Gianni Caldararo (voce,
basso e synth) e Duccio Del Matto (chitarra e fisarmonica), dopo aver militato
nei Vestfalia’s Peace, band darkwave attiva tra la fine dei ’90 e metà dei
2000, hanno dato vita nel 2009 al progetto La Pietra Lunare, nome che evoca
l’opera del 1939 dello scrittore Tommaso Landolfi (romanzo che narrava la
storia d’amore tra un giovane studente e una donna capra mannara). In questo
debut troviamo suggestioni acid-folk e un approccio cantautorale che può
ricordare quanto fatto da Yuri Camisasca e Gianni D’Errico, oltre che trame dal
sapore new wave, il tutto improntato sulla ricerca e lo studio di un preciso
periodo storico, l’Italia contadina tra le due guerre e i riti magici e gli
amuleti che favorivano la sorte quotidiana. Il duo ha tentato, con buoni
risultati, di allontanarsi dai clichè del genere e alcune dinamiche post hanno
sicuramente reso più interessante il disco, complici anche dei testi molto
letterari e pieni di riferimenti ad una cultura che sta sparendo. L’album,
edito a tiratura limitata, esamina aspetti rurali del 900 e lo fa attraverso un
neofolk affascinante e ancestrale che trova come punto d’appoggio l’origine
esoterica di alcune credenze popolari. La vita contadina legata al lavoro e a
credenze misteriose che ricoprivano un ruolo fondamentale in quell’epoca
lontana, raccontate dalla band in modo efficace e partecipativo. Oltre a
Caldararo e Del Matto troviamo notevoli musicisti come Fabio Cerrato al sax,
Matteo Campopiano al violino, Maurizio Demichelis al violoncello, Enrica La
Ragione al flauto (ma l’elenco dei presenti è piuttosto corposo). L’iniziale Il Male dell’arco è molto suggestiva,
grazie al delicato tocco di Del Matto e al gradevolissimo apporto di Cerrato,
ben sostenuti dalle ritmiche di Antonio Losenno, batterista dei Lupi Gladius.
Un avvio importante che viene ripetuto con Che
fare?, traccia che presenta dialoghi tratti da una conversazione
dialettale, il suono di un gregge in movimento, la voce di Giulia Maselli con i
suoi vocalizzi e l’espressività di Campopiano, in un concentrato di folk e
psichedelica di grande effetto. Le suggestioni proseguono con Pane nero, che ci porta indietro sino ai
primi del secolo scorso e alla durezza di una certa vita di campagna,
raccontata da un mirabile duetto tra Caldararo e Gilda La Ragione e un
validissimo interplay tra sax, violino e violoncello. La Maselli torna in Gurù, cantata insieme a Caldararo, sintesi
di un brillante folk in cui emerge Cerrato e il flauto di La Ragione.
L’atmosfera di L’uva Puttanella è
irrimediabilmente legata alla società agreste, con tanto di fisarmonica, mentre
struggente è La casa dei vecchi,
nuovamente cantata dalla coppia Caldararo-Maselli, accompagnati dall’arpa
celtica di Alessandro Arturo Cucurnia degli Antiqua Lunae, che poi ritroviamo
al bouzouki in Sangue d’osterie,
altra traccia piuttosto gradevole. Un estratto di Signorinella mia apre La
Merica, uno degli episodi più classici tra i presenti in cui partecipa
anche Diego Banchero (Malombra, Il Segno del Comando) al basso (si è occupato inoltre
del mastering dell’intero lavoro), prima di Città
nascosta, brano che profuma di canzone francese e il finale di Battesimo di un somaro, pregevole strumentale
dedicato a Francesco Jovine. L’album ha bisogno di attenzione per essere
interiorizzato a dovere, sia per quanto riguarda la musica, piena di
sottigliezze, sia per i testi che rimandano a considerazioni su un’ Italia
antica. Ma certe tradizioni, quasi svanite, riaffiorano lungo le 10
composizioni di Caldararo e Del Matto, ricordandoci leggende popolari e vita
quotidiana che hanno definito per secoli il modello contadino italiano. (Luigi
Cattaneo)
Pane Nero (Video)
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