo)
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