Giovanissimi ma già
maturi, arrivano all’esordio i Finister (Elia Rinaldi voce e chitarra, Orlando
Cialli tastiere, synth, piano e sax, Leonardo Brambilla al basso e Lorenzo
Burgio alla batteria), con un disco, Suburbs
of mind, qualitativamente alto e che mostra un piglio che oscilla tra
psichedelia, wave e indie rock. Le iniziali pulsioni progressive (forse più
evidenti nell’ep Nothing is real del
2012) si sono difatti arricchite di elementi differenti, un vero e proprio
substrato composito che ha portato ad un risultato di forte impatto sonoro, che
parte dai Doors e arriva ai contemporanei Muse. In queste dieci tracce emergono
ossessioni, rabbia, inquietudini ma anche ottimismo, sensazioni che si manifestano
con chiarezza in un bel debut album. I toscani sono stati abili nel creare un
lavoro che riesce a fondere melodie catchy con il crossover tra generi, partendo forte con l’esplosiva verve
di The morning star. Bite the snake, con il suo ritmo
serrato, fraseggi settantiani e una coltre psichedelica è il singolo scelto per
presentare il platter, prima della bella ballata The way (I used to know). A
decadent story continua a mostrare il lato psych del gruppo, My howl aggiunge spore prog dettate
anche dal violoncello di Lea Galasso, pur mantenendo ben salde radici
psichedeliche, mentre Levity gioca
maggiormente con significativi elementi elettronici. Oceans of thrills è uno dei momenti più interessanti e le presenze
della Galasso e di Davide Dalpiaz al violino accentuano il lato emozionale
della proposta, pur se non sono da meno The
key e Here the sun, capaci di
essere raffinate e prorompenti. Trascinante anche il finale di Everything goes back, buonissima
conclusione di un disco equilibrato e pieno di felici intuizioni. (Luigi Cattaneo)
The way (Official Video)
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