Qualche mese dopo
l’uscita di Fetus Battiato pubblica Pollution, due dischi che sono stati
concepiti nella stessa fase, quella sperimentale e volutamente provocatoria ma
anche instabile e non sempre supportata da idee ben messe a fuoco. Anche qui il
siculo mostra una certa personalità e introduce qualche piccolo elemento in più
rispetto a Fetus. Difatti, pur
essendo due lavori che hanno molte similitudini tra loro, Pollution ha un atteggiamento più rock e psichedelico (si potrebbe
citare giusto come atmosfere Aria di
Alan Sorrenti) ma mantiene inalterato quel senso di sfida in qualche
circostanza un po’ fine a sé stesso. Inoltre alcuni elementi che già avevano
contraddistinto il suo esordio, ossia l’unione e lo scontro tra elementi
classici e altri vagamente pop (Il
silenzio del rumore), la ricerca in direzione di una musica concreta dai
forti tratti space (Areknames)
vengono riproposti con risultati alterni. Certo è che gli orizzonti di Battiato
paiono non avere limiti e il linguaggio diviene ancor più complesso e
stratificato, con il suono pionieristico del VCS3 che si interseca con melodie
che sanno essere raffinate, eccentriche e mai banali e con recitativi e rumori
che risultano essere incastonati in maniera convincente nella struttura
narrativa dei brani (il degrado con le sue ansie e i suoi pericoli,
l’inquinamento materiale ma anche quello della razza umana, lo smarrimento di
certezze). Forse Beta può essere la
traccia più indicativa: uso del synth, psichedelia acida, ampio utilizzo del
pianoforte nella parte strumentale, recitativo finale. Avvolgente, magnetica ed
estremamente personale. Plancton si
appoggia sopra un arpeggio di chitarra tanto semplice quanto efficace e il
solito synth da manuale, mentre Pollution
è il brano dove emerge maggiormente la voglia di stupire a tutti i costi.
Leggera melodia cantabile con contorno di un testo preso da un manuale di
fisica! La portata di un condotto è il
volume liquido che passa in una sua sezione nell’unità di tempo e si ottiene
moltiplicando la sezione perpendicolare per la velocità che avrai del liquido…
Questo estratto testuale mostra chiaramente quello che era l’artista ad inizio
’70, un curioso narratore (e provocatore accanito) che o si amava o si odiava
ma difficilmente lasciava indifferenti. Il finale di Ti sei mai chiesto che funzione hai? ci riporta in territori classici,
con tanto di inconsolabile pianto del cantante a chiudere un album di non
facile assimilazione ma che presenta aspetti di sicuro interesse e risulta fondamentale
per poter arrivare alla definitiva consacrazione di Sulle corde di Aries. (Luigi Cattaneo)
Areknames (Video)
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