martedì 12 maggio 2015

LA PIETRA LUNARE, La Pietra Lunare (2015)


Gianni Caldararo (voce, basso e synth) e Duccio Del Matto (chitarra e fisarmonica), dopo aver militato nei Vestfalia’s Peace, band darkwave attiva tra la fine dei ’90 e metà dei 2000, hanno dato vita nel 2009 al progetto La Pietra Lunare, nome che evoca l’opera del 1939 dello scrittore Tommaso Landolfi (romanzo che narrava la storia d’amore tra un giovane studente e una donna capra mannara). In questo debut troviamo suggestioni acid-folk e un approccio cantautorale che può ricordare quanto fatto da Yuri Camisasca e Gianni D’Errico, oltre che trame dal sapore new wave, il tutto improntato sulla ricerca e lo studio di un preciso periodo storico, l’Italia contadina tra le due guerre e i riti magici e gli amuleti che favorivano la sorte quotidiana. Il duo ha tentato, con buoni risultati, di allontanarsi dai clichè del genere e alcune dinamiche post hanno sicuramente reso più interessante il disco, complici anche dei testi molto letterari e pieni di riferimenti ad una cultura che sta sparendo. L’album, edito a tiratura limitata, esamina aspetti rurali del 900 e lo fa attraverso un neofolk affascinante e ancestrale che trova come punto d’appoggio l’origine esoterica di alcune credenze popolari. La vita contadina legata al lavoro e a credenze misteriose che ricoprivano un ruolo fondamentale in quell’epoca lontana, raccontate dalla band in modo efficace e partecipativo. Oltre a Caldararo e Del Matto troviamo notevoli musicisti come Fabio Cerrato al sax, Matteo Campopiano al violino, Maurizio Demichelis al violoncello, Enrica La Ragione al flauto (ma l’elenco dei presenti è piuttosto corposo). L’iniziale Il Male dell’arco è molto suggestiva, grazie al delicato tocco di Del Matto e al gradevolissimo apporto di Cerrato, ben sostenuti dalle ritmiche di Antonio Losenno, batterista dei Lupi Gladius. Un avvio importante che viene ripetuto con Che fare?, traccia che presenta dialoghi tratti da una conversazione dialettale, il suono di un gregge in movimento, la voce di Giulia Maselli con i suoi vocalizzi e l’espressività di Campopiano, in un concentrato di folk e psichedelica di grande effetto. Le suggestioni proseguono con Pane nero, che ci porta indietro sino ai primi del secolo scorso e alla durezza di una certa vita di campagna, raccontata da un mirabile duetto tra Caldararo e Gilda La Ragione e un validissimo interplay tra sax, violino e violoncello. La Maselli torna in Gurù, cantata insieme a Caldararo, sintesi di un brillante folk in cui emerge Cerrato e il flauto di La Ragione. L’atmosfera di L’uva Puttanella è irrimediabilmente legata alla società agreste, con tanto di fisarmonica, mentre struggente è La casa dei vecchi, nuovamente cantata dalla coppia Caldararo-Maselli, accompagnati dall’arpa celtica di Alessandro Arturo Cucurnia degli Antiqua Lunae, che poi ritroviamo al bouzouki in Sangue d’osterie, altra traccia piuttosto gradevole. Un estratto di Signorinella mia apre La Merica, uno degli episodi più classici tra i presenti in cui partecipa anche Diego Banchero (Malombra, Il Segno del Comando) al basso (si è occupato inoltre del mastering dell’intero lavoro), prima di Città nascosta, brano che profuma di canzone francese e il finale di Battesimo di un somaro, pregevole strumentale dedicato a Francesco Jovine. L’album ha bisogno di attenzione per essere interiorizzato a dovere, sia per quanto riguarda la musica, piena di sottigliezze, sia per i testi che rimandano a considerazioni su un’ Italia antica. Ma certe tradizioni, quasi svanite, riaffiorano lungo le 10 composizioni di Caldararo e Del Matto, ricordandoci leggende popolari e vita quotidiana che hanno definito per secoli il modello contadino italiano. (Luigi Cattaneo)

Pane Nero (Video)

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