Nati come band di black
metal sinfonico (era il lontano 1997), l’evoluzione dei Nemesis Inferi (G.M.
Gain alla voce e alla chitarra, Fazz alla chitarra, Daniel al basso e Andreas
alla batteria) trova consacrazione definitiva con il nuovo A bad mess, disco votato ad un hard & heavy potente e diretto,
fatto di riff robusti, brani immediati e una continuità espressiva che ha
permesso ai bergamaschi di smarcarsi con personalità dal percorso iniziale. L’album
(prodotto da Jaime Gomez Arellano, già al lavoro con gente come Paradise Lost,
Ghost, Cathedral e Solstafir) ha la dote di coinvolgere quasi da subito per
quella sua combinazione vincente di irruenza e musicalità, che si sviluppa
all’interno di una forma canzone imbastita di groove e forza. Gli otto pezzi
non presentano particolari cali qualitativi, sin dall’iniziale partenza a razzo
di Never on your mouth, un primo
passo in cui la band si mostra in grande forma e con le idee ben chiare
sull’indirizzo del progetto. L’hard rock, energico e dinamico, trova il giusto
sfogo in Breaking, così come le
successive Hate my name e Rising (in cui Daniel passa anche al
microfono) mostrano impatto e tiro, confermando l’attitudine che oramai pervade
il sound dei bergamaschi. Si tinge di dark Anything
anymore, catchy quanto basta per essere scelta come singolo del lavoro,
mentre la title track ritorna su territori prestabiliti, non facendo mancare
anche qualche spunto in odore di thrash metal. I sette minuti di Crawling in the dust, in cui appare in
veste di ospite il cantautore Riky Anelli alla voce, mettono in mostra le abilità tecniche dei lombardi e favoriscono
un crescendo emotivo finora tenuto sottopelle, prima della chiusura affidata a Vertigo, aggressiva ma ragionata è degno
epitaffio di un platter che smarca definitivamente il quartetto dagli esordi
estremi. (Luigi Cattaneo)
Anything anymore (Video)
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