Uomini umili popoli liberi è stato l’unico vagito
progressivo della band padovana Eneide, edito nel 1973. Storia bizzarra quella
del gruppo. Dapprima alcune date di spalla a mostri sacri del rock progressivo
come Genesis, Van Der Graaf Generator e Atomic Rooster e poi un album
registrato sul finire del 1972 per la Trident, in realtà mai pubblicato dall’
etichetta a causa del proprio fallimento! Difatti il disco è stato immesso sul
mercato dapprima nel 1990 grazie alla caparbietà della band e all’aiuto della
Black Widow e poi pubblicato in cd tramite la Mellow Record. I veneti, molto
giovani all’epoca (erano tutti minorenni), proponevano delle sonorità molto
vellutate che richiamavano alla mente gruppi come P.F.M. e Jethro Tull ma anche
improvvisi sbalzi hard di stampo Atomic Rooster e Deep Purple. Oltre a
Gianluigi Cavaliere, voce e chitarra della band, gli Eneide erano formati da
Adriano Pegoraro (chitarra, flauto e voce), Carlo Barnini (tastiere), Romeo
Pegoraro (basso) e Moreno Diego Polato (batteria). L’iniziale Cantico alle stelle ha un’apertura molto
melodica e semplice che nella seconda parte viene contrassegnata dall’utilizzo
efficace e convincente dell’organo Hammond di Barnini che porta il brano verso
territori maggiormente affini al rock progressivo. Cantico alle stelle appare come un preludio alla successiva Il male, brano decisamente più energico
del precedente. Polato e Barnini conducono, insieme ad una vocalità molto più
aggressiva, la traccia in prossimità di un hard rock britannico, dove il tutto
viene smussato solo dall’uso del flauto fatto da Adriano Pegoraro che ricorda
Martin Grice dei Delirium. Non voglio
catene è invece il brano che più si avvicina agli stilemi progressivi
dell’epoca ed è l’unico che supera i 5 minuti di durata. Ottima la parte
centrale della composizione che vede in prima fila Barnini con tanto di
MiniMoog e la chitarra di Cavaliere finalmente in evidenza. La parte finale è
affidata ancora una volta alle mani di Barnini che si muovono agili sulla
tastiera del suo Hammond. Fin qui quindi il disco pur non lasciando trasparire
elementi di innovazione risulta assolutamente gradevole. Canto della rassegnazione è una breve e malinconica ballata a cui
fa seguito la strumentale Oppressione e disperazione in cui si
possono ascoltare umori hard e inflessioni rock blues dettate dagli intrecci
tra Hammond e chitarra. Altro brano strumentale è la successiva Ecce homo dominato in larga parte dal
suono delle tastiere di Barnini, Minimooog ed Eminent in primo piano sui quali
si intrecciano ottime parti di flauto e di chitarra. La title track riporta la
band verso suoni di stampo hard rock con il flauto posto a contrastare le
spigolosità del cantato ma il brano non aggiunge molto di più al discorso fin
qui portato avanti. Più interessante Viaggio
cosmico, che dapprima ci conduce in territori “spaziali” grazie alle
tastiere di Barnini e poi nella seconda parte si trasforma in lenta ballata
dove la voce di Cavaliere viene prontamente supportata dalla chitarra acustica
e dal violino. Sulla stessa lunghezza d’onda è la breve Un mondo nuovo, altra ballata acustica con tanto di violino e
flauto che però risulta poco incisiva e non lascia grandi segni. Chiude il
disco una ripresa dell’iniziale Cantico
alle stelle. Uomini umili popoli
liberi anche a distanza di tanti anni dalla sua creazione risulta
sicuramente godibile ma alquanto radicato all’interno di suoni di cui i
padovani sono debitori e che rimandano tanto al progressive inglese che a
quello italiano. Novità direi che non ci sono ma l’ascolto di questo debut può
risultare sicuramente interessante e piacevole per gli appassionati e i
completisti della materia! (Luigi Cattaneo)
Non Voglio Catene (Video)
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