Uscito nel 2020 (ben
dieci anni dopo Onda quadra), Homo Habilis è il terzo disco degli
Zaal, creatura di Agostino Macor (tastierista di La Maschera di Cera, Rohmer,
Finisterre, giusto per citare qualche band) dedita ad un jazz rock dal sapore cameristico,
arricchito qui da atmosfere world, contaminazioni ambient e visioni
progressive. Un concept strumentale che racconta il rapporto uomo/macchina con
fantasia ed estro, sin dalle iniziali note di Meccanica naturale,
episodio pilota in cui il fender e l’organo di Agostino incontrano la ricchezza
e il colore dei fiati (il sax di Francesco Mascardi, la tromba di Roberto Nappi
Calcagno e il flauto di Andrea Monetti), ma anche il sitar di Emanuele Ysmail
Milletti e il violino di Sergio Caputo. Le lunghe e cinematografiche Revèil
(Post Big Bang) e Presences formano una doppietta suggestiva ed
elegante, in cui si cita l’imprescindibile Miles Davis di Bitches Brew, ma
anche i mai troppo citati Nucleus. La title track non fa altro che confermare
la bontà dei tanti musicisti presenti sul lavoro (davvero troppi per nominarli
tutti), fondendo psichedelia onirica e trame jazz, mentre Jaime S*mmers vede
il solo Macor destreggiarsi tra il fender e l’amplificatore Davoli. Instruments
è un altro brano dallo sviluppo interessantissimo, tra etnica e musica da
camera, Revèil (Together project) si riallaccia nuovamente al Davis
elettrico, prima del finale di Android void, un immaginifico
racconto ambient fatto di pianoforte acustico e Cassini Arp Machine, che chiude
perfettamente questa chicca del panorama underground nostrano, registrato in
presa diretta durante sessioni collettive libere da schemi e da costrizioni di
ogni natura. (Luigi Cattaneo)
Revèil (Post Big Bang) (Video)
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