Può un trio
scandagliare e perforare con tale veemenza schemi jazz di riferimento conducendo lontano la
proposta in modo da costruire concetti distanti dall’essere precostruiti e di
maniera? Sì, soprattutto se la libertà e l’urgenza di esprimersi non vengono
incatenate. E in questo la Megasound è regina. Il nuovo Neoclassico (che arriva dopo Water
Resistance del 2009) dei Neo va inquadrato (se si può) dove già avevamo
posto band originali e fantasiose come No Hay Banda Trio, Tribraco e Ay!,
prodotte proprio dall’etichetta romana. Inoltre la registrazione e il missaggio
effettuati da un mostro sacro come Steve Albini presso il suo studio di
Chicago, conferiscono ulteriore qualità ad un prodotto già buono di suo.
Provando a dare qualche indicazione viene logico pensare a John Zorn e ai suoi
Naked City, laddove il jazz di Ornette Coleman (e del seminale The Shape of Jazz to come) viene
filtrato attraverso scariche noise in cui imperversa una furia punk (Il Dente del Pregiudizio) o ancora,
sentire il sax tenore di Carlo Conti mitigare la violenza quasi fisica della
chitarra di Manlio Maresca e la batteria di Antonio Zitarelli. Il taglio
avanguardistico e decisamente complesso (Ruins
soup) si placa in episodi più immediati (Blues), segno di come i tre sappiano giocare anche su registri
differenti, sempre rimanendo in un campo in cui è facile perdere la bussola.
Perché i Neo risultano dei veri costruttori di situazioni in cui gli intrecci
tra le varie parti strumentali devono essere sezionati e analizzati per essere
realmente leggibili, soprattutto se non si è propriamente affini con certe
sonorità. La musica dei Neo rimane comunque legata a quel jazz da cui tentano
di allontanarsi, anche nei momenti più free, avant rock o noise (Mechanical Disfunction) ed è impossibile
non soffermarsi sulle doti squisitamente tecniche che esprimono i tre
interpreti del progetto. La decomposizione e la restaurazione di certi elementi
jazzati paiono essere il marchio di fabbrica di Neoclassico (Unjustified
Restrictions, La Sindrome di Erode). Un lavoro ostico, eccessivo e
intrigante, in cui melodie e certezze strutturali si annullano a favore di
incastri ritmici deliranti e pieni di insano fervore. Tra rispetto per la
tradizione e slanci moderni. (Luigi Cattaneo)
Il Dente del Pregiudizio (Video)
Nessun commento:
Posta un commento