venerdì 12 luglio 2013

GOAD, Masquerade


La band toscana guidata dal polistrumentista Maurilio Rossi e dal chitarrista Gianni Rossi torna dopo l’acclamato In the house of the dark shining dreams del 2007 con un album che fa il bis in termini di bellezza e coinvolgimento. L’esperienza del gruppo nel costruire sonorità gotiche e magniloquenti è il marchio di fabbrica che accompagna i fiorentini dal 1983, anno della loro prima apparizione discografica. La carne al fuoco in questo Masquerade è davvero tanta, vista anche la durata del disco che sfiora gli 80 minuti e che è colmo di riferimenti verso la musica dei ’70. La partenza è affidata alla potente ed incisiva Fever Called Living che mostra subito tutte le capacità del gruppo di creare soluzioni ora più hard ed aggressive ora più morbide e melodiche attraverso un interplay molto azzeccato tra la chitarra e le tastiere. La seguente Eldorado si sviluppa attraverso 2 parti ben distinte tra loro, con la prima che rimanda a certo hard rock tipicamente seventies di mostri sacri come Led Zeppelin e Deep Purple e la seconda che si dispiega come una cavalcata heavy prog totalmente strumentale. Anche Last Knowledge si divide in 2 sezioni, dove la prima prende la forma di una seducente ballata impreziosita dal flauto di Francesco Diddi mentre la seconda, strumentale, è decisamente più inquietante e richiama i King Crimson. Delicate atmosfere si ritrovano anche nell’ottima The Judge, contrassegnata ancora dal flauto di Diddi e dalla chitarra di Maurilio Rossi oltre che in Valley of Unrest, song tra le migliori presenti e che tra i suoi solchi riprende il magma sonoro tipico dei Van Der Graaf Generator, soprattutto per l’utilizzo del sax e per il crescendo oscuro e solenne del brano. Ancora una composizione in 2 parti è To Helen, che ha nei suoi cromosomi elementi di vario tipo; difatti dopo un’apertura classicheggiante il brano sfocia in un hard sinfonico dove l’aggressività vocale di Maurilio Rossi viene stemperata dall’utilizzo accorato del flauto e del violino che tanto sanno di Jethro Tull ma anche di Delirium e P.F.M. Decisamente più suggestiva è la seconda metà, nuovamente strumentale, dove anima guida diviene il sax a cui si aggiungono parti di flauto in sostegno. Densa ballata è Alone, intrisa di lirismo e fortemente evocativa anche per merito della sofferta interpretazione canora, mentre la seguente Slave of the holy mountain ha un mood drammatico e orchestrale dal sapore gotico. Dreamland è uno dei punti di forza dell’album, un brano da Rock Opera o da Musical vista la prorompente carica e il pathos costante che emana per tutta la sua durata. Molto convincente la voce ruvida ed espressiva di Maurilio e il suo solo finale di chitarra con cui chiude il brano. Dopo la strumentale The Haunted palace si arriva alla title track, suite finale divisa in ben 5 sezioni della durata complessiva che supera i 13 minuti. Qui i Goad tentano di sintetizzare (non riuscendoci però in pieno) tutte le influenze da cui sono ispirati e quindi si passa attraverso momenti soffusi e sognanti ad altri sicuramente più oscuri e psichedelici. Questo Masquerade rappresenta benissimo quelle che sono le caratteristiche dei Goad, sempre in bilico tra il progressive inglese, la psichedelia, il dark e la Rock Opera. (Luigi Cattaneo)


 
 
 
 

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