giovedì 21 marzo 2013

RICCARDO SCIVALES, 30 Anni di Musica




Quanah Parker 1981-1985 line-up:
da sinistra Roberto Noè, Riccardo Scivales, Giuliano Bianco e Roberto Veronese


Riccardo Scivales (www.riccardoscivales.com) ha un vissuto che definirei “particolare”. Praticamente sconosciuto in Italia ma scrittore/compositore/arrangiatore molto apprezzato in America, Riccardo ha da poco riformato i Quanah Parker (www.quanahparker.it, http://youtu.be/LnBEirkpLQk), band molto apprezzata nel Veneto ad inizio anni ’80, dove lui è tastierista nonché autore di tutte le composizioni. Persona di enorme spessore musicale ci ha raccontato delle sue pubblicazioni estere, delle collaborazioni con personaggi di spicco della scena progressiva e del ritorno della sua band avvenuto grazie all’affetto dei fan di vecchia data…  

Riccardo, con la tua band, i Quanah Parker, siete stati attivi dal 1981 al 1985, ma come mai non pubblicaste nulla di ufficiale?
Abbiamo inciso alcuni demo grazie ad un 4 piste e ad un nostro amico, Roberto Lucano, che era un ottimo tecnico del suono. Li registravamo nel garage del chitarrista che era adibito a studio di registrazione, con tanto di gabbiotto per la batteria. Chiaramente il risultato che si otteneva non era quello di un vero studio di registrazione ma riuscivamo a documentare in modo eccellente il nostro lavoro. Ci esibivamo spesso live anche perché la zona era piena di gruppi che suonavano e noi eravamo piuttosto conosciuti nell’ambiente mestrino e veneto.

Riuscivate quindi ad avere una vostra attività live anche se la moda musicale del momento era un’altra…
Diciamo che noi eravamo un po’ fuori dalla massa imperante di inizio anni ’80 e dal periodo New Wave che a me non piaceva affatto. Io ho sempre ascoltato di tutto, dalla musica classica a quella celtica, dal jazz al progressive di Genesis, Yes, Emerson Lake & Palmer ma anche Le Orme e il Banco. Sono stato influenzato da tastieristi come Wakeman, Emerson, Banks, i fratelli Nocenzi e il troppo spesso dimenticato Rick Van Der Linden degli Ekseption. Quindi capirai come personalmente nella New Wave non ci trovavo nulla di interessante. Suonare prog in quel momento fu anche una sorta di ribellione, così come la scelta del nome Quanah Parker. All’epoca ero affascinato dai pellerossa e in un libro trovai una foto di Quanah Parker, un capo comanche dallo sguardo magnetico. Il suo nome mi sembrò perfetto per una band anche perché egli può essere considerato un personaggio prog ante-litteram, in quanto pur essendo un grande guerriero capì che doveva integrarsi con i bianchi e divenne perfino un abile uomo d’affari, e fece questa scelta non per paura ma perché aveva capito che questo era l’unico modo possibile per salvare il suo popolo. Inoltre fu l’artefice della Chiesa dei Nativi Americani che, pensa un po’, era basata sull’uso del peyote! Quindi un personaggio curioso e in grado di sintetizzare diverse culture, e come sappiamo questa è un po’ una caratteristica del prog che, diversamente da altre forme di rock, vive di commistioni tra generi diversi.

Ma come nasce un progetto del genere in un periodo meno fertile per il prog?
Solo per la passione verso quella musica, anzi ero del tutto ignaro che ci fosse una rinascita del prog, il cosidetto neo-prog di Marillon, IQ o Pendragon. Noi vivevamo la situazione in maniera molto tranquilla, suonavamo i nostri pezzi e non si facevano cover. Non pensavamo ad altro. Poi arrivò il servizio militare e il gruppo si sfaldò, anche perché si partiva in periodi diversi e ci mancò la continuità per proseguire.

Oltre a te chi erano i membri originali dei Quanah Parker?
Roberto Noè era il chitarrista, Roberto Veronese suonava il basso e so che adesso suona il contrabbasso in un gruppo jazz, il batterista era Giuliano Bianco con il quale ho poi suonato per dieci anni nella mia band di musica afrocubana Mi Ritmo, e di cantanti ne abbiamo avuti diversi: Alfio Bellunato, Alessandro Monti che ha poi pubblicato dei bellissimi dischi di musica più sperimentale e infine la cantante Maddalena Cutaia, anche se Alessandro è stato quello che ha passato più tempo all’interno dei Quanah Parker (e ha fornito anche l’ispirazione per vari testi). Nel gruppo convivevano più anime, come probabilmente avviene in ogni band progressiva. Roberto Noè adorava i Genesis e Adrian Belew, mentre la sezione ritmica era più vicina alla fusion e quindi questo creava delle situazioni interessanti con le quali confrontarmi, visto che quasi tutti i brani li scrivevo io (gli altri erano scritti da Roberto Noè).

