giovedì 16 dicembre 2021

ZAAL, Homo Habilis (2020)

 

Uscito nel 2020 (ben dieci anni dopo Onda quadra), Homo Habilis è il terzo disco degli Zaal, creatura di Agostino Macor (tastierista di La Maschera di Cera, Rohmer, Finisterre, giusto per citare qualche band) dedita ad un jazz rock dal sapore cameristico, arricchito qui da atmosfere world, contaminazioni ambient e visioni progressive. Un concept strumentale che racconta il rapporto uomo/macchina con fantasia ed estro, sin dalle iniziali note di Meccanica naturale, episodio pilota in cui il fender e l’organo di Agostino incontrano la ricchezza e il colore dei fiati (il sax di Francesco Mascardi, la tromba di Roberto Nappi Calcagno e il flauto di Andrea Monetti), ma anche il sitar di Emanuele Ysmail Milletti e il violino di Sergio Caputo. Le lunghe e cinematografiche Revèil (Post Big Bang) e Presences formano una doppietta suggestiva ed elegante, in cui si cita l’imprescindibile Miles Davis di Bitches Brew, ma anche i mai troppo citati Nucleus. La title track non fa altro che confermare la bontà dei tanti musicisti presenti sul lavoro (davvero troppi per nominarli tutti), fondendo psichedelia onirica e trame jazz, mentre Jaime S*mmers vede il solo Macor destreggiarsi tra il fender e l’amplificatore Davoli. Instruments è un altro brano dallo sviluppo interessantissimo, tra etnica e musica da camera, Revèil (Together project) si riallaccia nuovamente al Davis elettrico, prima del finale di Android void, un immaginifico racconto ambient fatto di pianoforte acustico e Cassini Arp Machine, che chiude perfettamente questa chicca del panorama underground nostrano, registrato in presa diretta durante sessioni collettive libere da schemi e da costrizioni di ogni natura. (Luigi Cattaneo)

Revèil (Post Big Bang) (Video)



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