lunedì 29 settembre 2014

SYCAMORE AGE, Sycamore Age (2012)


Un debut capace di sedurre e attrarre attraverso una ricerca protesa a sviluppare un discorso in cui coniugare le lusinghe melodiche del pop colto, le voglie di un rock di matrice cantautorale, i desideri progressive accennati e forse nemmeno troppo voluti, i riferimenti all’indie folk in voga in Italia. Tanta carne al fuoco, persino troppa. E a volte i Sycamore Age sembrano proporre senza concludere del tutto. Un peccato veniale, sia chiaro, che non inficia il risultato ma fa pensare che ancor meglio si farà. Perché i sette toscani sono bravi nel distillare elementi originali attraverso inflessioni diverse tra loro che con maestria ben si collocano dentro il loro suono. Che non è quello dei Genesis o degli Yes ma si avvicina in alcune parti a quello sofisticato dei Caravan (pur senza rendere particolare omaggio agli inglesi) ma anche di gruppi di confine più attuali come i Radiohead e l’immortale Jeff Buckley, ricordato in alcune parti vocali.
Ci si stupisce dinnanzi all’opener Binding Moon, quasi 8 minuti in cui esprimono tutto il loro potenziale e in cui vengono utilizzati strumenti particolari come oboe e trombone . Si colgono le reminiscenze alternative folk di casa Fleet Foxes in At the biggest tree, l’utilizzo accorato del violino in Romance e ci si lascia cullare dalle splendide ed oblique melodie del clarinetto nella suggestiva Astonished Birds. Un altro piccolo gioiello risponde al nome di My Bifid sirens, brano ricco di sfumature e davvero ben congegnato in cui è possibile distinguere l’utilizzo mirato della tromba, mentre decisamente più dura e distorta è Heavy Branches che ha la capacità di mostrare un altro lato della personalità del settetto. Un disco da scoprire, anche nei momenti meno riusciti (Kelly, Dark and pretty) perché frutto di soluzioni curiose ma mai criptiche e astruse, deliziose e non banali.
Un esordio imperfetto ma eclettico e intelligente. E non è cosa da poco.

Binding Moon (Video)

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