C’erano locali che offrivano la possibilità di suonare live a giovani band come la vostra?
C’erano meno possibilità rispetto ad adesso. L’attività live dei gruppi rock si svolgeva soprattutto nei “dancing”, oppure in teatri o in festival e rassegne che si tenevano nei parchi della città. Ricordo un concerto di noi Quanah Parker ad una rassegna al Parco di Villa Ceresa a Mestre e altri concerti in alcuni teatrini parrocchiali o di quartiere.

Ma notavi delle difficoltà maggiori rispetto a qualche anno prima per esibirsi dal vivo o le possibilità erano già ridotte?
Era comunque già molto difficile imporsi dal vivo sul finire dei ’70, quando militavo in altre band, perché non c’era un giro di locali che ti dava la possibilità di far questo. In questa zona l’avvento della New Wave non cambiò le carte in tavola e non peggiorò la situazione già complessa di suo. C’era sì fermento culturale ma uscire dall’anonimato era difficile, a meno che tu non avessi un manager che ti permetteva di puntare in alto ma noi eravamo molto giovani e non avevamo quella mentalità. Noi eravamo appagati di suonare ciò che ci piaceva e basta.

Negli anni ’70 si percepiva la sensazione di vivere un momento musicale storico per l’Italia?
Più che altro vivevamo tutto come un evento. L’uscita di un disco era un evento così come i concerti del Banco, degli Area, di Santana, di Wakeman a cui ho assistito erano qualcosa che definirei “spirituale”. Un’altra grossa differenza con l’attualità è che pur avendo mezzi musicali più esigui venivano fuori cose molto originali. Prendiamo le tastiere analogiche di un tempo e confrontiamole con quelle attuali che hanno molti più suoni a disposizione e notiamo subito come il paragone non regge. A volte ho come la sensazione che adesso siano gli strumenti a guidare il musicista e non il contrario. Era un suono davvero unico quello delle tastiere analogiche. Detto questo, per motivi squisitamente pratici attualmente uso solo strumenti digitali, e in tal senso mi hanno molto affascinato e influenzato le sonorità usate da Rick Wakeman in DVD suoi e degli Yes come The Ultimate

Dopo lo scioglimento dei Quanah Parker tu hai continuato ad occuparti di musica. Vuoi illustrarci quali sono state le attività successive ai Quanah?
Per dieci anni circa, come ti accennavo prima, ho suonato con la mia Latin band Mi Ritmo, sempre facendo pezzi da me composti (e molti di questi pubblicati a stampa negli USA), e ho suonato come pianista in vari spettacoli teatrali. A partire dal 1990 ho scritto per la Ekay Music e la Neil A. Kjos Music Company numerosi metodi e libri di trascrizioni di assoli di pianoforte jazz indirizzati soprattutto al mercato americano e inglese: hanno avuto un grosso successo e ancora adesso ricevo richieste di lavoro e lettere di complimenti per quei libri. (Vedi ad esempio: http://www.amazon.com/The-Right-Hand-According-Tatum/dp/0943748852 e http://www.amazon.com/Jazz-Piano-Steinway-Library-Music/dp/1929009542) Poi iniziai a scrivere vari arrangiamenti pianistici e cominciarono a pubblicarmi questi materiali anche su alcune riviste guidate dal mio editore newyorkese Ed Shanaphy, una delle quali è Piano Today, una straordinaria rivista per musicisti. Successivamente, su queste riviste sono state pubblicate anche numerose mie composizioni, e recentemente anche vari miei arrangiamenti pianistici di brani prog degli Yes, di  Rick Wakeman, ma anche degli stessi Quanah Parker, come Prelude to “Sailor Song”, Chant of the Sea-Horse e After the Rain. A quanto ne so (e lo dico con molto orgoglio), i Quanah Parker probabilmente sono l’unica prog band italiana che ha al suo attivo delle composizioni originali pubblicate a stampa all’estero e più in particolare negli USA. La cosa bella è che vari lettori hanno scritto a queste riviste per manifestare il loro entusiasmo per questi materiali prog! Per Chant of the Sea-Horse ho anche ricevuto una lettera personale di apprezzamento da parte del grandissimo pianista jazz Dick Hyman, autore tra l’altro dello storico LP del 1969 MOOG: The Electric Eclectics of Dick Hyman, contenente il grande successo The Minotaur, che tanto influenzò Keith Emerson in Lucky Man all’epoca. Sempre nel campo dell’editoria musicale, negli anni Novanta ho tradotto e curato tutti i volumi italiani della celebre serie didattica statunitense BASTIEN per lo studio del pianoforte. Per motivi contrattuali, il mio nome non compare in copertina come traduttore, ad ogni modo ho tradotto tutti i 34 volumi finora usciti in edizione italiana, e per una decina d’anni ho girato periodicamente l’Italia come interprete di Jane, Lisa e Lori Bastien ai loro seminari per diffondere questa metodologia nelle scuole di musica italiane. Obiettivo pienamente raggiunto, dato che il metodo Bastien è diventato il più diffuso anche in Italia oltre che nel resto del mondo! Inoltre per diversi anni ho scritto per le riviste di musica “Blu Jazz”, “Jazz” e “Musica Jazz”, e anche per il quaderno musicologico “Ring-Shout”, diretto da Vincenzo Caporaletti dei Pierrot Lunaire. Sempre riguardo al jazz ho collaborato a RAI-RadioTre come autore di circa trecento puntate dei programmi Galleria del Jazz e Archivio del Jazz sulla storia di questa musica. In tempi più recenti, ho insegnato anche in conservatorio per 2 anni dove gestivo un corso specialistico sull’improvvisazione e la composizione nel ragtime e nello stile pianistico stride-jazz degli anni ’20 a New York. Ora insegno pianoforte moderno e tastiera elettronica in alcune scuole di musica di Venezia e Treviso e da circa dieci anni sono docente di “Civiltà Musicale Afro-americana” all’Università Ca’ Foscari di Venezia dove quest’anno il tema saranno proprio gli Yes e la storia del prog!

