sabato 24 dicembre 2016

ATOM MADE EARTH, Morning glory (2016)


Morning glory è il secondo album degli Atom Made Earth (dopo l’esordio Border of human sunset), band formata da Daniele Polverini (chitarra e synth), Nicolò Belfiore (tastiere), Lorenzo Gianpieri (basso) e Thomas Testa (batteria). Giusto per comprendere le linee guida che animano il progetto, è giusto citare due figure che hanno contribuito al risultato finale, ossia Gianni Manariti (personaggio importante quando si parla di stoner e affini) e James Plotkin, che nel suo catalogo di produzioni e realizzazioni (queste come chitarrista) si è contraddistinto per il suo approccio al drone, al metal e all’industrial di matrice sperimentale. I due hanno rispettivamente mixato e realizzato il mastering e la potenza a tratti claustrofobica che sprigionano i cinque pezzi presenti (più una sorta di intro ed un outro) rappresentano perfettamente le idee del quartetto marchigiano. Che poche non sono e sprigionano con sapienza il giusto crossover di post rock, psichedelia e progressive, un assalto strumentale dai contorni space che li pone in continuità con quanto fatto più di quarant’anni fa da Pink Floyd e Hakwind, una piccola revisione in prospettiva moderna già definita da realtà piuttosto trasversali come Morkobot e Ornaments. Il tocco ambient di Noil funge da introduzione per Thin, sette minuti a cavallo tra doom e psych, con varianti post che creano suggestioni cupe e opprimenti. Non che October pale sia da meno. Infatti il brano è segnato da un sottile tormento che si stempera in parti atmosferiche dettate dalla mano sicura di Belfiore, in opposizione alle tipiche chitarre del genere e ad una sezione ritmica vibrante e inquieta. Reed lascia il posto a stilemi maggiormente prog, sfociando in parte nell’heavy, soprattutto per una certa muscolarità della composizione, con i riff di Polverini a marchiare a fuoco il pezzo. Molto diversa Baby blue honey, decisamente più immediata e carica di groove, con le ritmiche che permettono a Polverini e Belfiore di creare un interplay davvero riuscito. Finale affidato alla lunga e a tratti sorprendente Stac, dieci minuti variegati, con soluzioni multiformi che racchiudono le tante influenze del gruppo, capace di passare con efficacia dalla psichedelia allo stoner, per toccare apici space e progressive. L’outro Lamps like an African sun è il commiato per un come back significativo e coinvolgente. (Luigi Cattaneo)

Thin (Video)

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