So che hai anche collaborato con Donella Del Monaco degli Opus Avantra…
Mi contattò nel 1999 per un disco, una raccolta di brani veneziani che prese poi il titolo di Venexia de oro. Inizialmente mi diede una casetta dove Alfredo Tisocco suonava alle tastiere l’accompagnamento di un brano meraviglioso, E mi me ne so ‘ndao, che pare sia il più vecchio pezzo veneziano che conosciamo. Donella mi chiese di trascrivere su spartito l’accompagnamento di Tisocco e di andare in studio con lei per inciderlo. Il mio nome non compare nei credits del disco, ma la tastiera-chitarrona che senti in quasi tutto il brano l’ho suonata io. Puoi sentirlo su YouTube http://youtu.be/cvgx7X-ngAI e sul sito di Donella http://www.donelladelmonaco.com/media/venexia_de_oro-e_mi_me_ne_so_ndao.mp3

Ricordi qualche band della zona particolarmente interessante?
Oltre Le Orme non c’era moltissimo. Gli Opus Avantra erano molto sperimentali, erano un gruppo d’avanguardia e non riuscirono mai ad elevarsi al di sopra del gruppo di culto. Io personalmente ascoltavo il prog tipico di Banco e P.F.M. oltre che i già citati Genesis e Yes, e ovviamente i dischi solisti del mio eroe Rick Wakeman. Ripeto, pensando ai gruppi di un certo tipo presenti in zona a me vengono in mente solo Le Orme. Tra l’altro con Tony Pagliuca ho anche avuto una piccola collaborazione per un suo progetto che purtroppo non è mai riuscito a pubblicare. Ricordo però che gli erano molto piaciuti 3-4 brani da me scritti e che voleva utilizzare per quel disco. C’era poi un gruppo, Il Mucchio, che ha inciso solo un disco, e uno dei suoi tastieristi (Sandro Zane) è stato successivamente un mio allievo per 2 anni. Qualche anno fa hanno anche tenuto dei concerti qua in zona ma poi son spariti di nuovo.

Secondo te a cosa è dovuto l’interesse di questi ultimi anni verso il prog dei ’70?
Alla straordinaria bellezza di questa musica. Secondo me non ci sono particolari filosofie dietro il ritorno d’interesse per il prog, e aggiungerei che mai come in questo caso il valore di un prodotto esce fuori alla distanza, con il passare del tempo.

Proprio però grazie a questo interessamento hai riformato i Quanah Parker…
Sì, è vero. Difatti alcuni vecchi fan hanno iniziato a scrivermi tramite mail chiedendomi di riformare il gruppo e così che ho iniziato a guardarmi attorno per trovare i musicisti adatti. Il primo nuovo membro è stato il chitarrista Giovanni Pirrotta, che è anche un mio collega in una scuola di musica, poi ho contattato Giorgio Salvadego, bassista, che già aveva suonato con i vecchi Quanah e un batterista di cui mi avevano parlato molto bene che è Paolo Ongaro, oltre che Andrea Cuzzolin come cantante. Con questa formazione abbiamo dato vari concerti e nel 2007 abbiamo partecipato con successo ad una importantissima rassegna internazionale a Mestre, MusicaContinua, dove suonarono anche gli Hatfield & the North. Tra l’altro c’è in ballo una collaborazione con Richard Sinclair che è stata frenata da cambi di line-up, perché sempre nel 2007 è subentrato al basso Francesco Calabrò e successivamente alla voce Sara Righetto. Inoltre, quando Paolo Ongaro è impegnato con il lavoro collabora con noi il nostro validissimo alternate drummer Massimiliano Conti. Capirai come anche la realizzazione di un disco è stata frenata da questi problemi. Abbiamo comunque realizzato un demovideo in DVD che è stato anche ben recensito sulle pagine di Movimenti Prog e abbiamo inciso un mini cd dal titolo After the Rain.

Segui un po’ la scena prog italiana attuale?
R: Non molto purtroppo perché il tempo è davvero poco. Oltre il lavoro e i Quanah Parker sto provando anche con una tribute band degli Yes, i Ritual, che mi porta via altro tempo ancora!

(Dichiarazioni raccolte da Luigi Cattaneo e Marco Causin il 10 aprile 2009)

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